10/04/2025
Quanta verità…
L’infallibilità del pediatra
Essere pediatra oggi significa assistere oltre 1000 bambini, istruire i loro genitori e nonni, gestire centinaia di visite ogni settimana, rispondere a decine (a volte centinaia) di telefonate, compilare burocrazia infinita… il tutto cercando di restare lucidi, attenti… e umani.
Ma a volte ci si scontra con un’aspettativa irreale: quella dell’infallibilità.
Come se un pediatra non potesse mai sbagliare.
Come se la medicina fosse una scienza esatta e ogni sintomo portasse automaticamente a una diagnosi certa.
Non è così.
La medicina è fatta di interpretazioni, probabilità, esperienza.
E può capitare che una febbre post-vaccinazione venga attribuita al vaccino… per poi scoprire che la causa era un’altra. Questo oggi è successo anche a me.
Ogni giorno ricevo lamentele – e il web ne è pieno – di genitori che accusano il loro pediatra di una diagnosi mancata: “non si è accorto della bronchite”, “non ha visto l’otite”, “non ha diagnosticato la polmonite”…
Ma non è questione di “leggerezza della categoria”.
È che siamo umani, e lavoriamo in un sistema complesso, con tempi stretti e carichi crescenti.
Ogni giorno diamo il massimo, ma non siamo infallibili. Nessuno lo è.
E l’errore, in medicina, è spesso dietro l’angolo. Perché la medicina non è lineare. E la clinica è mutevole nel tempo.
Sarebbe più semplice, per noi, “dare tutto a tutti”, prescrivere antibiotici, esami, ricoveri… Ma la vera responsabilità è saper aspettare, assumersi il rischio ragionato, valutare nel tempo.
“Da rivalutare in caso di persistenza o peggioramento dei sintomi.”
L’immagine che spesso si ha dei pediatri (e dei medici in generale) – anche per colpa dei social, in cui sono e vi sto scrivendo – è quella di professionisti sempre sorridenti, con la risposta pronta, capaci di cogliere ogni diagnosi con un solo sguardo.
È una rappresentazione rassicurante, certo. Ma anche pericolosa.
Perché alimenta l’illusione che il medico “vero” non sbagli mai, che sia onnisciente, che viva senza dubbi.
La realtà è diversa. Essere pediatra non significa avere tutte le risposte subito.
Significa non smettere mai di cercarle.
Significa saper dire: “monitoriamo insieme”, “restiamo in ascolto”.
Questa è la vera responsabilità: esserci, con coscienza e onestà.
Essere presenti, anche nel dubbio. Anche quando la risposta non è immediata. Anche quando serve tempo perché il quadro clinico si manifesti.
È scegliere ogni giorno di esserci, con umiltà e dedizione, anche quando è difficile, anche quando si sbaglia.
Perché prima di essere medici, siamo persone.
E a volte, questo bisogna ricordarlo…
Perché la cura non è solo diagnosi: è relazione, fiducia, continuità.
È costruire un’alleanza, basata su ascolto, aggiornamento costante e senso di responsabilità.