18/03/2019
Settantuno anni.
Sono passati settantuno anni da quando il nostro continente preferì, a un passato di morte, un futuro di speranza.
Sei Paesi: Lussemburgo, Belgio, Francia, Italia, Germania, Olanda.
I tre più grandi fra questi, per estensione e popolazione, uscivano da un conflitto iniziato almeno settantacinque anni prima, con la Guerra Franco Prussiana del 1870-1871, che sancì la nascita dello Stato Tedesco. Settantacinque anni di tradimenti e giuramenti violati, accordi cancellati, armi chimiche, stermini, oppressioni, settantacinque anni di trincee, carri armati, embarghi commerciali, settantacinque anni passati a convincere i propri popoli che l'altro era il nemico: malvagio, barbaro, inferiore per razza o volere divino.
Eppure, dopo aver visto le proprie case divorate dal fuoco delle bombe, dopo aver mirato le distese di profughi in fuga e l'orrore dei morti sui campi di battaglia, dopo aver posato gli occhi rinsecchiti dalla fatica del pianto su di metà del nostro continente occupata da un regime anti-democratico in maniera permanente, dopo aver accettato le aspre condizioni americane, tutti, vincitori e vinti, gli europei cominciarono a capire. Non furono solo gli ideali che quella tanto non citata tradizione giudaico cristiana porta con sé a insegnarci la fiducia e il rispetto. Non furono nemmeno le leggi imposte dagli occupanti, Rossi o a Stelle e Strisce che fossero. Fu la voglia di sopravvivere.
Francia e Germania non misero in comune risorse strategiche come acciaio e carbone perché la televisione o i maestri fra i banchi di scuola avevano insegnato loro bontà e pace.
Lo fecero perché avevano capito che non c'era altro modo. Lo fecero perché avevano capito che il mondo era cambiato. E settantuno anni dopo, il mondo sta per cambiare di nuovo.
Con la caduta dell'URSS, l'avanzata della Cina, la colonizzazione comunista dell'Africa e il cambio di visione strategica degli USA e, per estensione, della NATO, l'Europa non può più permettersi, citando Kissinger, d'essere “gigante economico, nano politico, verme militare”.
L'”ombrello” si sta chiudendo: non più l'etichetta “occidentali” ci darà riparo dalla fredda pioggia siberiana o dalle calde tempeste di sabbia che da sud e da est si preparano ad investirci.
In questo momento storico, lapalissiana si rivela innanzi ai nostri occhi la grande battaglia che già Altiero Spinelli anticipava nei suoi illuminanti scritti: quella, in Europa, ma non solo, fra coloro che rimpiangono quel sopracitato passato di morte e nazionalismo, annacquato da demoniaci ideali di razza e lingue inventate; e coloro i quali sono pronti al sacrificio nel nome di una speranza di vita.
L'Unione Europea si sgretola e indebolisce sotto gli occhi divertiti di chi stava imparando a temerla: la Russia di Putin finanzia apertamente qualsiasi partita si appelli a valori populisti ed euroscettici, e gli USA di Trump ci trattano come rivali, minacciando sanzioni e guerre commerciali a ogni piè sospinto.
Oggi, come settantuno anni fa, siamo chiamati ad una scelta.
Oggi, come settantuno anni fa, abbiamo tutte le scuse, tutte le ragioni, per preferire la diffidenza, l'orgoglio, l'egoismo, ad una qualsivoglia forma d'unità e comunione europea. Oggi, come settantuno anni fa, la nostra sopravvivenza, la nostra libertà, è minacciata. C'è una differenza soltanto.
I sette e passa decenni alle nostre spalle non ci hanno insegnato, come insegnarono ai nostri avi, invece, il dolore della guerra. Quella della pace è oggi una scelta difficile, quasi impossibile, poiché si tratta di un passo di assoluta e totale fede.
Nessuno di coloro i quali voteranno alle imminenti elezioni europee ha visto un forno crematorio, un gulag, un carro armato sparare contro la propria città, un aereo alleato bombardare un ospedale nemico. Noi non abbiamo la stessa esperienza. Ma abbiamo qualcosa di più, della paura. Abbiamo la possibilità di salvare il mondo.
Abbiamo la possibilità di guidare l'umanità fuori dalle battaglie più sanguinose della nostra epoca. Di tutelare l'ambiente, lo sviluppo, la ricerca, la libertà e la democrazia in maniera pacifica e sicura.
Questo, però, possiamo farlo tutti insieme, preferendo, all'essere piccole pecorelle smarrite e belanti, un unico grande lupo, che con vigore ulula alla Luna d'un mondo nuovo, un mondo migliore, un mondo di libertà e uguaglianza, tolleranza e rispetto, un mondo europeo, e un'Europa nel mondo.
Cosa lasceremo, ai nostri figli? Un mondo morente, in fiamme, per il quale sarà troppo tardi, oppure...
Emanuele Abrami, de www.ilcorodellaluna.it, tesoriere GFE Brescia ( https://www.facebook.com/gfebrescia / https://www.ilcorodellaluna.it/perche-europa )
Settantuno anni. Sono passati settantuno anni da quando il nostro continente preferì, a un passato di morte, un futuro di speranza. Sei Paesi: Lussemburgo, Belgio, Francia, Italia, Germania, Olanda…