
09/09/2025
Nel bosco dove vivo c’è un castagno di trecentocinquant’anni. [...]
un giorno, mentre lo abbracciavo dopo
un’ennesima br**ta notte, lui mi ha bisbigliato:
«Vivi il buio come fosse luce».
Non è stato facile lasciar scendere in me il significato
di quelle parole scortecciate e difficili
da praticare limpidamente. Ma, a poco a poco,
di notte, nell’insonnia, le ho ripetute alle mie cellule
in subbuglio e ho smesso di considerare le mie
parti oscure, incomprensibili, scomode come sbagliate,
negative, invivibili. Se il buio si può vivere
come la luce, allora anche quel che solo nel buio
si mostra è luce. E l’atteggiamento dell’accogliere
deve essere lo stesso, limpido, privo di giudizio
e di rifiuto. Accostarsi cosí all’angoscia, al senso
di fallimento, di errore, di perdita ha aperto la porta alla morte,
alla sua ancella – la vecchiaia –,
alla paura di non essere all’altezza di viverle,
di mancarle per scarsa spaziosità, per un senso di fragilità,
di incapacità di contenere. A poco a poco,
passo dopo passo, respiro per respiro, l’esperienza
con il «meno» davanti si sta facendo conoscere
per quello che è: un sapore ignoto o ignorato,
uno scricchiolio che si rifiuta di diventare schianto,
spaccatura, breccia. Secoli di paura e di manipolazione
della parola «morte» ne hanno fatto un’esperienza invivibile.
Ma vivere il buio come fosse luce
fa piazza pulita delle barriere, vede l’elenco
di proiezioni, l’uso del timore per creare consenso
e sudditanza, e apre la possibilità di tremare,
di seguire un filo sottilissimo, nuovo, solitario.
Assaporare la morte oltre il suo nome.
Chandra Candiani da 'I visitatori celesti.' Einaudi