Dalla strada statale di Vignola si entra in una laterale, che scende tra campi e sterrati. L’edificio che appare all’improvviso è una vecchia cartiera della Zecca di Stato
italiana – qui si produceva la filigrana delle banconote – che farebbe la gioia di
qualsiasi esperto di archeologia industriale. Questa vecchia costruzione senza insegna
è la sede della Man Made, azienda specializzata nella real
izzazione di materiale
“Pop”, acronimo delle parole inglesi “Point of purchase” (punto vendita) e che ben
si adatta a ciò ci aspetta all’interno dell’edificio. Lastre di alluminio che prendono
forma, legno che sembra plastica e plastica che sembra metallo. Tazze in ceramica
stile country, orologi da muro, bambole vestite con completi jeans, sagome che
ricordano le insegne dei benzinai americani, statuine in resina, capi di abbigliamento
in miniatura imprigionati nel plexiglass o impacchettati sotto vuoto, espositori e price
list, diffusori di essenze, candele profumate dentro canne di bambù o gusci di cocco. Insomma, tutti quegli oggetti che, in modo più o meno silenzioso, concorrono a
creare lo stile di una linea di prodotti o l’atmosfera di un negozio. E soprattutto
contribuiscono ad attirare l’attenzione dei possibili clienti che passano davanti a una
vetrina.
“E’ un’esperienza che abbiamo fatto tutti, anche se il più delle volte in modo
inconsapevole”, dice Gianluca Piroli, fondatore della Man Made. “Una passeggiata
per le strade del centro, i negozi che si succedono uno dietro l’altro: intimo, scarpe,
sport, ottica o telefonia.. Vetrine a cui lanciamo appena un’occhiata, eccetto una,
davanti alla quale ci fermiamo. Perché ci siamo
fermati davanti a quel negozio e non un altro? “Il fatto è che quella vetrina, quegli
oggetti esposti, il modo di presentarli hanno saputo raccontarci una storia”, spiega
Piroli. E soprattutto, ci hanno dato l’impressione che la storia fosse sussurata al
nostro orecchio, perché solo noi potessimo udirla. Una sorta di
seduzione, insomma, certo senza arrivare agli eccessi descritti nel film “All’improvviso
uno sconosciuto”, nel quale una bella vetrinista – interpretata da Diane Lane - viene
perseguitata da un maniaco, convinto che le realizzazioni un po’ troppo trasgressive
della ragazza fossero inviti sessuali rivolti a lui. Insomma una vetrina deve sapere entrare nel nostro mondo per trascinarci nel suo
e inviarci un messaggio. E il compito di postino è proprio affidato al materiale Pop. Un ruolo delicato, dal momento che si tratta di trasmettere il messaggio il più
fedelmente possibile, senza travisarne i contenuti, né alterarne lo spirito né prevaricarne
il senso. “Non è un caso che la sede della Man Made non abbia insegna”, continua
Piroli. “Perché non sono i nostri prodotti che devono apparire, ma quelli del cliente
per cui lavoriamo. E non è un caso neppure il fatto che, pur essendo seminascosti
in una stradina secondaria di campagna, riusciamo lo stesso a farci notare”. La Man Made lavora, tra gli altri, per Mason, Incotex, Replay, Spalding and Bros,
Rollerblade, Montana,Gianfranco Ferré, Ceramiche Ragno, Killer Loop, Nordica,
Lee, Wrangler, Blonde, Erbavoglio e molte altre. Si è occupata anche di creare il
packaging e l’espositore di una crema rassodante per glutei prodotta dall’azienda
erboristica L’erbavoglio by Tiziana. Gianluca Piroli è anche consulente creativo di
Mason, Ragno Ceramiche e Erbavoglio, tramite un’altra sua società chiamata Acmesign.
“Uno degli aspetti più complessi, ma anche divertenti, del nostro lavoro è l’esigenza
di essere flessibili, dal momento che lavoriamo con aziende tanto diverse per filosofia,
mercato ed esigenze”
“Non abbiamo un campionario, dal momento che ogni pezzo viene creato su misura
per il cliente. E per questo il lavoro dei nostri rappresentanti
è davvero complesso”. Naturalmente i materiali Pop devono essere coerenti con il
prodotto da vendere e con il mondo reale e immaginario dei potenziali compratori.
“Inutile intestardirsi a rincorrere la raffinatezza se ci si rivolge a un pubblico popolare”,
afferma Piroli. “Mentre può valer la pena osare qualcosa di più ricercato, nelle forme
e nei materiali, se i prodotti sono destinati a compratori di fascia più alta. Non esiste
un bello e un brutto, tutto è relativo all’effetto che si vuole creare. A volte anche un
tocco di volgarità può avere un senso ed essere consigliabile”. La prima cosa da fare, dunque, è individuare con precisione il destinatario. Sembra
facile ma non lo è per niente. Una vetrina di vestiti per bambini, per esempio, deve
attirare l’attenzione dei ragazzini stessi o delle loro mamme? In quest’ultimo caso
dovrà far leva sulla presentazione dei capi di abbigliamento e invogliare le signore
a provare se quel maglione così carino addosso al loro figliolo fa la stessa bella figura
che sul manichino. Ma se si vuole attirare l’attenzione dei piccoli clienti, meglio
puntare su altro. Anche arrivando al paradosso di togliere del tutto o quasi i vestiti
dalla vetrina, per sostituirli con una scenografia da cartone animato, facendo intuire
che all’interno del negozio il divertimento continua, grazie alla presenza, per
esempio, di uno spazio giochi (che oltretutto ha la funzione molto pratica di tenere
impegnati i bambini mentre le mamme si guardano intorno e scelgono). Una volta stabilito a chi si sta “parlando” si deve riuscire a evocare un’atmosfera
e raccontare una storia. La vetrina può diventare un palcoscenico nel quale gli
oggetti recitano parti molto precise, con un primo attore (il pezzo forte su cui si
vuole concentrare l’attenzione), una spalla, varie comparse, luci e oggetti di scena. Si può scegliere di limitarsi a suggerire uno stato d’animo o uno stile. Nei casi
estremi si arriva addirittura a eliminare la tradizionale separazione tra interno ed
esterno: la vetrina sparisce e si trasforma in una “finestra” che permette di entrare
con lo sguardo nel negozio, creando anzi la sensazione di essere già dentro, con
un effetto particolarmente invitante. Qualunque sia la filosofia adottata, il cliente
deve viaggiare con la fantasia: può ritrovarsi nella Cina dell’ultimo imperatore
come nella Parigi della Bella Epoque, nella cucina di campagna di sua nonna oppure
nel vecchio West. Un risultato che si ottiene proprio grazie al materiale Pop. Con
una sola regola: non limitare la creatività. Il colore, per esempio, è uno degli elementi con cui è possibile giocare. Già negli
anni ’40 lo psicologo svizzero Ernst Luscher scoprì che ogni tinta può essere
associata a uno stato d’animo. Così, il rosso e il giallo rappresentano la vitalità, il
blu la calma, il verde la rassicurazione, il marrone la passività e il viola l’ambiguità
(è anche il colore statisticamente preferito da adolescenti e donne incinte, due
categorie che in effetti si trovano in una situazione di passaggio della loro vita). Alcuni colori hanno inoltre la capacità di indurre determinate reazioni fisiologiche. Il rosso, per esempio, è eccitante: aumenta la pressione sanguigna, la frequenza
respiratoria e il ritmo cardiaco. Perfetto, dunque, se si devono vendere profumi
capaci di risvegliare la passione. Anche il giallo ha un effetto stimolante, ma meno
intenso. Il blu, invece, rallenta le funzioni vitali e aiuta a rilassarsi: è più adatto,
allora, per una linea di prodotti new age. Anche le forme hanno la loro importanza:
quelle spigolose, “maschili” evocano un’idea di aggressività e di forza, mentre le
linee rotondeggianti e morbide, quindi più “femminili”, rassicurano e creano un
senso di accoglienza. “Dedichiamo molta attenzione anche alla ricerca sui materiali,
privilegiamo materie prime pratiche da lavorare, che siano al tempo stesso piacevoli
al tatto e di facile smaltimento”. Attenzione però a non cadere in un trabocchetto:
considerare il consumatore come una persona totalmente passiva, in balia di
persuasori più o meno occulti. Colori, forme e materiali non sono bacchette magiche
che, da sole, possano rendere attraente una vetrina banale o una linea di prodotti
scadenti. Si tratta invece di strumenti, da usare per creare l’effetto desiderato, ma
sempre all’interno di una filosofia, di un progetto preciso, di un obiettivo chiaro. In questo senso ha fatto storia, alcuni anni fa, il Replay Country Store, che oltretutto
segna anche il debutto come creativo di Gianluca Piroli, all’epoca consulente della
Replay, dove è rimasto sei anni, prima di mettersi in proprio. “La Replay partiva
da una necessità che oggi appare limitata: visualizzare il marchio all’interno del
punto vendita”, ricorda. “In quel periodo si facevano soprattutto targhe di alluminio,
che ricordavano le targhe automobilistiche personalizzate americane e le insegne
delle stazioni di servizio che si incontrano viaggiando “coast to coast”. Sono partito
da questo dato per creare una serie di oggetti ispirata alla nuova frontiera americana,
all’orizzonte dei pionieri: per varcarlo bastava entrare nel negiozio”. Sono così nate
tazzone in ceramica per bere il caffè “lungo” americano, bambolotti in resina vestiti
con autentici capi Replay in miniatura, price list in metallo con la sagoma di un
carpentiere, statuette di giocatori di baseball, orologi da appendere al muro in
metallo stampato a colori, secchi di alluminio lavorati al tornio e catini di legno.
“Si trattava di materiale pubblicitario, che però il negoziante comprava dalla Replay
e che alla fine poteva rivendere”, aggiunge Gianluca. “L’aspetto straordinario di
tutto questo è il fatto che gli oggetti, agli occhi dei clienti, rappresentavano la
Replay quanto i giubbotti o i pantaloni. Sono diventati pezzi da collezione, che ho
addirittura ritrovato negli Stati Uniti, il paese al quale mi ero ispirato”. Oggetti che
passano di mano in mano, invecchiano, acquistano una memoria. E aggiungono
capitoli alla storia che vogliono raccontare.