20/11/2025
TIRZEPATIDE e SEMAGLUTIDE, farmaci per il diabete usati per dimagrire: come funzionano?
Aumentano il rischio di cancro? Altri effetti?
Cresce il numero di chi vorrebbe utilizzarli per perdere peso rapidamente. Facciamo chiarezza con un'esperta sui possibili rischi
Sono nati per curare il diabete, ma da qualche tempo TIRZEPATIDE e SEMAGLUTIDE vengono utilizzati anche da chi non soffre di questa patologia per perdere rapidamente peso. Cresce il numero di chi vorrebbe utilizzarli ma si tratta di medicinali con
effetti collaterali anche gravi. Abbiamo chiesto a Silvana Gaetani,
coordinatrice Senior dell'Early Career Pharmacologists Group della Società Italiana di Farmacologia Sif e professore ordinario di Farmacologia all’Università Sapienza di Roma, di fare chiarezza.
COME FUNZIONANO?
«Semaglutide e tirzepatide imitano l’azione di due ormoni prodotti dall’intestino dopo i pasti, GLP-1 e GIP,
che aiutano l’organismo a gestire i nutrimenti, attivando gli stessi recettori degli ormoni naturali.
L’attivazione di questi recettori aumenta la produzione di insulina e riduce quella di glucagone, favorendo la
diminuzione della glicemia; rallenta lo svuotamento dello stomaco prolungando la sensazione di pienezza
dopo un pasto; nei muscoli e nel tessuto adiposo facilita l’ingresso del glucosio nelle cellule e la sua trasformazione in glicogeno, contribuendo al controllo dei livelli di zucchero nel sangue; nel tessuto adiposo stimola il metabolismo, sostenendo la riduzione della massa grassa; a livello cerebrale modula le aree che regolano fame, sazietà e ricompensa, riducendo l’appetito e rendendo meno “attraenti” i cibi molto calorici».
A CHI SI SI POSSONO PRESCRIVERE? «Agli adulti con obesità oppure sovrappeso con almeno una comorbidità legata al peso (ipertensione, malattia cardiovascolare o alterazioni della glicemia); agli adolescenti dai 12 anni in su con obesità definita secondo i percentili di crescita, e con peso superiore a 60 kg; alle persone con diabete di tipo 2 quando la metformina non è sufficiente o non è tollerata, oppure nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, come chi ha già avuto infarto o ictus. Al di fuori di queste condizioni l’uso non è previsto».
COSA SUCCEDE SE LI PRENDE UNA PERSONA SANA?
«Non è soltanto inutile sul piano medico, ma può essere rischioso. Questi farmaci sono stati sviluppati per agire su meccanismi metabolici specifici: modulano la secrezione di insulina e glucagone, rallentano lo svuotamento gastrico e agiscono sui circuiti cerebrali della sazietà. In chi ha un metabolismo glicemico ben regolato, la stimolazione farmacologica può produrre ipoglicemia, cioè un calo eccessivo della glicemia, con sintomi come tremori, sudorazione, confusione, palpitazioni, perdita di coscienza. E sul fronte del peso
l’effetto non è “magico”: in assenza di obesità o sovrappeso, la perdita ponderale può essere minima e con
una quota non trascurabile di perdita di massa magra (muscolo). Questo può comportare debolezza, riduzione del metabolismo basale e un generale peggioramento della sale».
COME SI SOMMINISTRANO E QUANTO DURA LA TERAPIA?
«Nella terapia per la gestione del peso con un’iniezione sottocutanea una volta alla settimana (addome, coscia o braccio) con penne preriempite, cioè dispositivi medici progettati per facilitare l’uso anche a chi non ha esperienza con le iniezioni. Si inizia con una dose molto bassa, pensata per abituare gradualmente l’organismo. Poi la quantità viene aumentata nell’arco di circa 16 settimane».
QUANDO SONO RIMBORSATI DAL SSN?
«Quando sono usati per il diabete di tipo 2. Per la perdita di peso nei casi di obesità e sovrappeso sono ancora in classe C, quindi a carico del paziente. Però la recente legge che riconosce l’obesità come malattia cronica apre la strada alla possibilità che possano essere valutati per la rimborsabilità».
QUANTO PESO CONSENTONO DI PERDERE E IN QUANTO TEMPO?
«Dal 15 fino al 25 per cento nell’arco di un anno e mezzo. Il dimagrimento però non è immediato: nelle prime
settimane si osservano cali modesti, perché le dosi vengono aumentate gradualmente per migliorare la
tollerabilità. Il ritmo tende ad accelerare nei primi tre-sei mesi, fino a stabilizzarsi dopo circa un anno.
Dipende poi dallo stile di vita: dieta ipocalorica e attività fisica rimangono parte integrante del percorso.
Inoltre, gli studi mostrano che interrompere la terapia porta a un recupero progressivo del peso».
QUALI SONO GLI EFFETTI COLLATERALI?
«La nausea è il sintomo più frequente, ma tende a ridursi con il tempo. Poi diarrea, stipsi o dolore addominale, mal di testa o affaticamento.
Eventi più rari, come pancreatite o calcoli alla colecisti, si manifestano soprattutto in chi perde peso
rapidamente. È importante segnalare tempestivamente al medico eventuali sintomi, così da valutare eventuali aggiustamenti terapeutici».
Si è parlato di possibili effetti sulla vista dopo che il cantante Robbie Williams ha raccontato di aver avuto problemi oculari durante l’assunzione di tirzepatide.
«In realtà, non si tratta di farmaci “tossici” per gli occhi, ma di effetti indesiderati rari che possono comparire
soprattutto in persone che hanno già una fragilità oculare preesistente».
È VERO CHE FANNO AUMENTARE IL RISCHIO DI CANCRO?
«Non ci sono prove, anzi la perdita di peso sembra ridurre il rischio di tumori legati all’obesità, perché migliora infiammazione, insulino-resistenza e altri fattori di rischio.
L’unica cautela riguarda chi ha una predisposizione genetica rara al carcinoma midollare della tiroide, per cui questi farmaci sono sconsigliati.
Anche sul pancreas si è discusso perché il GLP-1 stimola questa ghiandola. Le ricerche più recenti, però, non mostrano un aumento significativo dei tumori pancreatici».
POTREBBERO ESSERE UTILIZZATI ANCHE PER ALTRE PATOLOGIE?
«Sì, la ricerca mostra che potrebbero ridurre il rischio di infarto, ictus e morte cardiovascolare. Un altro campo promettente è la malattia epatica metabolica (steatoepatite non alcolica):
• sia semaglutide sia tirzepatide riescono a ridurre il grasso nel fegato e favoriscono la regressione
dell’infiammazione epatica.
Infine, stanno emergendo interessanti risultati preliminari nell’ambito delle dipendenze, in particolare da alcol: la semaglutide sembra ridurre il craving (il desiderio intenso) e il consumo».
(Salute, Corriere)