Dott.ssa Alessandra Di Biase

Dott.ssa Alessandra Di Biase Studio di psicoterapia e di consulenza psicologica

24/11/2025
23/11/2025

Psicoanalisiecinema45righeepiùperunfilm
Frankestein
Regia e Sceneggiatura: Guillermo del Toro Fotografia:Dan Laustsen Montaggio:Evan Schiff Scenografia:Tamara Deverell
Costumi: Kate Hawley
Musica:Alexandre Desplat
Nel Frankenstein di Guillermo del Toro, il cuore della storia non è la scienza, ma il rapporto padre–figlio. Victor non è solo creatore: è il padre onnipotente che, nel suo narcisismo, vuole generare la vita come gesto tecnico-magico, dominare il limite umano e produrre un essere che incarni il suo desiderio grandioso. Ma ciò che crea è un figlio che non è desiderato per se stesso — il punto esatto su cui Ferenczi ha descritto il trauma originario del bambino non desiderato, costretto a nascere come oggetto d’uso dell’adulto.

Winnicott ci offre la chiave clinica: Victor dà la vita, ma non offre holding, né handling, né una base affettiva minima. La creatura nasce in un vuoto radicale: generata, ma non accolta; vista, ma non riconosciuta. È l’emblema del soggetto che non riceve un ambiente sufficiente, e quindi cade direttamente nel trauma primario dell’abbandono.

Il regista restituisce alla creatura una sensibilità, un linguaggio nascente, un bisogno struggente di appartenenza. La sua domanda “Why am I alone?” è la voce del figlio-ferita che chiede ciò che non ha mai avuto: un padre capace di relazione. Ma Victor incarna ciò che oggi riconosciamo come narcisismo onnipotente paterno: l’idea che “creare” una persona equivalga a definirla e controllarla, senza sentire la responsabilità di sostenerla nella sua soggettività.

È un tratto che risuona profondamente anche nel presente: figure (genitoriali, istituzionali, sociali) che pretendono di ri-creare l’identità dell’altro, di plasmarlo, correggerlo, “aggiustarlo”, senza offrire contenimento, ascolto o spazio psicologico. Come Victor, generano identità ma non le accompagnano; producono “opere” ma non relazioni. In questo senso, il film diventa un monito contro le derive di un narcisismo che vuole formare l’altro a propria immagine e che, incapace di sostenere il suo bisogno, lo abbandona al caos.

La creatura — corpo assemblato, trauma cucito, parola che emerge dal silenzio — è il soggetto che tenta comunque di nascere a sé stesso, trasformando l’abbandono in ricerca, e il rifiuto in domanda di identità. Il suo cammino finale è una soglia: un possibile andare oltre il padre, verso una soggettività non più costruita, ma scelta.

In questa lettura, Frankenstein diventa una potente metafora contemporanea: la creazione senza cura genera fantasmi, mentre solo la responsabilità relazionale — quella che né Victor né il narcisismo odierno vogliono assumere — permette alla vita psichica di prendere forma.
Matteo De Simone psichiatra psicoanalista didatta Associazione Italiana di Psicoanalisi A.I.Psi/I.P.A, docente Istituto di Formazione AIPsi, docente Asnea, socio onorario ASSIA ( Associazione siciliana per lo studio dell'infanzia e dell'adolescenza)

23/11/2025

PER NON DIMENTICARE
IL TERREMOTO IN IRPINIA.
Era il 23 novembre 1980.

Il “presidente partigiano” Sandro Pertini visitò i posti del disastro e commentò: “Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi”.
I soccorsi, come disse Pertini, tardarono ad arrivare così come le notizie sulle reali dimensioni del dramma.
Era domenica, quella sera del 23 novembre 1980, e avevo appena risposto al telefono ad un amico per concordare l’appuntamento della solita capatina fuori porta alla ricerca di pietanze dell’antica tradizione campana. Potevano essere le sette e un quarto e bisognava sbrigarsi perché l’appuntamento era per le otto. Mi restava il tempo per preparare da mangiare alla mia cagnetta di allora che purtroppo non poté godere delle uscite serali come quella di adesso, a quel tempo era veramente difficile trovare un ristorante che accettasse l’ingresso di un cane. Mi accorsi che Carmen, così si chiamava la mia adorabile bastardina di pastore tedesco, se ne stava rannicchiata sotto il tavolo della cucina con uno sguardo diverso da quello che solitamente aveva quando intuiva la mia uscita e, giocoforza, la sua permanenza solitaria in casa. Era uno sguardo di paura misto a un segnale di avvertimento di difficile comprensione. Mi accingevo a chinarmi per accarezzarla fregandomene del ritardo all’appuntamento con il mio amico, ma, prima ancora che riuscissi a raggiungerla, Carmen mi saltò tra le braccia facendomi cascare. Avvertii allora che tutto mi tremava intorno e attribuii la cosa alla caduta. No! Era il terremoto!

Quella sera, alle ore 19.34 di domenica 23 novembre 1980, Napoli, la Campania e parte della Lucania furono colpite da un fortissimo terremoto del X grado della scala Mercalli con una prima tremenda scossa della durata di oltre un minuto il cui epicentro fu individuato tra Alta Valle del Sele nel salernitano e nel cuore della Provincia di Avellino, colpendo un’area di 17.000 km² tra l’Irpinia e la provincia di Potenza.

23/11/2025

MARIA GRAZIA CUTULI, il giornalismo come libertà.
Era il 19 novembre 2001.

Proiettili alla schiena: sarebbe stata uccisa così Maria Grazia Cutuli. Era insieme ad altri tre colleghi.

Maria Grazia Cutuli aveva trentanove anni quando cadde, il 19 novembre 2001, nell’Afghanistan dei talebani, precisamente a Sarobi, sulla strada fra Jalalabad e Kabul, mentre stava svolgendo il suo mestiere con la perizia e la scrupolosità di sempre. Quel giorno non cadde solo una donna umile e coraggiosa ma una certa idea di giornalismo. Cadde l’idea di un giornalismo pulito che consuma le scarpe e si reca nei luoghi in cui i fatti si svolgono anche a costo della vita o di atroci sofferenze. Cadde una visione del mondo, intenta a scoprire, conoscere e capire, senza puntare il dito né giudicare in maniera affrettata o in base a pregiudizi dettati da una propaganda asfissiante che all’inizio di questo secolo ha condotto il mondo sull’orlo dell’abisso.
Scriveva con rabbia, certo, con la dovuta indignazione, ma senza mai pensare di essere portatrice di chissà quale verità né ergendosi a paladina e portavoce di un Occidente di cui, al contrario, riconosceva e denunciava tutte le colpe.
Rifiutava, in poche parole, il concetto di guerra di civiltà, di scontro fra popoli, persino l’idea che fosse in atto un conflitto fra due concezioni dello stare insieme. Era convinta, all’opposto, che si trattasse di una guerra di interessi indicibili, di una violenza indotta dagli stessi che avevano straziato il paese per due decenni e di un orrore dalle radici antiche.

23/11/2025

Qualche giorno fa è stato il centenario della nascita di un sociologo, filosofo e saggista polacco naturalizzato britannico, Zygmunt Bauman (19 Novembre 1925).

A lui si deve il merito di aver sviluppato alcuni rilevanti concetti filosofici moderni che possono risuonare con alcune fondamentali teorizzazioni psicoanalitiche.

Lo ricordiamo attraverso le sue stesse parole tratte dal libro “La società dell’incertezza” (Il Mulino ed., 2014, p.65):
“Se un tempo si cercava la certezza, ora la regola è l’azzardo, mentre l’assunzione di rischi prende il posto del perseguimento tenace degli obiettivi. In questo tipo di mondo, dunque, poche cose possono essere considerate solide e affidabili: non c’è più traccia degli antichi e robusti canovacci su cui tessere la trama del proprio itinerario esistenziale.
Anche l’immagine di sé si frantuma in una raccolta di istantanee, ciascuna in grado di evocare, veicolare ed esprimere il proprio significato, spesso senza alcun riferimento alle altre. Invece di costruire la propria identità, con gradualità e pazienza, come si costruisce una casa-p - attraverso la lenta edificazione di soffitti, pavimenti, stanze, corridoi - si preferisce “ricominciare sempre dall’inizio”, sperimentando forme indossate sul momento e altrettanto facilmente dismesse: l’esito è una identità a palinsesto”.

La profondità delle emozioni riemerse  nella forma più intensa, potente e luminosa   del fare poetico.
08/11/2025

La profondità delle emozioni riemerse nella forma più intensa, potente e luminosa del fare poetico.

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*Giudizio della critica Tullia Bartolini sulla poetessa Elisabetta Destasio Vettori (Roma, 1968 - Roma, 2025), scomparsa lo scorso 24 settembre a soli 57 anni, dopo una lunga malattia.

Organizzatrice di eventi culturali, l'autrice romana ha lavorato come consulente editoriale ed editor ed ha coaudiuvato importanti produzioni teatrali e musicali della capitale, collaborando tra gli altri con grandi attori come Carmelo Bene, Lina Sastri e Monica Guerritore e musicisti di fama mondiale quali Ennio Morricone, Luciano Berio e Keith Jarrett.

Alla poesia si era accostata da adolescente perchè influenzata dalla conoscenza infantile di Pier Paolo Pasolini, che frequentava casa sua in qualità di amico del padre. E, come da insegnamento del compianto intellettuale e regista assassinato ad Ostia, anche lei era convinta che la letteratura dovesse avere una missione civile: "la poesia -ribadiva spesso- è un atto politico, oggi più che mai".

Le seguenti liriche sono tratte dalla sua ultima raccolta, 'Da luoghi profani', pubblicata nel 2024 da Les Flâneurs Edizioni, un'opera più intimista ed ermetica rispetto alle sue precedenti, di cui dice il poeta Roberto Deidier nella prefazione: "Non si avverte fragilità in questo libro che si attesta come l’opera di una maturità ormai raggiunta; ogni frase è come scolpita, ogni singola immagine è un distillato finanche feroce."


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🔴SE QUALCOSA SIAMO STATI
(Elisabetta Destasio Vettori)

Se qualcosa siamo stati
eravamo niente
mare bianco marmo
come l’aria si sposta
dai pesci rossi

ma l’acqua cade obliqua
bagna e semina
– azzurro, azzurro
sopra tutte le macerie

da qualche parte
nasco senza ferita

🔴AUTUNNO

La schiena di Roma
nell’incurvarsi dei platani,
sul lungotevere

in autunno rifiorisce
il gelsomino

ci arrendiamo
agli dei degli stracci
e alle cose abbandonate

🔴C’ERANO DEI ROSETI SFIORITI

C’erano dei roseti sfioriti
nelle cose che dicevi

voci
uscite da finestre
con gli scuri accostati

il tuo corpo all’ombra
negli anfratti fradici

fra i lungofiume,
i lampioni balenanti
lo smarrimento

ora
mi dispongo a mani giunte
ora

lascio aperta la porta e
la luce accesa

che tu possa entrare
bandire il vuoto attorno

come un grillo
una falena
un gigante piccolo
– addormentato sui gomiti

🔴C’È UN PUNTO ESATTO

C’è un punto esatto in cui
i corpi si riconoscono

come le edere
aderiscono uno all’altro

– senza penetrarsi
seguono la linea che giunge
alla prima sillaba del nome:

la linfa è pronta,
si dice cielo

🔴ENTRA

Entra – piano
vieni,
stenditi accanto:

restami nel tempo
di questa nascita
fatti pioggia che non batte,
entra

🔴PROMETTE PIOGGIA

La conseguenza
delle ossa che non si toccano
non sapere più l’insieme,
il battito, la cruna di piacere:

promette pioggia
mio corpo andiamo

08/11/2025
08/11/2025

Giovedì 6 novembre, è online la presentazione, promossa dal Centro di Psicoanalisi Romano insieme al Centro Milanese di Psicoanalisi, di Antonello Correale intitolata “La coscienza infelice e la nascita della soggettività”, un’analisi che si ricollega al pensiero del giovane Hegel, per riflettere sui processi di costituzione della soggettività.

Link per info e iscrizioni: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeRG8wwuRtfLI4b_4V0GFaiYJCpZCc4OKMBRvabnyXuccPNRg/viewform

Indirizzo

Viale Della Pace N. 291, Quadrivio Di Campagna (Salerno)
Campagna

Orario di apertura

Mercoledì 09:00 - 20:00
Sabato 09:00 - 20:00

Telefono

+393397456869

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