Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta

Dott.ssa Luisa Dipino. Psicologa-psicoterapeuta Psicoanalista appassionata di storie e gentilezza. Esercito a Busto Arsizio (VA), nel Gentil Centro da me fondato

L’Edipo, tappa fondamentale per lo sviluppo della soggettività (ma anche momento delicato da cui può svilupparsi la nevr...
03/10/2025

L’Edipo, tappa fondamentale per lo sviluppo della soggettività (ma anche momento delicato da cui può svilupparsi la nevrosi), per Freud prende due strade diverse nei due sessi.

Vediamo qui cosa accade nel bambino, con una doverosa precisazione: Freud si muove nel campo dell’allegoria, del simbolo, per descrivere ciò che avviene nell’inconscio. Nell’analisi, poi, quelle che emergeranno saranno delle tracce, non il ricordo cristallino del dipanarsi dell’Edipo per come
lo racconta Freud.

Il presupposto è quello che dicevamo nei post precedenti: in un certa fase del suo sviluppo (tra i 3 e i 5y, in pieno innamoramento per la mamma) il bambino è estremamente concentrato sul suo p€n€. Ci gioca, lo confronta con quello degli altri, si accorge che c’è chi, come lui, lo possiede e chi, come la madre, no. Rendendosi quindi conto che non è scontato che tutti ce l’abbiano, nel bambino si fa strada la paura di poterlo perdere. Addirittura, la paura diventa quella che glielo si tagli per punizione.

Il bambino allora si arrovella, cerca di capire, fa mille congetture: chi ce l’ha, un pene come il suo? Più grande? Più piccolo? E papà, come ce l’ha? Forse la mamma ce l’ha, ma è nascosto?

In questa impetuosa attività di pensiero, nel bambino si va a delineare un conflitto: 1preservare una parte di sé — il fallo — o restare invischiato nel legame con la madre, a prezzo di perdere il fallo per punizione?

Se vince la prima opzione — preservare il fallo — il bambino si tira fuori dalla relazione chiusa con la madre. Cioè esce dall’Edipo ed entra nel mondo delle relazioni, portando però con sè traccia di come se l’è cavata fino a lì. Di come sono andate le cose, di come si è orientato nelle scelte, perché, come dicevamo negli scorsi post, non si sceglie tutto, ma si sceglie sempre.

Freud non ha parlato in modo sistematico dei nonni, ma sappiamo che era molto legato alla nonna paterna, Eva Freud, che ...
02/10/2025

Freud non ha parlato in modo sistematico dei nonni, ma sappiamo che era molto legato alla nonna paterna, Eva Freud, che visse a lungo nella loro casa. Freud ricorda anche che il suo nome, Sigismund, gli veniva da un nonno morto giovane.
Queste radici familiari hanno avuto un peso simbolico, anche se non teorizzato.

Come poi verrà ripreso da Lacan, non nasciamo nel vuoto. Non nasciamo come tabule rase, non siamo fogli immacolati. Chi ci precede, il nostro Altro — come dice Lacan — scrive qualcosa di quello che siamo. Il nome stesso che i genitori scelgono per il bambino segna il modo con cui questi entra nel mondo. Non definisce un destino, attenzione!, ma gioca una parte, diciamo che costituisce una “direzione” per lo meno iniziale.

Facciamo un esempio. Mamma e papà scelgono per il loro primogenito il nome “GianGiorgino”, in memoria del nonno GianGiorgino morto da poco, per cui la mamma soffre ancora moltissimo. In questo caso, il nome che si ripete tra le generazioni consegna un’eredità simbolica: il nuovo nato, nel bene e nel male, è convocato sul bordo del posto vuoto lasciato dal nonno. Certo, sarà poi lui a scegliere se e come occupare quel posto.

(Del resto, questo è uno degli insegnamenti più grandi della psicoanalisi: non si sceglie tutto, ma si sceglie sempre.)

…Niente scene truculente, nessuno spargimento di sangue. In psicoanalisi, la castrazione è un concetto simbolico: indica...
29/09/2025

…Niente scene truculente, nessuno spargimento di sangue. In psicoanalisi, la castrazione è un concetto simbolico: indica il limite, la rinuncia, il riconoscimento che non possiamo avere tutto.

Freud introduce il concetto di castrazione a proposito dell’Edipo. In una fase di sviluppo in cui per il bambino e la bambina gira tutto intorno al fallo — lo riconoscete: è il tempo in cui il bambino gioca con il pene, fa domande su chi ce l’abbia e chi no —, avviene qualche evento di per sé non rilevante, ma che mette il bambino nella condizione di pensare che potrebbe perderlo, e la bambina nella consapevolezza di non possederlo. Da qui, sorge l’Edipo, che per Freud si articola in modo diverso nel bambino e nella bambina.

Ma qual è il cuore dell’esperienza della castrazione, in entrambi i sessi? La castrazione. Cioè la consapevolezza che non si è onnipotenti, non si può tutto. Si è finiti, precari. In controtendenza rispetto a una certa linea di pensiero, non basta pensare una cosa, per ottenerla.

Lo scenario da qui in poi si fa però tutt’altro che deprimente. Se non posso avere tutto, posso desiderare quel che mi manca. Posso trovare una via, sbatterci la testa, provarci più forte. E magari anche conquistarla, con enorme soddisfazione.

La castrazione è quindi il passaggio doloroso ma necessario dal “tutto è possibile” dell’infanzia alla realtà del desiderio, che nasce sempre da una mancanza. La castrazione è perdita, ma è anche guadagno, su un piano diverso. Quello del desiderio, che anima e rende la vita a colori.

(Tutto chiaro fino a qui? 🌻)

La complessità del concetto di Edipo si condensa in un’evidenza: per Freud, l’Edipo è sia problema, che soluzione.In un’...
28/09/2025

La complessità del concetto di Edipo si condensa in un’evidenza: per Freud, l’Edipo è sia problema, che soluzione.

In un’accezione patologica, il complesso di Edipo rappresenta il cuore della nevrosi.
Cioè è un nodo problematico, che il soggetto è chiamato a sciogliere. L’analisi, quindi, aiuterà a far emergere questo conflitto, depositatosi nell’inconscio, che si manifesta nei sintomi. Facciamo degli esempi, generalissimi. In analisi, chi faticasse a farsi rispettare potrebbe scoprire di non aver mai superato un rapporto sbilanciato con un padre padrone. Oppure chi non riuscisse a innamorarsi magari potrebbe rendersi conto di non aver mai tagliato il cordone ombelicale…

L’Edipo, quindi, in questi casi si traduce in dolore.

Ma esiste anche un’altra accezione di Edipo ed è quella che vede l’Edipo come una struttura normativa. Cioè una soluzione a una situazione problematica. Se, nella concezione di Edipo come problema, il padre è un rivale da combattere, in questa concezione è chi permette al bambino di svincolarsi da un legame soffocante, senza fessure, che lo blocca nell’orizzonte di una gestazione senza fine.
L’Edipo, quindi, dice di come ci si è posizionati davanti alla legge, come si articola per ciascuno il rapporto con il limite, come si desidera, si ama e si diventa sé stessi. Stando nella relazione, senza perdersi nella relazione. Stando con sé stessi, senza chiudersi in sè stessi.

Partiamo da un esempio: perché non ci preoccupiamo se i bambini piccoli mettono tutto in bocca (li teniamo solo in sicur...
26/09/2025

Partiamo da un esempio: perché non ci preoccupiamo se i bambini piccoli mettono tutto in bocca (li teniamo solo in sicurezza), invece troveremmo quantomeno strano se vedessimo un adulto fare la stessa cosa? Insomma, perché non ci stupiamo se nostro nipote di 15 mesi lecca il sonaglietto, invece resteremmo basiti se lo facesse il nostro capo ufficio?
La risposta ce la dà Freud.

La premessa: una delle grandi rivoluzioni di Freud fu quella di affermare che il bambino non è un angelo. Non è privo di desideri. Ma ha, da subito!, un corpo. Freud definisce il bambino “perverso e polimorfo”, cioè che ricerca il piacere del corpo non a scopo riproduttivo (perverso), convogliando il piacere su diverse zone erogene (polimorfo).

Da subito, quindi, il corpo è un corpo sę$$uale, cioè attraversato da un’energia vitale, la libido, che chiede di essere scaricata, attraverso zone diverse a seconda della crescita. Ciò vuol dire che, mano mano il bambino diventa grande, si modificherà la zona erogena da cui il corpo trarrà piacere. Ci sarà quindi un passaggio di “fase” nel suo sviluppo psico$€$$ual€ (orale, än anäl€, fallica, di latenza, genitale).

Tornando al nostro esempio. Per il bambino piccolo, il piacere arriva tutto dalla bocca (Freud chiama questa fase dello sviluppo “fase orale”). Succhiare, mordere, assaggiare non servono solo a nutrirsi: sono per il bambino fonte di piacere, di scoperta, di relazione. Se tutto va bene, questo primato della bocca, procedendo di fase in fase, verrà ridimensionato e affiancato da altri “canali” per la soddisfazione.

Tuttavia, nello sviluppo psico$€$$ual€ non è detto vada tutto liscio. Possibile che, incontrando una forte frustrazione in una determinata fase, vi si rimanga fissati. Quello del capo ufficio che lecca un sonaglietto è un esempio al limite (😃), ma pensiamo ai fumatori, i mangiatori di matite, i masticatori di chewing-gum. Oppure, nell’ambito dei sintomi, pensiamo ai disturbi alimetaro: la bocca è possibile sia rimasta estremamente, “troppo” investita dalla libido. L’analisi, quindi, permette di far emergere questi inciampi, lavorando sulle radici profonde di ciò che fa soffrire, di ciò che agiamo senza sapere come mai.

Mano mano si dispiega la sua autoanalisi, Freud vede nel materiale che va emergendo la storia di un bambino innamorato d...
24/09/2025

Mano mano si dispiega la sua autoanalisi, Freud vede nel materiale che va emergendo la storia di un bambino innamorato della sua mamma e geloso del papà. Facendo riferimento alla tragedia di Sofocle, Freud definisce così uno dei suoi concetti più famosi: il complesso di Edipo.

Attenzione però. Il complesso di Edipo non è semplicemente una storia familiare. Non è semplicemente un triangolo amoroso tra bambino, mamma e papà, non bisogna appiattire al livello di lettura di un dramma di famiglia.

È molto di più. Il complesso di Edipo costituisce l’impalcatura della psiche. È il modo con cui si definisce la soggettività, tenendo insieme due polarità: da un lato il bisogno originario di fusione, di sentirsi un tutt’uno — il desiderio per la madre dice esattamente questo, che una parte di noi aspira a tornare nell’utero, aspira all’indifferenziato, al paradiso perduto del prima della nascita.
Dall’altro lato, la presenza del padre introduce invece il limite, la regola, la distanza necessaria per separarsi e crescere.

Il complesso di Edipo è quindi un crocevia, una tappa psichica che riguarda tutti, al di là di come si dipanano le dinamiche familiari particolari — ecco perché, per esempio, il complesso di Edipo riguarda anche persone nella cui storia non ci sono state dinamiche strettamente “edipiche”, diciamo così. Un orfano per dire, non è esente da complesso edipico.
Il complesso edipico quindi dice di come ciascuno incontra desiderio e legge, tra intimità e separazione. Dice di come impariamo a essere noi stessi senza smettere di appartenere agli altri.

Il concetto di complesso di Edipo è stato largamente esplorato da Freud. Ma anche ripreso, rimaneggiato (e anche criticato!) da psicoanalisti e filosofi. Un concetto, insomma, dibattuto e proficuo, considerata la produzione intellettuale che ha suscitato. Nelle prossime “puntate”, proviamo a capirci di più, che ne dite?
(Tutto chiaro fino a qui? 🌻)

Quando morì suo padre Jacob, Sigmund Freud aveva 40y. Era il 1896: Freud era un uomo di scienza, ambizioso e razionale. ...
20/09/2025

Quando morì suo padre Jacob, Sigmund Freud aveva 40y. Era il 1896: Freud era un uomo di scienza, ambizioso e razionale. Lavorava e studiava tantissimo, ma non navigava nell’oro. Viveva modestamente, cercando di sbarcare il lunario con Martha, sua moglie, e i loro 6 bambini.

La morte del padre fu un colpo fortissimo. Freud cadde in ginocchio. Non tanto perché con il padre avesse un rapporto strettissimo, ma perché la morte fece esplodere dentro di lui ricordi infantili, conflitti e domande sulle radici.
Freud non arretrò. Cominciò la propria analisi che, poiché la psicoanalisi ancora non esisteva, non poté che essere un’autoanalisi. Cioè Freud “testò” su di sé l’interpretazione dei sogni e la ricorstruzione di scene infantili, attraverso l’associazione libera.

Ovviamente, l’autoanalisi non fu un percorso lineare né completo (Freud stesso riconobbe che “nessuno può analizzarsi fino in fondo”), ma fu il laboratorio vivo da cui scaturirono l’opera più celebre, L’interpretazione dei sogni (1900), e le basi della psicoanalisi.

La psicoanalisi quindi, prima che una teoria scientifica, fu un modo per elaborare un dolore personale: fu il modo creativo con cui Freud diede parola e forma a ciò che lo tormentava. Fu quindi il modo con cui un dolore si trasformò in qualcosa di generativo, fecondo. Fu il modo con cui si poté attraversare la tempesta, fino all’orizzonte.
La psicoanalisi nacque così e credo che questo ne costituisca l’essenza, ancora oggi: la psicoanalisi è una ripartenza, è il modo con cui una vita può ricominciare.
La psicoanalisi è un “ancòra”.

Il codice deontologico degli psicologi è chiaro: non si può andare in terapia da familiari o persone con cui si intratte...
18/09/2025

Il codice deontologico degli psicologi è chiaro: non si può andare in terapia da familiari o persone con cui si intrattengono relazioni personali significative. Quindi: non si va in terapia da un* amic*, nè dalla moglie o dal fidanzato, nè dalla mamma o il papà. No alla zia Teresa, il cugino Gianfilippo, seppur di comprovata competenza. E neppure dall’ex.
Questo per motivi che intuiamo: ciò che va tutelata è la possibilità per il paziente di fare il miglior lavoro possibile. E tale possibilità è garantita solo se l’incontro con il terapeuta avviene in uno spazio libero da conflitti di interessi, implicazioni personali e pregiudizi. Nella stanza, insomma, una valigia di ricordi condivisi sarebbe un po’ troppo ingombrante.

Freud, invece, non faceva così. Sappiamo che fu l’analista di molti suoi allievi e amici e persino di sua figlia Anna. Credo che la ragione sia semplicemente questa: Freud fu un medico e fu il primo. Il primo psicoanalista. Si ritrovò a maneggiare fenomeni di cui non conosceva l’esistenza, perché non appartenevano al mondo stretto della medicina, per esempio il transfert. E, aggiungerei, Freud aveva fame di pazienti, perché la clinica era il laboratorio, la fucina in cui la teoria prendeva forma.

…ma va detto: non è bene fare come Freud 😜.
Così come non si diventa amici dei pazienti, per cui l’analista non deve mai portare la propria vita dentro la stanza d’analisi, allo stesso modo ci si deve ricordare che alle amiche o ai fidanzati l’analisi non si fa. Non si interpreta davanti a uno spritz, non si tiene la posizione analitica al ristorante. Non ci si lancia in interpretazioni selvagge sul nuovo fidanzato dell’amica, così simile a quello precedente. Non si indaga il Romanzo Familiare, non si parla psicoanalitichese davanti a una pizza.

Chè anche non riuscire a scrollarsi di dosso l’identificazione all’analista è un bel guaio, capace di far terra bruciata intorno. E nella terra bruciata impossibile coltivare qualcosa: tutto muore.

Questa è difficile da spiegare: direi così, con la pancia. Pensandoci, certo, ma senza dimenticare di dar retta all’intu...
15/09/2025

Questa è difficile da spiegare: direi così, con la pancia. Pensandoci, certo, ma senza dimenticare di dar retta all’intuito, al “ma guarda come mi ispira fiducia questa persona!”piuttosto che “a questa persona non racconterei nemmeno cosa c’è nel mio frigo”.
Andiamo con ordine: innanzitutto, sempre buona cosa accertarsi che si tratti di un/una professionista regolarmente iscritto/a all’albo, chè l’abusivismo ahimè non è così raro in questa professione.
Da qui in avanti, ciascuno procede a modo suo: c’è chi si affida al passaparola, chi va a caccia di cv e titoli accademici, chi studia i social. Tutto bene, tutto giusto, nella misura in cui ciascuno si sceglie il proprio modo, incrociando le variabili che ritiene importanti (esperienza? Formazione? Costi? Orientamento teorico? Tempi di attesa per la prima seduta?)

C’è anche chi si affida ai “colloqui conoscitivi”, che spesso i professionisti effettuano gratuitamente, per “farsi un’idea”. Attenzione, non per tutti i professionisti il primo colloquio è gratuito. Questo per almeno due ragioni. Intanto, perché il primo colloquio fa parte della terapia, ne costituisce l’avvio. Dunque non c’è ragione per non farlo pagare. La seconda ragione è più raffinata: far pagare la seduta serve per sventare il rischio di un’eccessiva compiacenza del terapeuta verso il paziente, che al paziente non fa bene.
Last but not least: si evita la nevrosi del “li provo tutti e non scelgo mai”. Insomma, non si lascia fare come i bambini dal gelataio, che provano un cucchiaino per ogni gusto e poi non hanno più appetito per gustarsi un bel gelato tutto intero. Bisognerebbe fare piuttosto come al ristorante: si va, si concorda un menù, si consuma il pasto, si paga e si va via. Se ci si è trovati bene, si torna. Diversamente, si prova altrove. Con la consapevolezza che non a tutti piace la stessa cucina: chi ama il sushi, andrà al ristorante giapponese. Chi la pizza, in pizzeria. Mai viceversa. 😜

Freud inventò la psicoanalisi (anche) grazie a lui, Wilhelm Fliess, otorinolaringoiatra berlinese che Freud conobbe nel ...
09/09/2025

Freud inventò la psicoanalisi (anche) grazie a lui, Wilhelm Fliess, otorinolaringoiatra berlinese che Freud conobbe nel 1897. La loro fu una lunga amicizia epistolare. Tra il 1887 e il 1904 si scambiarono più di 300 lettere (oggi raccolte in volumi). Freud lo chiamava “il mio amico magico” e si confidava con lui su tutto: casi clinici, sogni, persino la propria autoanalisi.
Al di là delle vicende più strettamente personali (l’amicizia tra Freud e Fliess si concluse nel 1904), lo scambio epistolare tra i due di fatto costituì un laboratorio per la psicoanalisi: un “luogo” di pensiero, una fucina intellettuale in cui Freud mise al lavoro delle intuizioni, che via via finirono per diventare concetti.

… si vede bene, io credo, che è così che funzioniamo: nel mondo, nei legami. Nell’incontro. L’Altro, pur diverso da noi, pur inassimilabile, pur lontano, fa sì che usciamo dai noi stessi, facciamo fare un giro lungo alle idee e riusciamo a farne qualcosa di grande, di nostro.
Siamo noi, ma siamo anche ciò che di noi si modella nell’Altro, con l’Altro.
La psicoanalisi sa mostrarcelo, a partire dalle sue radici.

La frequenza delle sedute in psicoanalisi è affare spinoso: ci sono approcci psicoanalitici che prevedono un numero stan...
08/09/2025

La frequenza delle sedute in psicoanalisi è affare spinoso: ci sono approcci psicoanalitici che prevedono un numero standard di sedute settimanali (2,3,4) per tutti i pazienti, per tutto il tempo della cura. La scelta di Freud andava nella direzione di favorire un’immersione nel mondo psichico, con la creazione di un contenitore stabile in cui far emergere l’inconscio.

Questa scelta ha indubbiamente tanti vantaggi: l’inconscio si dispiega “in presa diretta”, l’associazione libera è favorita perché viene disinnescata la tentazione del paziente di arrivare in seduta con un discorso confezionato a casa.

Tuttavia una frequenza così serrata non è l’unica possibile.

Molti psicoanalisti preferiscono modulare la frequenza delle sedute sulle esigenze della cura. Per questo, considerano la frequenza delle sedute non standard, né immobile nel tempo. E’ lo psicoanalista a valutare quale sia il tempo giusto tra una seduta e l’altra, tenendo conto anche di com’è fatta la vita del paziente, della sua tenuta psichica, del percorso che si va a fare.
La frequenza delle sedute quindi è uno strumento di lavoro, uno strumento che permette il lavoro: non un cappio — insostenibile, che toglie il fiato — ma neppure sporadica e legata al saliscendi dell’angoscia.

A ogni cura, quindi, il suo tempo. Chè è come mi dicono alcuni miei pazienti: “in seduta non ci si rilassa, si lavora duro”.
Già. ♥️

Proprio così: Jofi, la cagnolona chow chow di Freud, partecipava alle sedute con i pazienti. Questo particolare, non a t...
06/09/2025

Proprio così: Jofi, la cagnolona chow chow di Freud, partecipava alle sedute con i pazienti. Questo particolare, non a tutti noto, incrina l’immagine un po’ stereotipata dello paicoanalista ingessato, granitico, muto e imperturbabile come una statua. Chi ha pratica con i cani, infatti, lo sa: non sono peluches. Si muovono, sbadigliano, si stiracchiano, a volte abbaiano. Hanno un corpo che ha delle esigenze. Hanno un odore e occupano uno spazio.
Sono vivi.

Il primo psicoanalista della storia, insomma, scelse un setting che non poteva essere immobile. Perché nel setting, nella stanza, c’era anche lei, Jofi. Vita viva.

In questo senso, forse possiamo pensare che Freud con Jofi declinassero già quello che poi Lacan teorizzò sull’analista: chi il Reale non lo insabbia, non lo nega, non fa finta che non ci sia. Chi la vita la prende tutta per com’è: viva. Intera.

Indirizzo

Viale Venezia 11/D
Busto Arsizio
21052

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