Ascolto Movimento Libertà

Ascolto Movimento Libertà Metodo "Feldenkrais", "Bones for Life"

22/07/2025
17/07/2025
16/07/2025

Negli ultimi giorni ho letto, come molti di voi, un post diventato virale che titolava:

“Il grande fallimento della chiropratica, dell’osteopatia e della fisioterapia: quando il corpo è trattato come una macchina senza anima.”

L’autore (un pezzo da novanta che stimiamo molto) denuncia, con toni molto accesi, l’idea che la nostra professione si sia cristallizzata su modelli meccanici, incapaci di comprendere la complessità del dolore cronico.

Poche ore dopo, un altro collega (un altro pezzo da novanta che stimiamo molto) ha risposto con un contro post più pacato e ragionato, riconoscendo alcuni limiti del riduzionismo biomeccanico, ma anche invitando alla prudenza: perché contrapporre il “tutto è tessuto” al “tutto è cervello” è solo sostituire un riduzionismo con un altro.

Abbiamo deciso di scrivere anche noi, non per alimentare polemiche, ma perché crediamo che chi lavora ogni giorno con pazienti reali abbia il dovere di chiarire, integrare e contestualizzare.

In ogni caso, pensiamo che un dibattito così acceso sia anche un segno di vivacità scientifica e di evoluzione culturale: significa che le nostre discipline stanno crescendo, si stanno interrogando, e non hanno paura di rimettere in discussione certezze consolidate.

DOVE HANNO RAGIONE?

È un fatto incontestabile che il modello puramente biomedico sia scientificamente insufficiente per spiegare e trattare il dolore cronico.

Già negli anni ‘90 Melzack e Wall avevano chiarito che il dolore non è un input ma un output, prodotto dall’elaborazione del Sistema Nervoso Centrale.

Gli studi di Moseley, Butler, Louw hanno dimostrato che la catastrofizzazione, la paura del movimento e le convinzioni disfunzionali sono fattori predittivi di cronicizzazione.

La neuroplasticità maladattiva (Latremoliere & Woolf) spiega perché il dolore persiste anche quando il tessuto è guarito.

È altrettanto vero che molti professionisti, anche oggi, raccontano al paziente narrazioni obsolete:

“Hai la vertebra fuori posto.”
“Hai il bacino bloccato.”
“Se non ti manipolo, non guarisci.”

Queste spiegazioni, oltre a non avere fondamento, alimentano la dipendenza e la paura.

In questo senso, la denuncia di chi chiede un cambio di paradigma è sacrosanta.

DOVE PERÒ IL DISCORSO DIVENTA PERICOLOSO?

Il problema di una posizione così estrema è che rischia di produrre un altro dogma: il riduzionismo neurocentrico.

Come se la terapia manuale fosse di per sé inutile o dannosa, e come se parlare di tessuti fosse un’eresia.

Ma la realtà è più complessa ovviamente.

Il dolore cronico è un’esperienza emergente dall’interazione tra tessuto, sistema nervoso e contesto.

Non è “solo cervello”.
Non è “solo tessuto”.
È la somma di entrambi, più emozioni, relazioni e aspettative.

Il tocco, il movimento e il contatto manuale hanno un ruolo importante non come soluzione unica, ma come parte di un processo che include rassicurazione, educazione e graduale riattivazione.

Il “touch” sicuro e non minaccioso riduce l’iperattività dell’amigdala (McGlone et al). La mobilizzazione passiva, se spiegata con un modello corretto, migliora la percezione di sicurezza e l’efficacia percepita. L’esercizio attivo e graduale ripristina la fiducia nel corpo.

Non tutti i pazienti rispondono solo all’educazione.

La Pain Neuroscience Education ha dimostrato efficacia significativa, ma solo se integrata con movimento attivo e strategie comportamentali, come specificato nelle review più recenti.

I pazienti con disturbi complessi hanno bisogno di un approccio multimodale personalizzato, non di una formula unica.

QUINDI, COSA SIGNIFICA FARE FISIOTERAPIA MODERNA?

Significa, in sintesi:

- rifiutare i modelli rigidi. Il corpo non è un’auto da riparare con bulloni e allineamenti. Ma non è nemmeno un concetto astratto fatto di pensieri e memorie.

- integrare più dimensioni in un progetto terapeutico coerente. Educazione uguale riduzione della paura. Movimento attivo uguale ricostruire fiducia e capacità. Terapia manuale uguale stimolare, rassicurare, modulare. Relazione terapeutica uguale sostenere e contenere.

- rispettare i ruoli professionali. Il fisioterapista non è uno psicoterapeuta. Il fisioterapista non è un ortopedico. Il fisioterapista è un professionista che sa valutare, integrare, scegliere strumenti, sempre sulla base di prove di efficacia.

- avere l’umiltà di aggiornarsi. La scienza cambia ogni anno. Se oggi parliamo di neuroplasticità e centralizzazione, domani parleremo di altro. La fisioterapia non è un dogma, è un processo di evoluzione continua.

IL MESSAGGIO CHE VORREI LASCIARE

Se sei un professionista, non farti sedurre dalle scorciatoie ideologiche.

“Solo terapia manuale” uguale riduzionismo biomeccanico.

“Solo educazione e psiche” uguale riduzionismo neurocentrico.

La verità clinica sta nel mezzo: un approccio integrato, personalizzato, basato su evidenze e sulla relazione.

Se sei un paziente, non scegliere un professionista perché parla solo di vertebre o solo di cervello. Scegli chi sa ascoltarti, spiegarti, darti strumenti e accompagnarti.

Perché la fisioterapia, quella vera, quella che cambia le vite, non è mai la difesa di un paradigma. È l’arte di combinare scienza, contatto e relazione con umiltà.

Siamo consapevoli che ogni modello ha punti di forza e limiti, e che il valore di un approccio si misura prima di tutto sull’impatto reale nella vita delle persone. Per questo il nostro invito non è a rinunciare all’innovazione, ma a integrarla con senso critico e rispetto della complessità.

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Con la prossima presentazione ci spingiamo in provincia di Cuneo: venerdì sera alla Biblioteca Civica di Dronero ci sarà una bella chiacchierata in compagnia della cara collega Marta Murino - Ascolto Movimento Libertà.
Parleremo del corpo, del sistema nervoso e di come attraverso l'ascolto di se stessi in movimento ognuno sia facilitato ad esprimere la propria natura più autentica.

Indirizzo

Via Roma 180 B
Caraglio
12023

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