Dr. Alessandro Tatulli

Dr. Alessandro Tatulli Il paziente al centro. La visita intorno. L'attenzione e la professionalità come mission. Medico

16/09/2025

Se non fossi diventato medico di medicina generale…
A volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se non avessi scelto la medicina generale. Forse le mie giornate sarebbero state più lineari, scandite da orari prevedibili, senza quella continua interruzione che ti ricorda che la vita degli altri può cambiare in un istante. Forse avrei potuto tornare a casa la sera con la mente sgombra, senza ripassare mentalmente diagnosi, esami, voci e volti che chiedono risposte.
Eppure, se non fossi medico di medicina generale, non avrei imparato il peso e il valore della continuità. Non avrei conosciuto il significato di seguire una persona per decenni, di vedere un bambino diventare adulto, un paziente fragile attraversare stagioni diverse della sua vita, un anziano raccontarti per l’ennesima volta la stessa storia, con la certezza che tu l’ascolterai ancora.
La medicina generale non è fatta solo di ricette e referti, ma di piccoli dettagli che a volte sfuggono a chi guarda da fuori: una voce stanca al telefono che ti fa capire che dietro c’è qualcosa che non va, un sorriso improvviso quando un dolore si attenua, una mano che stringe la tua non perché hai guarito, ma perché hai accompagnato.
Se non avessi scelto questa strada, probabilmente avrei vissuto più leggero, senza il peso di essere sempre “il primo punto di riferimento”, quello che non può dire “non tocca a me”. Avrei avuto meno responsabilità, meno burocrazia, meno paure da condividere. Forse avrei viaggiato di più, forse sarei stato più spensierato.
Ma non avrei mai conosciuto quel senso raro di appartenenza che nasce dal prendersi cura di una comunità intera. Non avrei capito quanto sia prezioso essere il testimone discreto delle vite altrui, presente nei momenti di gioia come nelle fatiche più dure.
Essere medico di medicina generale significa vivere esposti al dolore, sì, ma anche alla bellezza più semplice e autentica: quella della fiducia, quella autentica da non confondere con il politicizzato “rapporto di fiducia”. È un dono che pesa, che stanca, che segna. Ma che, in fondo, rende la vita più piena.

13/09/2025

Ed ecco, : l’involuzione dell’assistenza territoriale.
Il nuovo documento (link nei commenti) spinge le Case della Comunità—che chiamo scherzosamente “case del popolo”—verso un fast-food dell' assistenza primaria: tutto e subito, con risorse incerte e più carico sui medici di assistenza primaria costretti alle ore, sulla scia dei già fallimentari CAU.

Cosa prevede:

Hub H24 con medico di guardia (oggi MMG a ruolo unico); spoke 12 ore.

Accesso diretto, non solo tramite filtro 116117.

Perché è (già) un errore:

Senza filtro telefonico, permettendo accesso diretto, aumentano gli accessi impropri: sulla carta escludi dolore toracico/cefalea seria, nella pratica arriva di tutto—come nei CAU. Senza filtro la gente si presenta con problemi che dovrebbero essere in carico al medico di scelta, ma chi dovrebbe negare le prestazioni è il poveretto, spesso alle prime armi, che si trova a dover discutere con il cittadino che pretende questo e quello anche per situazioni assolutamente di nessuna urgenza.

Caos e confusione al posto di percorsi chiari.

Modello che diviene di fatto “concorrente” alla medicina di famiglia: niente rapporto fiduciario, alto turnover, più alto rischio di prescrizioni inappropriate su pazienti che non conosci. Il preludio a smontare la rete dei medici di famiglia a rapporto fiduciario.

La continuità di cura si frammenta e l’impatto negativo si vedrà nel medio-lungo periodo.

Cosa servirebbe (subito):

Filtro obbligatorio 116117 con triage clinico strutturato.

Standard minimi di personale e dotazioni, équipe multiprofessionali (non un solo medico “tuttofare”). AFT centrali nell'erogazione delle prestazioni solo per i propri assistiti.

Integrazione reale con slot dedicati e percorsi protetti.

Valutazione sugli esiti (sicurezza, appropriatezza, rientri), non sui volumi di accessi.

La Medicina di Famiglia non è un fast-food: è relazione, continuità, presa in carico.
Se vogliamo meno affollamento nei PS e più sicurezza per i pazienti, servono filtri e percorsi, non sportelli “tuttofare”.

̀pubblica #116117

12/08/2025

“In provincia di Piacenza la medicina di prossimità è al collasso: su 113 posti vacanti di medici di base, ne è stato coperto soltanto uno. In

22/06/2025
🌞 Estate e caldo intenso? Proteggiamoci! 🔥Il Ministero della Salute ha stilato 10 semplici regole per affrontare le alte...
22/06/2025

🌞 Estate e caldo intenso? Proteggiamoci! 🔥
Il Ministero della Salute ha stilato 10 semplici regole per affrontare le alte temperature in sicurezza: idratazione, alimentazione corretta, attenzione agli orari e... non dimentichiamoci dei più fragili, compresi i nostri amici a quattro zampe 🐶🐱

Prendiamoci cura di noi e degli altri.

17/06/2025

As life expectancies increase, the number of people living with dementia worldwide continues to rise.

📄 The 2024 Lancet Commission report on dementia prevention, intervention, and care adds compelling new evidence that untreated vision loss and high LDL cholesterol are risk factors for dementia.

Additionally, nearly half of cases of dementia are potentially preventable by addressing 14 modifiable risk factors at different stages of life.

Find out more here 👉 https://hubs.li/Q03sdzRf0

Figure: Infographic for the 2024 report of the Lancet Commission on dementia prevention, intervention and care - the infographic outlines risk factors for dementia.

14/06/2025

🦟 Estate di prevenzione – Perché proteggersi dalle zanzare?

La maggior parte delle punture è innocua, ma alcune zanzare possono trasmettere malattie anche gravi, chiamate arbovirosi.

📌 I sintomi più comuni: febbre e malessere generale, con possibili complicanze gravi negli anziani e nelle persone fragili.

Ecco alcuni semplici consigli per proteggerti:
● Usa i repellenti cutanei, scegliendo prodotti di comprovata efficacia come dietiltoluamide (DEET), Icaridina (KBR 3023), etil-butilacetilaminopropionato (IR3535) e Paramatandiolo (PMD o Citrodiol).
● Copri braccia e gambe, soprattutto nelle ore serali, con abiti leggeri e di colore chiaro.
● Applica repellenti anche sui vestiti se ti trovi in aree con molte zanzare.
● Installa o utilizza le zanzariere per proteggere gli ambienti interni.

ℹ Informati sul sito https://www.aulss8.veneto.it/prestazioni/arbovirosi-west-nile-virus/

Aggiornamento!
07/06/2025

Aggiornamento!

“Una bella dormita”: quando le benzodiazepine diventano un’abitudine pericolosaIn Italia, frasi come “Mi prendo una past...
07/06/2025

“Una bella dormita”: quando le benzodiazepine diventano un’abitudine pericolosa

In Italia, frasi come “Mi prendo una pastiglietta per dormire” o “Con una goccia ogni tanto si sistema tutto” sono diventate comuni, spesso pronunciate con leggerezza o con tono scherzoso. Tuttavia, dietro questa apparente normalità si nasconde una realtà clinicamente delicata: l’uso diffuso e spesso prolungato nel tempo delle benzodiazepine, farmaci ansiolitici e ipnotici che, se utilizzati senza un preciso controllo medico, possono creare dipendenza, problemi cognitivi, effetti paradossi e rischi medico-legali per chi li prescrive.

🧠 Cosa sono le benzodiazepine e perché vengono prescritte

Le benzodiazepine sono molecole psicoattive con azione sedativa, ansiolitica, anticonvulsivante e miorilassante. Agiscono potenziando l’effetto del GABA, il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale. Sono spesso prescritte per trattare:
• Stati d’ansia acuti
• Insonnia temporanea
• Sindromi da astinenza
• Alcune forme di epilessia



📄 Cosa dice la scheda tecnica? Uso a breve termine

Tutte le benzodiazepine, da scheda tecnica, sono indicate per un uso a breve termine. Ad esempio, per l’insonnia, la durata del trattamento non dovrebbe superare le 2–4 settimane, comprese le fasi di sospensione graduale. Anche nei disturbi d’ansia si raccomanda un impiego limitato nel tempo, preferibilmente solo in fase acuta, mentre si avvia un percorso di gestione farmacologica appropriata del disturbo (per esempio gli SSRi) e la psicoterapia.

Purtroppo, in molti casi la prescrizione viene rinnovata automaticamente per mesi o anni, portando a un uso cronico che non è supportato da alcuna evidenza di efficacia a lungo termine e che espone il paziente e il medico a conseguenze importanti.



⚠️ Prescrizione cronica: i rischi medico-legali

La somministrazione prolungata di benzodiazepine, al di fuori delle indicazioni previste, può comportare rischi medico-legali per il prescrittore. In caso di effetti avversi gravi (cadute, compromissione cognitiva, incidenti stradali, reazioni paradosse o overdose), un uso non conforme alla scheda tecnica potrebbe essere contestato come negligenza o inappropriatezza terapeutica, specie se non sono state tentate strategie alternative o se manca una documentazione chiara del bilancio rischio/beneficio.



💊 Una cultura della “pillola facile”

Nel contesto culturale italiano, le benzodiazepine sono talvolta vissute come farmaci “innocui” o quasi naturali. L’idea che “una goccia per dormire” non faccia male è radicata, anche perché molti iniziano ad assumerle in situazioni di stress transitorio e poi faticano a sospenderle. Ma come ogni psicofarmaco, il loro impatto sul cervello non è mai neutro, soprattutto con un uso prolungato.



🧼 Una soluzione semplice a un problema complesso? Attenzione alle scorciatoie

È comprensibile cercare sollievo immediato da ansia o insonnia, ma affidarsi cronicamente a una benzodiazepina equivale spesso a coprire un sintomo, senza affrontarne le cause. In molti casi, percorsi di psicoterapia, igiene del sonno,” o tecniche di rilassamento possono offrire soluzioni più durature e prive degli effetti collaterali tipici dell’abuso.

✈️ Benzodiazepine e paura di volare: un falso alleato

Un altro esempio di uso improprio è rappresentato dalla paura di volare. Molti passeggeri assumono benzodiazepine prima di salire a bordo nella speranza di “rilassarsi” o dormire durante il volo. Tuttavia:
• Non sono indicate nel trattamento delle fobie specifiche, per le quali sono più efficaci interventi psicologici strutturati (es. terapia cognitivo-comportamentale, esposizione graduale, o corsi specifici per la paura di volare organizzati spesso negli aereoporti.
• Riducono la vigilanza e i riflessi, aumentando il rischio di non reagire prontamente in caso di emergenza a bordo.
• Favoriscono la sedentarietà, ostacolando la mobilizzazione durante voli lunghi, comportamento essenziale per prevenire il tromboembolismo venoso (soprattutto nei soggetti predisposti).
• Possono provocare effetti paradossi (agitazione, aggressività, disinibizione), raramente ma con potenziale impatto critico in uno spazio chiuso come una cabina aerea.

Per questi motivi, diverse compagnie aeree scoraggiano l’uso di benzodiazepine prima o durante il volo, e alcuni enti regolatori internazionali ne sconsigliano l’assunzione in assenza di prescrizione medica strettamente documentata.

Per approfondire:

Dalla dipendenza agli effetti collaterali: l'uso improprio di benzodiazepine nel mirino degli specialisti americani.

28/05/2025
18/04/2025

Troppi esami, troppi rischi: i tumori futuri da TAC negli Stati Uniti secondo JAMA

La tomografia assiale computerizzata (TAC) è una delle indagini diagnostiche più diffuse al mondo. Negli Stati Uniti, nel solo 2023, sono stati effettuati circa 93 milioni di esami TAC su 61,5 milioni di pazienti. Sebbene questa metodica offra indubbi vantaggi diagnostici, comporta anche un’esposizione a radiazioni ionizzanti, notoriamente associate a un aumento del rischio di tumori. Lo studio pubblicato su JAMA Internal Medicine il 14 aprile 2025 da Smith-Bindman et al. si propone di stimare il numero di tumori futuri attribuibili alla TAC nella popolazione statunitense, utilizzando dati reali, modelli di rischio aggiornati e analisi approfondite per età, sesso e categoria di esame.

Lo studio ha utilizzato dati del registro multicentrico International CT Dose Registry (University of California, San Francisco), che comprende esami eseguiti tra il 2018 e il 2020 in 143 ospedali e centri ambulatoriali di 20 stati USA. Ogni esame è stato analizzato tramite metadati DICOM, inclusivi di parametri tecnici (kVp, mAs, lunghezza di scansione, pitch, collimazione) e caratteristiche del paziente (età, sesso, diametro corporeo).

I dati sono stati incrociati con le stime nazionali del numero totale di TAC effettuate nel 2023, fornite dal sondaggio IMV. L’associazione tra dose ricevuta e rischio oncologico è stata calcolata usando il software RadRAT (Radiation Risk Assessment Tool) del National Cancer Institute, basato sui modelli BEIR VII.

Sono stati considerati 26 tipi di TAC, suddivisi per distretto anatomico e indicazione clinica, e i rischi sono stati stimati per 418 combinazioni (strati) di età, sesso e categoria d’esame.

Risultati principali

Nel 2023 sono stati effettuati 93 milioni di esami TAC su 61,5 milioni di pazienti, con una media di 1,5 esami per paziente. Il 4,2% degli esami è stato effettuato su bambini e adolescenti di età inferiore ai 18 anni. Sulla base dei modelli di rischio utilizzati, si stima che questi esami daranno origine a circa 103.000 tumori futuri nel corso della vita dei pazienti esposti. Di questi, circa 93.000 si verificheranno negli adulti e 9.700 nei bambini.

Il rischio relativo per singolo esame è massimo nei bambini, in particolare sotto l’anno di età. Ad esempio, nelle bambine con meno di un anno, il rischio stimato è di 20 tumori ogni 1000 esami. Tuttavia, la maggior parte dei tumori si concentrerà negli adulti, per via dell’elevato volume di esami effettuati in questa fascia di età.

Tumori più frequentemente attribuiti all’esposizione

Tra i tumori più frequentemente attribuiti all’esposizione da TAC figurano il tumore del polmone, del colon, le leucemie, il tumore della vescica, dello stomaco, della tiroide, della mammella, del fegato e del rene. Nei bambini, i tumori più comuni sono quelli della tiroide, del polmone e della mammella. Il tumore della tiroide risulta particolarmente frequente nelle pazienti di sesso femminile, anche a parità di dose rispetto ai maschi, riflettendo differenze nei coefficienti di rischio applicati.

Il tumore del polmone è quello più frequentemente indotto da TAC negli adulti, seguito da quello del colon e dalle leucemie. Il tumore della mammella rappresenta una delle principali preoccupazioni nelle donne adulte, mentre nei bambini spiccano i tumori cerebrali e le leucemie.

TAC più frequentemente associate a tumori

Le TAC dell’addome e della pelvi sono risultate quelle maggiormente associate a tumori futuri, in quanto rappresentano una quota significativa degli esami totali e comportano dosi elevate, spesso per via di scansioni multiphasiche. Anche le TAC del torace, della colonna vertebrale e quelle total body sono associate a un numero elevato di tumori stimati. Nei bambini, la categoria più frequentemente responsabile di tumori è la TAC del cranio.

In alcuni casi, le TAC a corpo intero o le TAC con acquisizioni multiple hanno mostrato un rapporto tra rischio e numero di esami particolarmente sfavorevole, suggerendo la possibilità di un uso eccessivo o non sempre necessario di queste metodiche.

Analisi di sensibilità

Lo studio ha esplorato otto scenari alternativi per valutare la robustezza delle stime. Le proiezioni del numero totale di tumori variavano da un minimo di circa 80.000 a un massimo di circa 127.000, a seconda delle ipotesi prese in considerazione. Tra le variabili analizzate vi erano la possibilità di sovra o sottostima del numero totale di esami effettuati, la variazione delle dosi ricevute (±20%), la percentuale di esami pediatrici e l’esclusione degli esami effettuati negli ultimi due anni di vita.

Anche modificando i modelli di rischio per il cancro del polmone femminile, le stime si mantenevano comunque elevate, a conferma della consistenza dei risultati.

Dosi assorbite e modelli utilizzati

Le dosi assorbite agli organi sono state calcolate tramite simulazioni Monte Carlo utilizzando modelli anatomici realistici sviluppati dall’Università della Florida e dal National Cancer Institute. Il software RadRAT ha integrato queste dosi con tabelle di aspettativa di vita e incidenza tumorale statunitensi per stimare il rischio di cancro a lungo termine. Le stime tengono conto anche del periodo di latenza e della mortalità competitiva.

Le dosi agli organi variavano per età, sesso, tipo di esame e distretto anatomico, con valori più alti nei bambini, soprattutto nei primi anni di vita. Le TAC della testa, dell’addome e del torace sono quelle con le dosi medie più elevate agli organi critici.



https://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2832778

16/03/2025

...E in ITALIA?

"Un anno vissuto pericolosamente: non è il titolo di un film, ma la cronaca di 12 mesi passati nelle mani della sanità inglese, una giostra impazzita dove ci si gioca la vita.
Tutto comincia nel febbraio dell’anno scorso. Avevo già sofferto di attacchi di diverticolite a Milano, ma me l’ero cavata con antibiotici orali: adesso però i dolori sono forti, è sera e non c’è la possibilità di chiamare un medico. Questo perché a Londra non c’è un dottore di base che ti ha in carico: si è assegnati a un centro sanitario pubblico e ogni volta ci si ritrova davanti un medico diverso, in una girandola dove nessuno conosce te e la tua storia clinica (mesi fa i giornali hanno «scoperto» che magari avendo un dottore unico si ridurrebbero tante morti in eccesso, ma questa è un’altra storia).
Non significa che non esiste più il GP (General Practitioner), solo che non ne hai uno tuo, ce ne sono tanti che fanno capo al tuo centro sanitario pubblico e ogni volta ti vede un medico differente.
In questi centri territoriali ci si va su appuntamento, ma riuscire ad averne uno è un’impresa e dunque tutti vanno agli Accident&Emergency (A&E) degli ospedali, cioè i Pronto Soccorso, anche per le cose banali, perché è l’unico modo di farsi vedere da un medico (e per questo gli A&E sono un girone dantesco). Il più vicino a me è il Royal Free Hospital di Hampstead: è famoso, è quello dove hanno somministrato i primi vaccini anti-Covid, quando Londra ha battuto tutti sul tempo. Possiamo quindi sperare bene, forse.
La prima cosa che fanno, dopo che si viene accettati in un ospedale inglese, è infilarti una cannula nel braccio: nel caso in cui si debbano somministrare medicinali, spiegano. A prescindere da quello che tu possa avere: quindi si finisce in sala d’attesa, per ore e ore, con un ago in vena, che comincia a far male.

Quando finalmente riesco a fare gli esami (sangue, Tac), decidono per il ricovero: diverticolite acuta, ho bisogno di antibiotici per endovena, sentenziano. Problema: non c’è posto in reparto, e allora mi sistemano su una barella nel Pronto Soccorso. E lì passo la prima notte, ovviamente senza chiudere occhio: attorno a me il caotico subbuglio del servizio di emergenza, luci accese, conversazioni concitate, pazienti che gemono.
Ma mi è andata bene: nei Pronto Soccorso inglesi le attese anche di 12 ore sono ormai la norma, con esiti catastrofici. È calcolato che questo ingorgo è la causa di almeno 14 mila (!) decessi all’anno: come hanno denunciato poche settimane fa le associazioni degli infermieri, ormai la gente muore nei corridoi del Pronto Soccorso, dopo una vana attesa.
È solo l’indomani che finalmente mi trasferiscono in un reparto. E qui cominciano le scoperte. Innanzitutto, gli ospedali inglesi sono interamente gestiti dagli infermieri: i medici sono un miraggio, si affacciano solo una volta al giorno per pochi secondi, poi spariscono. In secondo luogo, non c’è un inglese a pagarlo a peso d’oro: infermieri e dottori vengono dai quattro angoli del mondo, tranne che dall’Inghilterra. In sostanza, si è ricoverati in un ospedale «in Inghilterra», ma non in un ospedale «inglese». Non è questione di essere xenofobi, o peggio razzisti, ma anche i giornali locali hanno evidenziato che non c’è una reale verifica delle qualifiche, ottenute all’estero, di tutto questo personale sanitario: quindi si è nelle mani di dottori e infermieri che Dio sa dove e come si sono formati.
Ma le sorprese non sono finite. La prima giornata passa senza che nessun dottore mi visiti: le terapie continuano, somministrate dalle infermiere, ma dottori zero. La seconda mattinata è lo stesso: e allora mi insospettisco. Esco in corridoio, scorgo un medico con un codazzo, li blocco e chiedo spiegazioni: controllano su un computer e la risposta è «si sono dimenticati di registrarti, nessuno sapeva che eri qui». Andiamo bene! E se al posto mio ci fosse stato un anziano poco presente a stesso? Sarebbe rimasto abbandonato per settimane?
A ogni modo, dopo tre giorni mi dimettono. Ma purtroppo, lo stesso problema si ripresenta a luglio: e dunque torno al Royal Free, dove mi ricoverano di nuovo, dopo esattamente la stessa trafila, inclusa la prima notte su una barella. Ma stavolta succede di peggio: al terzo giorno di degenza l’infermiera mi attacca la flebo di antidolorifici, ma niente antibiotici. Chiedo spiegazioni e mi risponde che non ha istruzioni di somministrare antibiotici: e allora qui che ci sto a fare, dico io? Finita la flebo esco in corridoio e interrogo la caposala: non sa nulla, dice che deve chiedere a un dottore. Dopo un po’ arriva il responso: c’è stato un errore, mi avevano sospeso la terapia per sbaglio! Di nuovo: se al posto mio c’era un anziano un po’ svanito?
Me la cavo anche questa volta, ma a gennaio sto di nuovo male, sintomi diversi, sembra una cosa più seria. È pomeriggio e riesco a parlare a telefono con una dottoressa del centro medico pubblico: no, non fanno visite a domicilio, mi spiega, posso andare lì da loro, se sono in grado, ma comunque non fanno neppure gli esami del sangue.
Non resta che il Pronto Soccorso: ma stavolta sono un po’ spaventato, e dopo le esperienze sconcertanti al Royal Free decido di andare in un ospedale privato. L’accoglienza è rapida ed efficiente, fanno tutti gli esami del caso (anche troppi), scoprono un’infezione diffusa e decidono per il ricovero. Il posto ovviamente è confortevole, stanza privata con tutti i servizi, ma anche qui, sorprendentemente, non ci sono praticamente inglesi (lo specialista che mi ha in carico è cinese) e tutto è gestito dagli infermieri. Ma lo choc maggiore è al momento della dimissione: per quattro giorni di degenza, senza nessun intervento particolare, solo test e terapie antibiotiche, il conto è di oltre 10 mila euro. E meno male che non si trattava di una delle cliniche del centro, quelle dove vanno i reali, se no bisognava accendere un mutuo.
Insomma, a Londra si è fra Scilla e Cariddi: una sanità pubblica che cade a pezzi e una privata che costa un occhio della testa. Quando avevo chiesto a una collega che sta qui da 25 anni come si regolasse, mi aveva risposto: «Io prego»! Seguirò il consiglio.
Gli inglesi forse non credono in Dio, ma sicuramente credono nell’Nhs (National Health Service, ossia il Servizio sanitario nazionale): in un Paese largamente post-cristiano, la venerazione per la sanità pubblica è assurta al ruolo di religione di Stato. Creato nel 1948 per volere del governo laburista di Clement Attlee, l’NHS è parte dell’identità collettiva britannica come la birra tiepida e il fish&chips: il principio di cure universali, pubbliche e gratuite resta un dogma intangibile (e irriformabile). Solo gli inglesi potevano mettere la celebrazione della Sanità al centro della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi del 2012 a Londra, con tanto di pazienti (finti) che ballavano sui letti. E durante la pandemia, in pieno lockdown, una volta alla settimana, alle 8 di sera, l’intera popolazione si affacciava sull’uscio di casa per tributare un corale applauso a medici e infermieri impegnati contro il Covid. Dio salvi l’Nhs.”
Fonte : Corriere della Sera

Indirizzo

Via ROMA, 79
Camisano Vicentino
36043

Orario di apertura

Lunedì 15:00 - 18:00
Martedì 09:00 - 12:00
Mercoledì 15:00 - 18:00
Giovedì 09:00 - 12:00
Venerdì 09:00 - 12:00

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