10/03/2025
“INTERROGATORIO” DA PARTE DEL CAPO DELLA SEZIONE POLITICA DELLA POLIZIA a Roberto Assagioli
Regina Coeli, Roma, 1940
“Lei è un pacifista!”.
R.A. - Tutti hanno un ideale di pace. Nessuno vuole la guerra per il gusto di farla.
Ma da psicologo non credo che la pace possa essere ottenuta con mezzi puramente politici e legali, come trattati, alleanze, patti, ecc., e ancor meno con un’opposizione sistematica e violenta alla guerra, “facendo guerra alla guerra”.
Di conseguenza io non sono, né sono mai stato un “pacifista”, nell’ordinaria accezione militante del termine, e neppure in senso ideologico.
Io sono profondamente convinto che la pace sia fondamentalmente un problema psicologico. Credo che nell’uomo vi sia un fondamentale istinto o tendenza alla lotta, profondamente radicato nella sua natura animale.
Questa tendenza si collega ad altre (la sopravvivenza, l’autoaffermazione, …), ma a volte si presenta quasi allo “stato puro”. Ci sono persone che “lottano per amore della lotta”. Il tipo superiore di queste è il “cavaliere”.
Quindi il vero problema è: come rapportarsi con questa tendenza combattiva degli uomini, di modo che questa non generi più guerre. La risposta della psicologia è:
- non ci si può sbarazzare con successo di un istinto, di una spinta o tendenza vitale, di una passione per mezzo di un controllo semplicemente costrittivo, tramite la repressione. Questo è il vero contributo della psicosintesi. La vera soluzione risiede nel fatto che le tendenze e le pulsioni psicologiche possono essere trasmutate e sublimate: vale a dire ri-dirette a scopi diversi e più elevati, espresse in modi più raffinati e soprattutto utilizzate a scopi costruttivi.
Questo processo è stato studiato soprattutto riguardo all’istinto sessuale, ma potrebbe e dovrebbe essere applicato almeno nella stessa misura all’istinto aggressivo.
In effetti il limitarsi a “combattere” le tendenze aggressive rappresenta una contraddizione in termini, e suona quasi come una barzelletta.
* * *
Il capo dell’Ufficio Politico ascoltò pazientemente, senza interrompermi, e apparentemente con un certo interesse la mia dissertazione, forse con appena un’ombra di ironia. Ma a questo punto osservò: “Prendiamo per buono il suo punto di vista (questo suo programma); in che modo lo traduce in pratica con i suoi seguaci? Che cosa fate in pratica?”.
R.A. - Il mio lavoro - risposi - si svolge interamente secondo un indirizzo scientifico ed educativo. Credo che soltanto attraverso innanzitutto l’educazione di una élite di uomini e donne secondo questi principi; applicando e risolvendo il problema ciascuno in se stesso e intorno a sé; diventando esempi viventi di una pace realizzata in se stessi, nelle nostre famiglie, nel nostro lavoro; dimostrando la possibilità di rapporti corretti e armoniosi in piccoli gruppi, sia possibile creare una vera…
Si tratta di un processo lento, ma secondo me la via lenta è l’unica sicura ed efficace. Ma come vede, con queste prospettive e metodi a lungo termine onestamente non credo di poter essere considerato in realtà pericoloso da un punto di vista politico per l’attuale regime. (Ero del tutto sincero nel dirlo; l’unica riserva mentale che ebbi fu di non aggiungere: “Vorrei esserlo, pericoloso!”).
Da "Libertà in prigione", Istituto di Psicosintesi.