Dott. Vito Rodio, Psicologo Clinico, Psicoterapia Umanistica/Bioenergetica

Dott. Vito Rodio, Psicologo Clinico, Psicoterapia Umanistica/Bioenergetica Dott. Vito Rodio, Psicologo Clinico, Psicoterapeuta ad indirizzo UMANISTICO/BIOENERGETICO

Sentirsi sminuiti dagli altri, cosa fare?Sentirsi sminuiti dal partner, dai familiari o dal capo è logorante. Come uscir...
24/11/2025

Sentirsi sminuiti dagli altri, cosa fare?

Sentirsi sminuiti dal partner, dai familiari o dal capo è logorante. Come uscire da queste situazioni?
Sentirsi sminuiti dagli altri, cosa fare?
Sentirsi sminuiti è una sensazione molto comune e, ammettiamolo, poche realtà fanno soffrire quanto non sentirsi apprezzati.

È un chiaro segno di mancanza di autostima? Forse. C’è però un aspetto innegabile in questa situazione: l’essere umano ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa o di qualcuno. In quanto esseri sociali (ed emotivi), la conferma e il riconoscimento da parte di chi stimiamo è un nutrimento essenziale.

Ce lo aspettiamo dal nostro partner. Dare e ricevere affetto, ammirare ed essere ammirati dalla persona che amiamo e sentire il suo sostegno è un pilastro indispensabile nella coppia.

Questo tessuto psicologico è il cemento dell’unità familiare, così come sul piano professionale. Sapere che quello che facciamo viene apprezzato rafforza l’immagine che abbiamo di noi stessi. Cosa succede, dunque, se tutto ciò viene meno?

Sentirsi sminuiti dagli altri e non sapere come agire
Il motivo per cui tendiamo a sentirci sminuiti parte sempre da noi. Siamo programmati, per così dire, per confrontarci socialmente con chi ci circonda, quasi in ogni momento.

Quando percepiamo noi stessi in una situazione di inferiorità, si attiva un campanello d’allarme. L’organismo rilascia cortisolo nel sangue, dunque aumentano i nostri livelli di vigilanza. Capita, ad esempio, quando notiamo che i nostri genitori prestano maggiore attenzione a nostro fratello maggiore. O quando il partner non dà peso a quella piccola attenzione che gli abbiamo rivolto.

Il cervello ha bisogno del rinforzo esterno per sentirsi in equilibrio e percepirsi accettato dal gruppo sociale di appartenenza. Così, la gratitudine, una parola di apprezzamento o i gesti quotidiani d’affetto sono iniezioni di dopamina capaci di rafforzarci e di farci sentire che tutto sta andando bene. Se ciò viene meno per lungo tempo, affiorano la paura e la sofferenza.

Se il nostro partner non ci apprezza
Sentirsi sminuiti in una relazione di coppia è di solito motivo di tensione e persino di rottura. In alcune situazioni è certo presente una reale svalutazione da parte dell’altro. Cosa possiamo fare?

Innanzitutto, occorre valutare se il proprio bisogno di rinforzo o di apprezzamento è eccessivo. In alcuni casi, fattori come l’insicurezza o una bassa autostima ci portano ad aspettarci troppo dal partner. Allo stesso modo, la ricerca affannosa di approvazione esterna rivela una nostra carenza. Proviamo a rifletterci su.

D’altro canto, è possibile che il partner ci stia realmente sminuendo. In questo caso bisogna affrontare l’argomento e chiarire, fornendo esempi della realtà.

Sarebbe bene specificare anche cosa ci aspettiamo: apprezzamento, rispetto, complicità, sostegno… Se non cambia nulla, dovremo prendere una decisione. Non sentirsi apprezzati in campo sentimentale è una lenta morte emotiva che non meritiamo.

Sentirsi sminuiti dagli altri, ma soprattutto in famiglia
La svalutazione, o addirittura il disprezzo, da parte dei familiari sono lesivi a ogni livello. Se li viviamo fin dall’infanzia a causa di genitori che ci hanno sminuito sotto più punti di vista, gli effetti si faranno sentire per decenni. La conseguenza principale è una bassa autostima. Che fare in questo caso?

Quando a sminuirci sono proprio i nostri familiari, il primo passo è smettere di rivolgere la nostra attenzione su di loro per riportarla su chi, probabilmente, abbiamo trascurato per troppo tempo: noi stessi.

Una ferita che dura da decenni deve essere suturata con il filo dell’amor proprio. Per riparare lo strappo, dobbiamo rafforzare la nostra autostima, l’identità, la sicurezza in noi e l’autoefficacia.

È giunto il momento di apprezzare noi e i nostri progetti. Una famiglia che non ci apprezza o che ci disprezza dovrà scivolare in secondo piano, a una sana distanza. Chi fa della svalutazione un’abitudine esercita una forma di abuso sugli altri.

Sentirsi sminuiti dal capo
Passiamo quasi un terzo della nostra vita sul posto di lavoro. Essere immersi in un contesto in cui ci sentiamo disprezzati o sottostimati alla fine ha un alto prezzo psicologico. C’è chi sostiene che la svalutazione del capitale umano sia una caratteristica del nostro tempo.

Aspetti come la forbice salariale tra uomini e donne, la scarsa valutazione del potenziale del singolo lavoratore, i salari bassi o le pessime condizioni lavorative in generale sono comuni. Cosa possiamo fare?

Non ricevere la giusta considerazione al lavoro provoca scarsa motivazione, stress e malumore generale. Dobbiamo fare attenzione a non raggiungere situazioni estreme che mettano a rischio la nostra salute.

CONCLUSIONE

A chiunque può capitare di sentirsi sminuiti dagli altri. Quando accade, dobbiamo ripartire da noi stessi. A volte ci aspettiamo che gli altri ci offrano ciò che noi stessi non ci concediamo.

Ma se il nostro grado di autostima e auto-apprezzamento è sufficiente ed esiste un vero problema di svalutazione, dobbiamo affrontarlo. Non è raccomandabile trascinare questa sensazione troppo a lungo perché logora, ferisce, ossida e mina.

Dovremo risolvere la situazione con assertività, rivendicando ciò che ogni essere umano merita e di cui ha bisogno: rispetto e apprezzamento.

PRENDITI CURA DELLE TUE EMOZIONI DOLOROSEQuando emerge un'emozione dolorosa, interrompi tutto ciò che stai facendo e pre...
20/11/2025

PRENDITI CURA DELLE TUE EMOZIONI DOLOROSE

Quando emerge un'emozione dolorosa, interrompi tutto ciò che stai facendo e prenditene cura. Presta attenzione a ciò che sta accadendo. La pratica è semplice. Sdraiati, metti una mano sulla pancia e inizia a respirare. Oppure puoi sederti su un cuscino o su una sedia. Smetti di pensare e porta la tua mente al livello dell'ombelico.
Quando guardi un albero durante una tempesta, se concentri la tua attenzione sulla cima dell'albero, vedrai le foglie e i rami soffiare selvaggiamente nel vento e l'albero sembrerà così vulnerabile, come se potesse essere rotto in ogni momento. Ma quando dirigi la tua attenzione verso il tronco dell'albero, non c'è molto movimento. Vedi la stabilità dell'albero e vedi che l'albero è profondamente radicato nel terreno e può resistere alla tempesta. Quando proviamo una forte emozione, la mente è agitata come la cima di un albero. Dobbiamo portare la nostra mente al tronco, all'addome e concentrare tutta la nostra attenzione sull'ascesa e la caduta dell'addome

Sottotipi di depressione maggiore: come si manifestano?Esistono fino a otto sottotipi di disturbo depressivo maggiore e ...
19/11/2025

Sottotipi di depressione maggiore: come si manifestano?

Esistono fino a otto sottotipi di disturbo depressivo maggiore e ognuno richiede un intervento con caratteristiche molto particolari. È importante conoscere i sintomi per agire il prima possibile.
Sottotipi di depressione maggiore: come si manifestano?
Una parte di noi ad un certo punto soffrirà di un problema di salute mentale. Ciascuno però lo vivrà in modo particolare, perché ogni realtà è unica e buona parte delle condizioni psicologiche presenta singolarità multiple. Un esempio di questo è il disturbo depressivo e i diversi sottotipi di depressione maggiore.

Allo stesso modo, l’eterogeneità ci invita ad affrontare ogni realtà clinica a partire dai bisogni e dalle circostanze specifiche del paziente/cliente. Non sarà lo stesso trattare la distimia (depressione cronica di basso grado) rispetto alla depressione postpartum. Quindi, al di là dell’interesse accademico per comprendere questa realtà, è soprattutto identificare la tipologia per decidere quale approccio terapeutico sia il più appropriato.

D’altra parte, e da un punto di vista sociale, è importante capire che la depressione non è un semplice stato d’animo triste e passeggero. Stiamo affrontando un problema complesso che colpisce il corpo e la mente e in molti casi limita la nostra capacità di funzionare in qualsiasi area della nostra vita.

Il disturbo depressivo maggiore è una delle principali cause di congedo. Tuttavia, non è facile rilevarlo perché ogni persona lo vive in modo diverso e si trascina da tempo tali sintomi.

sottotipi di depressione maggiore

Quanti sottotipi di depressione maggiore esistono?

La depressione maggiore rimane uno dei disturbi psichiatrici più diffusi. È anche uno di quelli che incidono in modo più importante sulla condizione economica, sia nel costo delle cure che nelle assenze da lavoro per malattia e nelle finanze dei pazienti.

Ad oggi, non siamo ancora chiari su cosa o quali siano i veri fattori scatenanti di questa condizione. Tuttavia, si dà per scontato che la depressione maggiore sia il risultato di una complessa interazione tra aspetti sociali, psicologici e anche biologici. Allo stesso modo, è importante considerare che questa condizione rientra in un ampio spettro e che esistono fino a 8 sottotipi di depressione maggiore.

Li analizziamo di seguito, chiarendo prima che possono essere organizzati in tre categorie, da cui ciascuna tipologia si manifesta.

Depressione maggiore con comorbilità

Nella depressione maggiore con comorbidità, coesiste nello stesso paziente/cliente con altri disturbi psicologici.

1. Depressione psicotica

La depressione con caratteristiche psicotiche è una forma abbastanza grave di depressione maggiore. Di solito si manifesta come segue:

La persona soffre di allucinazioni e delusioni insieme ai sintomi principali del disturbo depressivo, cioè affaticamento, sbalzi d’umore, disperazione, disturbi del sonno e dell’alimentazione, sentimenti di inutilità, problemi di concentrazione, idee suicide…

2. Depressione catatonica

Tra i sottotipi di depressione maggiore c’è la catatonica. Si manifesta con incapacità di muoversi, parlare e rispondere a stimoli esterni.

Questa tipologia è solitamente molto resistente all’intervento. Tuttavia, se viene diagnosticata precocemente, la prognosi migliora in modo significativo.

3. Depressione ansiosa e irritabile

Nella depressione maggiore ansiosa e irritabile, vari stati d’animo si sovrappongono, aggiungendo grande complessità alla vita del paziente. Ai sintomi di base del disturbo depressivo stesso si aggiungono preoccupazione costante, irrequietezza, agitazione, sensazione di perdere il controllo e ansia persistente.

Allo stesso modo, questo tipo di depressione ansiosa si manifesta anche con irritabilità e persino ostilità.

4. Depressione mista (maniacale e ipomaniacale)

Uno stato di bipolarismo molto particolare è compreso tra i sottotipi di depressione maggiore. Il paziente può attraversare stati di grande attività ed esaltazione, momenti di grande effusione emotiva che, in breve, portano allo sconforto, all’immobilità, all’angoscia, ecc.

Sottotipi di depressione maggiore in base all’esordio e alla durata
La depressione maggiore, come abbiamo ben indicato, si sviluppa in modo unico e particolare in ogni paziente. Pertanto, è importante considerare anche altri fattori, come il suo aspetto e la sua durata:

5. Depressione maggiore stagionale o a lungo termine.

In questo caso, tale disturbo può avere una durata specifica che compare e scompare in vari periodi dell’anno. Le persone con disturbo bipolare o depressione stagionale, ad esempio, possono derivare in molti casi da queste realtà. D’altra parte, c’è anche chi si porta dietro questa depressione per mesi o anni.

6. Depressione maggiore postpartum.

La depressione che si verifica dopo il parto può anche portare a un disturbo depressivo maggiore.

A seconda delle caratteristiche
Tra i vari sottotipi di depressione maggiore, vale la pena evidenziare quelli che, per le loro caratteristiche, meritano una sezione speciale.

7. Depressione malinconica.

Consiste in una grave forma di depressione che si manifesta con mancanza di risposta motoria, insonnia, perdita di peso, sentimenti di colpa costante, incapacità di rispondere all’ambiente, anedonia, ecc.

8. Depressione atipica.

In questo caso, di solito appare un quadro di sintomi totalmente opposto alla depressione malinconica. Avremmo aumento di peso e ipersonnia (desiderio costante di dormire). Tuttavia, compaiono anche sentimenti di tristezza, sconforto, ecc. Come caratteristica singolare, va notato che la depressione atipica mostra momenti in cui si è capaci di reagire a stimoli e situazioni positive.

La descrizione dei sottotipi di depressione maggiore ci permette di capire qualcosa di molto basilare. Siamo di fronte a una condizione di grande complessità, multifattoriale e sfidante a tutti i livelli.

Tuttavia, una buona diagnosi ci consentirà di progettare un buon piano di trattamento. E ricordiamoci, la depressione si cura e si supera fintanto che si chiede aiuto.

Spesso crediamo di conoscere davvero le persone che ci circondano, ma in realtà molte volte non stiamo guardando l’altro...
18/11/2025

Spesso crediamo di conoscere davvero le persone che ci circondano, ma in realtà molte volte non stiamo guardando l’altro, bensì una versione filtrata dalle nostre aspettative.

Basta un gesto, uno sguardo o una sensazione, e la mente inizia a costruire una narrazione: immaginiamo intenzioni, tracciamo tratti di carattere, idealizziamo o giudichiamo.

In psicologia, questo meccanismo è noto come proiezione: tendiamo a trasferire sugli altri ciò che appartiene al nostro mondo interno.

Desideri, paure, bisogni irrisolti o ferite del passato finiscono per distorcere la nostra percezione dell’altro e spesso in modo del tutto inconsapevole.

Così una persona può diventare un ideale da inseguire, un nemico da temere o uno specchio che riflette ciò che non vogliamo vedere in noi stessi.
Queste proiezioni creano distanza, alimentano aspettative e, inevitabilmente, delusioni.

Alla base c’è un’esigenza profondamente umana: quella di dare senso, coerenza e ordine alla realtà.
Il nostro cervello ha bisogno di interpretare, semplificare, incasellare.
Ma quando questo bisogno prende il sopravvento, rischia di diventare un ostacolo alla costruzione di relazioni autentiche.
Le aspettative inconsapevoli generano incomprensioni e frustrazioni e pretendiamo che l’altro abbia un copione che non gli appartiene.

Vedere qualcuno davvero richiede invece tempo, presenza e la capacità di sospendere il giudizio.
Perché solo quando smettiamo di incasellare gli altri possiamo iniziare a conoscerli davvero e scegliere, con consapevolezza, se vogliamo che restino accanto a noi.

E molto spesso, in questo processo scopriamo anche qualcosa di nuovo su noi stessi.

Il fatto è che certe cose le puoi dire solo a chi sai che le può capire. Che è anche il motivo per cui parliamo così poc...
15/11/2025

Il fatto è che certe cose le puoi dire solo a chi sai che le può capire. Che è anche il motivo per cui parliamo così poco di quello che ci importa davvero. Alla fine trovare qualcuno con cui parlare è difficile, sì, ma non è quella la cosa più difficile. Il difficile è trovare chi ti sappia fare le domande giuste, quelle per cui hai la risposta lì da anni senza neanche saperlo.

15/11/2025

"Ogni volta che un assetto mentale monodirezionale incontra un altro assetto mentale, più ampio e che include gli opposti, il primo è "disciolto" nel secondo e va in uno stato di "solutio".
Questo spiega perchè le prospettive più ampie delle proprie siano spesso vissute come minacce.
La sensazione è quella di affogare, motivo per cui le si resiste".

Edward F. Edinger - "Anatomia della Psiche"

Indifferenza nei confronti del partnerVi è mai capitato di vivere una situazione simile? L'indifferenza nei confronti de...
11/11/2025

Indifferenza nei confronti del partner

Vi è mai capitato di vivere una situazione simile? L'indifferenza nei confronti del partner è un argomento complesso quanto doloroso.

Quando inizia a manifestarsi un sentimento di indifferenza nei confronti del partner vuol dire che è arrivato il momento di porsi delle importanti domande. È ora di mettere un punto alla relazione?

Prepariamo da mangiare. Ci mettiamo a tavola. Il mio partner è seduto di fronte a me. Mangiamo, e nel frattempo guardiamo la televisione. Scambiamo quattro chiacchiere sulla nostra giornata. Beve un sorso d’acqua. Mi guarda. Ci guardiamo. Stiamo insieme da anni. Ci sorridiamo. Mi racconta qualche storia sulla sua famiglia. Lo osservo con attenzione mentre mangio in silenzio. Lo amo. È una parte importante della mia vita. Tuttavia, sento che non siamo più sulla stessa lunghezza d’onda. Non vorrei mai che gli accadesse qualcosa di brutto, ma ormai nulla è più come prima.

Vi è mai capitato di vivere una situazione simile? L’indifferenza nei confronti del partner è un argomento complesso quanto doloroso.

Quando l’indifferenza nei confronti del partner si fa sentire sempre più spesso e più intensamente, inizia ad andare di pari passo con una sensazione di malessere che finisce per prendere il sopravvento sul nostro stato d’animo e sul nostro corpo. Cosa ci succede? Cos’è cambiato? L’amore è finito? Siamo diventati vittime della monotonia?

Sebbene non sia successo nulla di particolare, la connessione magica di un tempo sembra svanita. Espressioni come “più che una coppia sembriamo due amici” o ” la vedo più come una sorella che come una fidanzata” sono all’ordine del giorno per molte coppie. È proprio arrivato il momento di chiudere la relazione o c’è ancora una speranza di poter ravvivare la fiamma dell’amore?

Indifferenza nei confronti del partner: non ci amiamo più?

L’amore è un concetto dalle sfumature astratte. Siamo noi a dare a questa parola gran parte del suo significato. Se ci atteniamo alla definizione buddista, amore è desiderare che tutti gli esseri siano felici e abbiano ragione di esserlo. Da questo punto di vista, è possibile che l’amore non sia finito, poiché anche se in apparenza proviamo indifferenza verso il nostro partner, in realtà gli auguriamo tutto il bene possibile.

Tuttavia, il cambiamento c’è e non può essere ignorato. I nostri desideri nei suoi confronti sono dei migliori, semplicemente non abbiamo più piacere a condividere con lui la nostra vita.

Forse sarebbe più corretto dire che è finito l’amore romantico. Abbiamo smesso di vedere il nostro partner come un compagno di vita e ora lo vediamo semplicemente come qualcuno che sta al nostro fianco, ma che non riesce a darci più di tanto. Ci obblighiamo ad ascoltare ciò che ha da dirci, facendo uno sforzo di volontà, ma senza interesse. Non cerchiamo di ritagliarci del tempo per l’intimità. I rapporti sessuali sono passati in secondo – per non dire terzo, o ancor meglio decimo- piano.

Come affermato da Garcia e Llabaca (2013) riguardo alle relazioni di coppia “i due membri che la compongono devono costruire un’identità particolare in grado di integrare e dare spazio a entrambe le individualità, il che non è facile”. Secondo questo approccio, quando entrambi i membri smettono di costituire un’identità comune, si corre il rischio di vedere la coppia sgretolarsi.

C’è un tempo per tutto

L’idea romantica secondo la quale una relazione deve durare per sempre, contro qualsiasi ostacolo, può essere molto dannosa. Non tutte le relazioni hanno la stessa durata. Inoltre, è necessario comprendere che quelle che durano meno non sono necessariamente migliori.

Proiettare grandi aspettative sulla durata di una relazione può finire per essere controproducente; in situazioni del genere, a volte, ci si ritrova a riporre grandi speranze in situazioni che non ci offrono una vera soddisfazione.

D’altro canto, non è così facile mettere un punto a una relazione. Come sottolinea Bowlby (1995) “il rischio della perdita genera ansia, e la perdita affettiva provoca tristezza e rabbia”. Dunque, nonostante la sensazione di indifferenza nei confronti del partner, l’idea di perderlo può provocarci ansia, tristezza e rabbia. Sperimentare la sensazione di perdere qualcuno che amiamo, sebbene non ci soddisfi appieno, ci provoca ansia e malessere.

L’ansia o la sensazione di malessere sono fenomeni comuni all’interno di una separazione, a prescindere da chi dei due abbia preso l’iniziativa. Pertanto, se riusciamo ad accettare determinate emozioni considerandole normali e passeggere, superare la rottura ci risulterà molto più facile.

E adesso? Bisogna imparare a stare bene da soli

Quando l’indifferenza nei confronti del partner porta alla fine di una relazione, molti si chiedono “e ora cosa faccio?”. Alcune persone scelgono la via del “chiodo scaccia chiodo”, vale a dire che sentono la necessità di riempire questo vuoto gettandosi a capofitto in una nuova relazione.

Altre preferiscono starsene da sole per un po’. Tuttavia, quando una relazione finisce, la migliore opzione consiste nell’imparare – o rimparare o meglio riabituarsi- a stare con se stessi. In questo modo, si evita di intraprendere una nuova relazione per una mera questione di dipendenza.

Molte persone sono incapaci di vivere senza qualcuno al loro fianco. Per quanto possa sembrare romantico, dietro questo bisogno si cela un alto fattore di dipendenza emotiva.

Molte persone sono terrorizzate all’idea di rimanere da sole con se stesse, di non avere nessuno da abbracciare, dover ascoltare i propri pensieri e capire cosa vogliono o meno. Hanno un vuoto interiore che cercano di riempire con affetti provenienti dall’esterno: per questo motivo difficilmente troveranno una persona che ci riesca davvero, e sono così condannate a vivere relazione destinate a finire in breve tempo.

"Solo quando ci si sente completi, si è in grado di portare avanti una relazione sana, libera da attaccamenti esagerati e dipendenze."

Evitate di parlare dei vostri problemi. Non andate in cerca di comprensione, perché il bisogno di autocommiserarsi provo...
08/11/2025

Evitate di parlare dei vostri problemi. Non andate in cerca di comprensione, perché il bisogno di autocommiserarsi provoca ancora più infelicità. Vincete l’impulso di esagerare le difficoltà, perché non fareste altro che peggiorare la situazione. Alcuni sostengono che parlare di una sofferenza guarisce: non credeteci. Se viene piantato il seme di un problema, diventerà un albero. Se parlate di malattia o di scarsità di denaro, oppure di amicizia e di libertà, quello che dite è proprio ciò che otterrete. Sradicate tutti questi discorsi. I discorsi negativi sono come trappole per orsi che scattano a qualunque cosa si avvicini. Il dolore che provereste sarebbe insopportabile, perciò tenetevi lontani...

«La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sv...
07/11/2025

«La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia.»

Questa celebre citazione
attribuita a Carl Gustav Jung, non compare testualmente in nessuna delle sue opere pubblicate.
Si tratta, infatti, di una parafrasi o riformulazione libera di alcuni temi junghiani autentici, in particolare dell’idea che l’individuazione e la conoscenza di sé passino attraverso l’introspezione e il confronto con l’inconscio.

Il riferimento autentico più vicino è in Psychological Reflections (ed. J. Jaffé, 1953), dove Jung scrive:

“Who looks outside, dreams; who looks inside, awakes.”

Questa è una versione inglese molto diffusa, ma non è una citazione diretta da un’opera di Jung: è tratta da una raccolta postuma di aforismi e riflessioni, curata e adattata da Jolande Jacobi e Aniela Jaffé.

Non tornare dove un giorno sei stato felice, è una trappola della malinconia, tutto sarà cambiato e niente sarà più come...
03/11/2025

Non tornare dove un giorno sei stato felice, è una trappola della malinconia, tutto sarà cambiato e niente sarà più come prima, nemmeno tu.
Non cercare gli stessi paesaggi, né le stesse persone, il tempo gioca sporco e si sarà occupato di distruggere tutto ciò che un giorno ti ha reso felice.
Non tornare nel luogo in cui un giorno sei stato felice, tienilo sempre nella tua memoria, com'era, ma non tornare.
La vita va avanti e ci sono nuove strade da percorrere, nuovi posti da visitare e altre persone che ci aspettano.

Fernando Garcia Lorca

Parlare con i propri morti: riti moderni per nutrire il legameParlare con i morti, porre loro domande, condividere con i...
02/11/2025

Parlare con i propri morti: riti moderni per nutrire il legame

Parlare con i morti, porre loro domande, condividere con il mondo invisibile le nostre riflessioni. Dovrebbero essere pratiche abituali quotidiane da mantenere sempre ben allenate. Questo perché innanzitutto ci prepara alla nostra di morte: avere a che fare ogni giorno con l’esperienza di un contatto tra mondi permette di giungere consapevoli al momento del trapasso, non rischiamo così di giungervi impreparati, increduli, non attenti. La disattenzione in un tempo così fondamentale della vita porta a non viverlo in modo adeguato. Inoltre mantenere un collegamento con i nostri cari defunti è la via maestra per sentirli vicini, per farci giungere messaggi attraverso i sogni, per aprirci la via della conoscenza di noi stessi.

"La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande."

(Vladimir Nabokov)

Il dolore che unisce: la presenza invisibile dei nostri cari

Il dolore per la perdita dei nostri cari è un dolore che vivrà sempre in noi, soprattutto se non siamo stati in grado di elaborarne il lutto. Quel vuoto lasciato scava dentro la nostra interiorità in modo silente ma continuo, è una presenza perpetua che ci parla dell’assenza, dell’invisibile, dell’incapacità di farsi una ragione della finitudine dell’esistenza.

Il dolore allora può essere visto come un legame che unisce, non come una forza che distrugge.

Nel dolore possiamo rifugiarci ripensando a chi non c’è più, in quello spazio vuoto le nostre lacrime trovano sfogo, le emozioni possono vivere da regine. Il dolore è un grande maestro di vita, può insegnare importanti lezioni se ci poniamo in un atteggiamento di completa apertura e fiducia. I nostri cari sono uniti a noi grazie al dolore, al ricordo, al vuoto: esperienze faticose ma fondamentali per riportarci al centro di noi stessi.

"La grande debolezza della morte è che può vincere solo la materia. Non può nulla contro i ricordi e i sentimenti. Al contrario, li ravviva e li radica in noi per sempre, come se volesse farsi perdonare dicendoci: “È vero, vi sto togliendo molto, ma guardate tutto quello che vi lascio”.

(Joël Dicker)

Rituali simbolici per continuare a comunicare

Si può davvero trovare il modo per comunicare con il mondo invisibile? Sentire ancora la voce dei nostri cari? Provare a instaurare un vero e proprio dialogo con loro?

Il mondo dell’Oltre invia continuamente messaggi all’uomo, mascherati da sogni, simboli, coincidenze, accadimenti che si ripetono di continuo. Il linguaggio dell’anima è fatto di immagini, di codici che non appartengono alla mente, li possiamo cogliere solo con l’intuizione. Per poter attivare questo dialogo particolare è allora importante creare un tempo favorevole all’instaurarsi di questi scambi tra i mondi.

Tutto ciò che alimenta l’intuizione è benvenuto come esercizio dell’anima. Che sia lo yoga, la preghiera, la meditazione, il ballo o qualsiasi arte creativa, tutto può aiutare a sintonizzarci su altri livelli di coscienza. Spesso basta molto di meno: una candela accesa, occhi chiusi, una melodia soave e una domanda da porre. La risposta può arrivare nei sogni, in una frase sentita da una persona che ci cattura in modo particolare, nell’apparire di un uccellino che ci porta meraviglia. I messaggi dal mondo invisibile arrivano spesso all’improvviso, portano stupore, ci destano dalla nostra quotidianità.

Andare al cimitero pensando a un defunto può farci incontrare una persona che ci riporta alla mente un ricordo vissuto proprio con quel nostro caro, oppure inoltrarci nella natura è la via maestra per iniziare a dialogare con l’invisibile poiché in questo luogo non vi è distrazione e siamo sempre ben disposti ad ascoltare il silenzio, gli animali, ad ammirare il cielo, a sintonizzarsi su un altro canale, più sottile, potente e rivelatorio.

In tutti i casi è bene rimanere ben desti, alle date, alle coincidenze, agli intoppi che viviamo quotidianamente: gli antenati hanno un modo tutto loro di farsi sentire, i loro messaggi giungono a chi è pronto ad afferrare il loro linguaggio, a chi si fida dell’intuito, a chi osa abitare tempi, luoghi e persone che sente chiamare a sé senza una spiegazione logica.

Ognuno può trovare la via prediletta per innescare il dialogo con i propri defunti: sperimentate, provate vie nuove, seguite l’intuito.

"Non stare sulla mia tomba a piangere.
Io non sono lì, non dormo.
Sono mille venti che soffiano.
Sono il diamante che scintilla sulla neve.
Sono la luce del sole sul grano maturo.
Sono la dolce pioggia autunnale."

(Mary Elizabeth Frye)

Il ricordo come nutrimento spirituale e ponte tra i mondi

Ricordare chi non c’è più è la via migliore per comunicare con il mondo invisibile. I nostri defunti si sentono riconosciuti, visti, il loro ricordo rimane vivo nelle generazioni. Spesso è importante ricostruire il proprio albero genealogico per fare chiarezza sul passato, fissarlo nella mente, nel cuore e su carta, tramandarlo ai figli, mantenere viva la memoria delle origini.

Ricordare non vuol dire rimanere nel passato, ancorandosi a ciò che è stato e non voler proseguire nella vita, vuol dire invece avere un filo che ci lega all’affetto delle origini e grazie a questo filo intrecciato proseguire con più consapevolezza verso il futuro.

Chi non viene ricordato lascia un vuoto, un non detto, un irrisolto che pesa sulla famiglia e sulle generazioni future. Ricordare invece è un ponte tra i mondi, un collegamento fondamentale per la vita, una preparazione necessaria per prepararsi al morire.

"Vita e morte non sono due estremi lontani l’uno dall’altro. Sono come due gambe che camminano insieme, ed entrambe ti appartengono. In questo stesso istante stai vivendo e morendo allo stesso tempo. Qualcosa in te muore a ogni istante. Nell’arco di settant’anni la morte arriverà a compimento. In ogni istante continui a morire, e alla fine morirai davvero."

(Osho)

Ferita primaria: cicatrici latenti che vivono nel presenteLa ferita primaria è un trauma irrisolto. Esemplifica e sottol...
31/10/2025

Ferita primaria: cicatrici latenti che vivono nel presente

La ferita primaria è un trauma irrisolto. Esemplifica e sottolinea la violazione dell’attaccamento, la rottura di quel legame essenziale tra un bambino e i suoi genitori; è il tradimento dei bisogni emotivi insoddisfatti, inascoltati. Questo dolore, originato in età precoce e mai risolto, cerchiamo di anestetizzarlo in età adulta, tuttavia, continua a condizionarci.

In psicologia, e in particolare nell’approccio psicoanalitico, viene data grande importanza alla ferita e al trauma. Freud spiegava che queste lesioni psichiche vanno dall’esterno all’interno. Si verificano nel nostro ambiente più vicino, soprattutto durante l’infanzia. Così, e ben lungi dal dissolversi con il tempo, questa ferita originale sopravvive, rimane latente ed entra nel nostro essere creando numerosi strati fino a gravitare in qualsiasi area della nostra vita…

Sigmund Freud e sua figlia Anna Freud hanno rivelato per la prima volta l’influenza delle prime esperienze sullo sviluppo della personalità, e negli anni ’90 è stato pubblicato un libro decisivo in relazione a questo argomento. "La ferita primaria. Comprendere il bambino adottato"
ci spiegava per la prima voltail trauma silenzioso, invisibile, ma permanente vissuto dai bambini adottati.

Cos’è la ferita primaria?

L’essere umano ha un bisogno che va oltre il cibo. Quando un bambino viene al mondo, ha bisogno prima di tutto di sentirsi protetto, inondato di affetto e sostenuto dall’amore. L’amore ci dà un posto nel mondo e ci nutre. L’amore ci aiuta a svilupparci con sicurezza in un ambiente empatico, dove sappiamo di essere importanti per qualcuno.

Anche quando uno psicologo o un terapeuta ricevono il loro paziente, cercheranno a loro volta di creare un ambiente in cui l’empatia e la vicinanza siano sempre patenti e palpabili. Le persone hanno bisogno di questi nutrienti, perché se non li percepiscono, se non li vedono o non li sentono, il loro cervello reagisce quasi subito. Compaiono il sospetto, la paura e la tensione.

Questo è ciò che prova un bambino quando non riceve un attaccamento sicuro. La ferita primaria viene inflitta quando i genitori non sono accessibili a livello emotivo, psichico o fisico. A poco a poco la mente del neonato viene invasa da ansia, fame, desiderio emotivo, vuoto, solitudine, perdita e mancanza di protezione.

Possiamo vedere la ferita primaria quasi come un sacrilegio evolutivo. Il processo di “ominazione” attraverso cui ogni essere umano passa, deriva prima di tutto da uno scambio di affetto solido e da una costante vicinanza tra madre e figlio. Non possiamo dimenticare che un bambino viene al mondo con un cervello ancora immaturo e che ha bisogno di quella pelle e di quell’attaccamento sicuro per continuare a crescere e avviare una esogestazione con cui promuovere la continuità del suo sviluppo.

Se qualcosa non funziona in questo processo, se nei primi tre anni di vita vi è un’interruzione di tale iter, avviene una frattura invisibile e profonda, una ferita che nessuno vede. La stessa che (probabilmente) in futuro ci limiterà in diversi aspetti della nostra vita. Vediamoli a seguire.

Effetti della ferita primaria

Handbook of attachment, degli psicologi Jude Cassidy e Phillip R. Shaver, è un libro molto interessante considerato il manuale di riferimento nello studio dell’attaccamento. In questo lavoro ci viene ricordato che il fine proprio dell’essere umano è l’autorealizzazione. Il nostro scopo è quello promuovere la sicurezza per favorire la nostra crescita personale ed emotiva, godendo così di una vita piena con noi stessi e con gli altri.

Una delle condizioni più importanti affinché ciò accada è quella di godere nei nostri primi anni di vita di un attaccamento sicuro, maturo, vicino e intuitivo verso i nostri bisogni. Se questo non accade, si genera la ferita primaria e con essa i seguenti effetti:

- Insicurezza e bassa autostima.
-Impulsività, cattiva gestione emotiva.
-Aumento del rischio di soffrire di vari disturbi psicologici.
-Difficoltà a instaurare relazioni affettive.
-Sviluppo di una “personalità da sopravvivenza”.

Cerchiamo di mostrare autonomia e sicurezza, ma il vuoto sopravvive ed è comune passare da momenti in cui l’isolamento e la solitudine sono necessari a momenti in cui si desidera la prossimità, qualunque essa sia, sebbene sia dannosa o falsa.

Come guarire la ferita primaria

La cosa più appropriata da fare in questi casi è chiedere aiuto a un professionista. Negli ultimi anni stanno acquisendo sempre più importanza le terapie come la EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). È una tecnica in cui i diversi tipi di stimolazione ed elaborazione delle informazioni sono combinati in modo che la persona porti alla luce esperienze traumatiche e ferite infantili, in modo da parlarne, riconoscerle e gestirle meglio.

Vale la pena di indicare anche quelle strategie di base di cui si fa spesso uso per affrontare e guarire la ferita primaria:

-Prendere coscienza delle proprie emozioni latenti e dare esse un nome.

-Mettere in evidenza i propri bisogni insoddisfatti (affetto, sostegno, mancanza di protezione, vicinanza empatica…). Bisogna”legittimare” questi bisogni e non reprimerli.
-Riflettere sulla solitudine provata durante l’infanzia. Lo faremo senza paura, senza rabbia e senza vergogna. Alcune persone evitano di pensare al vuoto vissuto nella loro infanzia, preferiscono non guardare quegli anni di sofferenza perché fanno provar loro dolore e disagio. Dobbiamo portare alla luce questo Io ferito, quella parte di noi ancora piena di rabbia perché non ha sperimentato abbastanza affetto e sicurezza.

-Comprendere che non è stata colpa nostra. La vittima non è colpevole di nulla.
-Permettersi di liberare la propria tristezza, le proprie emozioni. Sfogarsi.

-Impegnarsi a cambiare, ad assumersi la responsabilità di un cambiamento verso il benessere interiore.

Infine, gli esperti di gestione della ferita primaria e del trauma ci invitano a perdonare. Concedere il perdono ai nostri genitori non li esenta dalla colpa, ma ci permette di liberarci dalle loro figure. Significa accettare quello che è successo, assumere la realtà di tutto quello che abbiamo sofferto, ma essere in grado di offrire un perdono che ci permette di chiudere il ciclo del dolore per andare avanti molto più alleggeriti. Liberi da dolore, rabbia e ricordi di ieri.

Riflettiamoci. Vale certamente la pena di comprendere la complessa realtà psicologica rappresentata dalla ferita primaria.

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