21/09/2025
Vivo in un piccolo paese del Sud.
Faccio le pulizie in casa d’altri da quando ero ragazza.
Non mi sono mai lamentata: lavoro duro, schiena curva, ma ho sempre avuto le mani occupate e il cuore pieno.
Mio marito andava per mare.
Il pescatore.
Un lavoro che ti insegna a non aspettarti niente, a prendere quel che viene.
Poi un giorno non è tornato.
Era uscito con la barca, come sempre.
Un infarto, dicono. Fulminante.
Da quel momento, la vita si è fermata.
Ma io non potevo permettermi di fermarmi.
E nemmeno mia figlia.
Solo che lei…
lei ha cominciato a rompersi dentro.
Si chiudeva in bagno. Mangiava e poi spariva.
Diceva che andava tutto bene, ma io lo vedevo che stava male.
Che soffriva. Che si odiava.
Avevamo bisogno di aiuto.
Ma le cure costavano. E io non avevo più niente da offrire se non il mio tempo, il mio lavoro e la mia preghiera.
Finché un giorno, una signora mi ha parlato del progetto “Terapia Sospesa”.
Non capivo nemmeno bene cosa fosse.
Mi sembrava troppo bello per essere vero: una terapia pagata da qualcuno che non ti conosce?
Un aiuto così, senza niente in cambio?
Ho pianto. Non per la tristezza, ma per il sollievo.
Perché qualcuno, senza sapere il nostro nome, ci aveva lasciato una porta aperta.
E noi ci siamo entrate.
Ora mia figlia è seguita.
Ha una terapeuta che la guarda negli occhi e le dice che può guarire.
E lei ci sta credendo.
Un poco alla volta.
Io non ho parole giuste per dire grazie.
Solo che chi ha donato, chi ha pensato a questo progetto, non ha fatto un gesto piccolo.
Ha ridato un respiro a due donne.
Una madre e una figlia.
Con gratitudine silenziosa,
Carmela, mamma, vedova, lavoratrice.