Pierluigi Saia - Psicologo

Pierluigi Saia - Psicologo Ricevo tutti i mercoledì (9,00 - 13,00; 14,30 -19,00) presso Studio Bezecca - via Bezecca 10 - Brescia. per appuntamento tel. 3934282990

Psicologo clinico, Gestalt counselor, in formazione psicoterapia ipnotica neoericksoniana - trattamento disturbi d'ansia, depressione, fobie, attacchi di panico, lutto problematico, disturbo post-traumatico da stress con IPNOSI/EMDR.

Vero....
17/07/2025

Vero....

"Non tornare mai dove sei stato felice.
È una trappola di malinconia…
Tutto sarà cambiato, e nulla sarà più come prima — nemmeno tu.
Non cercare gli stessi paesaggi, né le stesse persone.
Il tempo gioca sporco, e si sarà preso cura di distruggere ciò che un giorno ti ha reso felice.
Non tornare dove sei stato felice.

Conservalo nella memoria così com’era.
Ma non tornarci.

La vita va avanti,
ci sono nuovi sentieri da percorrere,
nuovi luoghi da scoprire,
e altre persone che ci stanno aspettando."

— Roberto De Niro

VOLER BENE E AMARE...“Ti amo!” disse il Piccolo Principe.“Anche io ti voglio bene.” rispose la rosa.“Ma non è la stessa ...
30/11/2024

VOLER BENE E AMARE...

“Ti amo!” disse il Piccolo Principe.
“Anche io ti voglio bene.” rispose la rosa.
“Ma non è la stessa cosa.” rispose lui, “Voler bene significa prendere possesso di qualcosa, di qualcuno.
Significa cercare negli altri ciò che riempie le aspettative personali di affetto, di compagnia.
Voler bene significa rendere nostro ciò che non ci appartiene, desiderare qualcosa per completarci, perché sentiamo che ci manca qualcosa.
Voler bene significa sperare, attaccarsi alle cose e alle persone a seconda delle nostre necessità.
E se non siamo ricambiati, soffriamo.
Quando la persona a cui vogliamo bene non ci corrisponde, ci sentiamo frustrati e delusi.
Se vogliamo bene a qualcuno, abbiamo alcune aspettative.
Se l’altra persona non ci dà quello che ci aspettiamo, stiamo male.
Il problema è che c’è un’alta probabilità che l’altro sia spinto ad agire in modo diverso da come vorremmo, perché non siamo tutti uguali.
Ogni essere umano è un universo a sé stante.
Amare significa desiderare il meglio dell’altro, anche quando le motivazioni sono diverse.
Amare è permettere all’altro di essere felice, anche quando il suo cammino è diverso dal nostro.
È un sentimento disinteressato che nasce dalla volontà di donarsi, di offrirsi completamente dal profondo del cuore.
Per questo, l’amore non sarà mai fonte di sofferenza.
Quando una persona dice di aver sofferto per amore, in realtà ha sofferto per aver voluto bene.
Si soffre a causa degli attaccamenti.
Se si ama davvero, non si può stare male, perché non ci si aspetta nulla dall’altro.
Quando amiamo, ci offriamo totalmente senza chiedere niente in cambio, per il puro e semplice piacere di “dare.”
Ma è chiaro che questo offrirsi e regalarsi in maniera disinteressata può avere luogo solo se c’è conoscenza.
Possiamo amare qualcuno solo quando lo conosciamo davvero, perché amare significa fare un salto nel vuoto, affidare la propria vita e la propria anima.
E l’anima non si può indennizzare.
Conoscersi significa sapere quali sono le gioie dell’altro, qual è la sua pace, quali sono le sue ire, le sue lotte e i suoi errori.
Perché l’amore va oltre la rabbia, la lotta e gli errori e non è presente solo nei momenti allegri.
Amare significa confidare pienamente nel fatto che l’altro ci sarà sempre, qualsiasi cosa accada, perché non ci deve niente:
non si tratta di un nostro egoistico possedimento, bensì di una silenziosa compagnia.
Amare significa che non cambieremo né con il tempo né con le tormente né con gli inverni.
Amare è attribuire all’altro un posto nel nostro cuore affinché ci resti in qualità di partner, padre, madre, fratello, figlio, amico; è sapere che anche nel cuore dell’altro c’è un posto speciale per noi.
Dare amore non ne esaurisce la quantità, anzi, la aumenta.
E per ricambiare tutto quell’amore, bisogna aprire il cuore e lasciarsi amare.”
“Adesso ho capito!” rispose la rosa dopo una lunga pausa.
“Il meglio è viverlo.” le consigliò il Piccolo Principe.

Quando finisce un amore, non soffriamo tanto del congedo dell’altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l’altro ...
20/10/2024

Quando finisce un amore, non soffriamo tanto del congedo dell’altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l’altro ci comunica che non siamo un granché.
In gioco non è tanto la relazione, quanto la nostra identità; l’amore è uno stato ove per il tempo in cui siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma la riceviamo dal riconoscimento dell’altro; e quando l’altro se ne va, restiamo senza identità.
Ma è nostra la colpa di esserci disimpegnati da noi stessi, di aver fatto dipendere la nostra identità dall’amore dell’altro. E allora, dopo il congedo, il lavoro non è di cercare di recuperare la relazione dell’altro, ma di recuperare quel noi stessi che avevamo affidato all’altro, al suo amore, al suo apprezzamento.
U. Galimberti

12/04/2024

Le tocco il cuIo(ne) e mi rendo conto che, nonostante la montagna di anni che mi porto sulle spalle, la cosa non passa inosservata ai piani bassi.
Lei sorride.
Per quanto di cattivo gusto, soprattutto all'interno di un locale pubblico, questo mio gesto da teenager in calore sembra farle piacere.

Abbiamo passato una vita insieme.
La verità è che mi auguro di poterle toccare il cuIo anche nel corso della prossima.

I nostri figli sono diventati genitori.
I loro figli, i nostri nipoti, sono invece alla prese con i primi amori.
Corrisposti e non.
Tutto come da copione.

Non sento più come una volta.
Sessant'anni fa il rumore prodotto dalle onde del mare contro gli scogli era la mia sveglia mattutina. Oggi, quando voglio fare una chiacchierata con gli amici, devo mettermi uno stupido aggeggio nell'orecchio.
Una specie di alveare pieno di api isteriche impiantato nel cervello.

Con lei è diverso.
Noi ci parliamo con gli occhi.
Basta uno sguardo ed è già tutto chiaro.
Poche parole.
Solo quando è necessario. Praticamente mai.

Dopo cinquant'anni di matrimonio, almeno un milione di sacchi di immondizia gettati nei vari cassonetti, e altrettanti rimproveri per non aver fatto, o per aver fatto ma non nel modo corretto, siamo ancora qui: nel pub di un paesino di provincia, aspettando che un sabato pomeriggio qualunque si trasformi in oscurità.

Lo so che fa ridere.
Due più che ottantenni seduti al banco di un bar a bere due pinte di Guinness.
Alla faccia della gastrite e della prostata ingrossata.
Sembra la scena di un film di Fellini.

Parlano di qualche mese.
Tre, forse addirittura sei.
Probabilmente quattro.

So che non dovrei prendermela troppo.
In fondo ho campato parecchio. Ci sono migliaia di bambini che muoiono ogni giorno. Anche ora: in questo preciso instante.
Se sommando le loro giovani età fino a raggiungere i miei anni, avessi la certezza che questa mia uscita di scena potesse salvare loro la vita, beh... me ne andrei più tranquillo.
So che non è così.
Non lo sarà mai.

Non esiste alcun contratto dove sta scritto che la vita è una questione di algebra.
Non esiste alcun contratto, per la verità.

Lei non lo sa ancora.
Non ho il coraggio di dirglielo.
Come si reagisce alla notizia che il tizio con cui dormi da più di mezzo secolo, tra qualche mese sarà solo un cuscino vuoto?
Non lo so.

Ho paura.
Non solo per me. Anche per lei.

La verità è che non siamo fatti per morire.
Lo so che sembra infantile come ragionamento, ma vi posso garantire che le cose stanno proprio così. Ogni giorno vivi la vita ai cento all'ora con la voglia matta di alzare il piede dall'acceleratore. Poi, senza alcun preavviso, si accende la spia rossa e allora ti fermi a fare rifornimento. Sali di nuovo in macchina, giri la chiave e – colpo di scena – non accade nulla. Il motore non ruggisce più. È morto. Ma com'è possibile? Ti chiedi. Stavo viaggiando alla velocità della luce proprio un attimo fa. Avevo dei progetti, degli assi nella manica da giocare al momento giusto, e ora invece mi ritrovo con le mutande calate all'altezza delle ginocchia in attesa che un corpo estraneo penetri nelle mie stanze e faccia piazza pulita.

Credetemi: anche a ottant'anni si fanno progetti.
E uno di quelli più ricorrenti, ironia della sorte, è proprio quello di non morire.
Comico, no?

- Ci facciamo un altro giro?
La guardo. E' bellissima. Con il vestito a pois e gli occhiali in tinta.
- Perché no! - esclamo - In fondo...

Lascio la frase a metà.
Lei aggrotta le sopracciglia.

Forse ha capito.
Forse no.
Forse... chissà.

Faccio segno al barista di portarne altre due.
Lui annuisce.

- Hai ancora un gran bel cuIo - le dico aggiustandomi il berretto.
Lei sorride.
Una carezza sulla guancia.

Chiudo gli occhi e mi preparo al prossimo giro.

Di Birra.
Di Vita.

- A. Casalini
da Sessualita' Sacra

Indirizzo

Brescia

Orario di apertura

09:00 - 19:00

Telefono

+393934282990

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