Psicologo_Derek Paraboschi

Psicologo_Derek Paraboschi Dr Derek Paraboschi Psicologo Psicoterapeuta in formazione

L’Acceptance Commitment Therapy è una tipologia di terapia cognitivo comportamentale di terza generazione.Il suo obietti...
18/08/2022

L’Acceptance Commitment Therapy è una tipologia di terapia cognitivo comportamentale di terza generazione.

Il suo obiettivo è quello di promuovere, attraverso diverse tecniche, una flessibilità psicologica maggiore nel paziente.

I processi che prende in considerazione sono sei:

Accettazione, Momento presente, Defusione, Sé come contesto, Valori e Azione impegnata.



Alcuni si chiedono cosa si fa nello studio di uno psicologo o psicoterapeuta. Di solito le risposte variano, da un gener...
20/07/2022

Alcuni si chiedono cosa si fa nello studio di uno psicologo o psicoterapeuta. Di solito le risposte variano, da un generico “si parla di problemi” ad un altrettanto generico “si cresce come persone”. Ciò non dà una chiara fotografia di ciò che accade.

L’esposizione è una di quelle cose che accade nel contesto terapeutico, ma che cos’è?

L’esposizione è una tecnica che punta a far apprendere una risposta diversa da quella di disagio rispetto a uno stimolo che causa emozioni o vissuti problematici.

Questa tecnica consiste nel cercare di rimanere con e verbalizzare l’emozione e lo stimolo che la elicita, senza fuggirli, in modo da permettere alla normale risposta fisiologica dell’organismo di decadere naturalmente ed evitare ad apprendere ulteriormente la fuga dello stimolo, ma anzi, imparare una risposta che inibisce questa attivazione.

In seguito, si cercano di creare le condizioni per un consolidamento di questo apprendimento e di aggiungere una nuova storia positiva del paziente, senza cancellare lo stimolo.



Provare ansia è normale. Anche non volerla è normale.Spesso ci chiede di essere mandata via con sempre più insistenza.A ...
12/07/2022

Provare ansia è normale. Anche non volerla è normale.
Spesso ci chiede di essere mandata via con sempre più insistenza.
A volte però è necessario starci insieme per capire che non ci impedisce di andare dove vogliamo, provando di non darle troppo da mangiare.

Tutti, a volte, ci sentiamo soli.Può essere quando non veniamo invitati ad un evento. Può essere quando il messaggio imp...
14/06/2022

Tutti, a volte, ci sentiamo soli.

Può essere quando non veniamo invitati ad un evento. Può essere quando il messaggio importante viene ignorato. Può essere una sera in mezzo a persone che non riusciamo a sentire vicine in quel momento.

E tutto questo fa male.

E’ normale e succede a tutti. Siamo degli organismi che hanno dovuto la propria sopravvivenza al gruppo, l’essere soli significava morire, e il cervello ha un ottimo modo per segnalarci le cose pericolose: il dolore.

Il dolore implica quindi un’azione per adattarsi. Agire, spostarsi, attaccare, scappare.

A volte questa azione non avviene o non può avvenire. A volte l’ambiente suggerisce che la situazione non può cambiare.

Quel dolore e quel sentimento di solitudine si cronicizzano, rivelandosi una delle cose meno salutari per il nostro organismo grazie, tra le altre cose, a una cronica preparazione ad una risposta che non avviene. Un bagno di cortisolo.

Spesso si diventa più sensibili ai segnali sociali ma meno bravi a interpretarli, rendendo difficile creare nuove relazioni, fino a che noi stessi evitiamo le interazioni.

Fa sorridere amaramente quindi che, nella società più connessa dalla creazione della civiltà, ci siano sempre più persone che si sentano sole e isolate e che, spesso, il tempo sacrificato per riuscire a vivere oggi sia spesso quello con le relazioni strette.

Come sostiene John T. Cacioppo “Il reale sollievo dalla solitudine richiede la cooperazione di almeno due persone, eppure, più la nostra solitudine diventa cronica, meno siamo in grado di invogliare questa cooperazione.” (Il suo libro è intitolato, in modo fantasioso, “Solitudine” e ne consiglio la lettura).



“Avanti, è successo a tutti, passerà. Risolvi il problema, alzati. Riprenditi.”Quante volte lo abbiamo sentito e quante ...
06/06/2022

“Avanti, è successo a tutti, passerà. Risolvi il problema, alzati. Riprenditi.”

Quante volte lo abbiamo sentito e quante volte lo abbiamo detto a una persona che soffriva di depressione?

“Avanti, cos’è sta ca***ta dell’insulina? Ce la puoi fare da solo. Ripigliati.”

Quante volte lo abbiamo sentito e quante volte lo abbiamo detto a una persona affetta da diabete?

Eppure, la depressione porta a cambiamenti ormonali nel nostro corpo ed è una malattia debilitante come il diabete.

Chi soffre di depressione ha sintomi “biologici” tanto quanto “mentali” se ha senso dividere le due categorie.

Nella visione comune una persona depressa è vista come qualcuno di passivo, inattivo per mancanza di volontà.

I livelli di cortisolo e attivazione da stress ci dicono che chi soffre di questo disturbo ha in corso una battaglia che ne esaurisce le energie.

Per ipersemplificare sono tre i principali neurotrasmettitori (sostanze che i neuroni del nostro cervello usano per comunicare) coinvolti:

Bassa dopamina legata all’incapacità di provare piacere;

Bassa serotonina legata alla ruminazione per dolore psicologico e senso di colpa;

Bassa noradrenalina legata all’incapacità di agire e attivarsi.

I principali farmaci agiscono su questi tipi di sostanze. Ma questo è solo una faccia della medaglia, infatti a questi si aggiunge tutta la componente psicologica che può essere affrontata con la psicoterapia.

Per farla ancora più breve, usando le parole di Sapolsky la depressione è: “Un disordine biochimico con componenti genetiche e influenze da esperienze precoci in cui qualcuno non riesce ad apprezzare più i tramonti.”

E questa è una delle cose più brutte che può accadere ad una persona.

La mancanza di controllo e la mancanza di prevedibilità sono i due ingredienti fondamentali per infornare quella che pot...
11/05/2022

La mancanza di controllo e la mancanza di prevedibilità sono i due ingredienti fondamentali per infornare quella che potenzialmente è una br**ta esperienza che vi imbottirà di cortisolo.

Queste due componenti sono state scoperte rendendo la vita veramente difficile a diverse generazioni di ratti (se siete un ratto da laboratorio e il laboratorio sta studiando lo stress, sperate di essere nel gruppo di controllo).

Spesso la reazione che abbiamo quando la reazione da stress diventa un problema, lo diventa quando si cronicizza, è cercare di agire su queste due componenti se non possiamo allontanare il problema.

Abbiamo tutti l’amico che quando il gioco si fa duro nella sua testa inizia a mettere a posto la cancelleria sulla scrivania. Ecco, quello è un timido tentativo per dirci “Ecco, ora ho il controllo.” e sfruttare la scarica di nuerotrasmettitori che ne deriva. Funziona?

Per qualche secondo, forse. Dopo forse inizierà a pensare che non ha veramente il controllo, che per gli standard culturali di riferimento e per la sua storia d vita dovrebbe averlo, che non è all’altezza e che se solo potesse scaraventerebbe la scrivania dal quarto piano.

Il “Lasciare andare” scritto nelle immagini che cercano di essere in linea coi tempi si riferisce al lasciare andare questa necessità di controllo che spesso rende la situazione negativa.

Quello che infatti sembra un banale consiglio che chiunque può dare è qualcosa che può essere difficile da raggiungere e non si riferisce alla situazione in sé, ma alla regola che ci imponiamo. Quella regola di dover essere in controllo, che spesso funziona nel mondo esterno e che, inevitabilmente, funziona molto meno con la nostra mente e quello che c’è dentro.

Uno dei regali che ci ha lasciato l’evoluzione del nostro sistema nervoso è quello di provare paura. Grazie a quello i n...
28/04/2022

Uno dei regali che ci ha lasciato l’evoluzione del nostro sistema nervoso è quello di provare paura. Grazie a quello i nostri antenati sono riusciti a evitare di diventare pasto di animali più grossi e noi riusciamo a salvarci la patente dalle forze dell’ordine.

Purtroppo, questa macchina ben oliata, adattata per tempi molto diversi, può fare cilecca esattamente come il vostro gestionale smette di lavorare quando non dovrebbe farlo.



Spesso si sente parlare insieme di ansia, paure e traumi.

Non sono la stessa cosa: l’ansia è sì un’attivazione da stress ma spesso per un evento futuro o passato, non presente nel mondo reale (o non ancora) . La paura ha tutte le componenti di attivazione da stress dell’ansia ma con un evento esterno specifico.

Le paure possono diventare traumi quando la risposta avviene in contesti non adatti. Come la risposta esagerata per i fuochi d’artificio sfruttata dalla maggior parte dei film post Vietnam, la parte che spesso caratterizza un disturbo post traumatico è l’attivazione fisiologica non consona in contesti non adatti, richiamata spesso da caratteristiche della situazione legate al trauma. Non il massimo.



Ma torniamo alla generica attivazione da stress.

Fondamentalmente è una sorta di riflesso generico e aspecifico, il prezzemolo del rimanere in vita. Se c’è una minaccia, infatti, aumentare il battito cardiaco, l’attenzione e la capacità muscolare va sempre bene. Ancora meglio se riusciamo ad anticipare la minaccia grazie alla memoria.
Il fatto che la risposta sia così generica implica, inoltre, che spesso siamo noi a dover dare un significato, una storia per cosí dire, a quello che la parte più vecchia del nostro cervello ci sta facendo vivere. Detto così sembra robaccia new age, perciò useremo un termine tecnico e inglese come: processo top down (top: la nostra evolutivamente nuova e smagliante city car ibrida corteccia prefrontale e down il vecchio ma affidabile pick up zero elettronica che va dove deve andare a discapito delle aiuole comunali).

Questa risposta è molto utile finchè c’è effettivamente qualcosa da combattere o da cui scappare o per cui immobilizzarsi come la recita scolastica in cui avete fatto l’albero.

Il fatto che siamo molto bravi ad associare le cose significa che possiamo lavorare per un’idea, intenerirci per dell’inchiostro su delle pagine e avere una risposta da stress che ci prepara ad agire per un sacco di cose per le quali non possiamo agire. Questo è bene ma non benissimo.

Immaginate di preparare il vostro corpo per la lotta o la fuga della vita per 5 minuti in cui siete fortunati e riuscite a seminare il conoscente molesto che vi vuole fare entrare in uno schema piramidale di prodotti per la pelle.
Cessato il pericolo tornate tranquilli a rilassarvi.
Avete speso molte energie metaboliche, accelerato il cuore ma avete agito e avete "scalato la marcia" ora.

Ora immaginate di preparare il vostro corpo cosí ma per il mese prossimo perché dovreste esporre un progetto in pubblico e l'ultima volta avete fatto una pessima figura.
Il motore è a 3000 giri, ma voi siete fermi, a pensare a cosa potrà andare storto.

Un panorama molto diverso.


Per combattere questa reazione spesso si può scegliere di agire sulla sintomatologia tramite diversi farmaci che sono mirati ad aumentare diversi tipi di sostanze che interagiscono col nostro sistema nervoso centrale.

Questo non modifica però la storia che abbiamo di quello stimolo, solo le nostre sensazioni.

Ciò che è stato trovato utile per modificare la storia dello stimolo, stimolo di cui abbiamo paura o da cui siamo stati traumatizzati, è l’esposizione a esso, fisica o tramite il linguaggio in un contesto protetto.

Raccontarlo e riviverlo finchè da un’attivazione ingestibile si arriva a provare qualcosa che possiamo gestire senza fatica.

“Grazie al c***o” potrebbero dire alcuni. Ebbene sì. Questa progressiva abituazione porta fisiologicamente ad un abbassamento della risposta se effettuata con le dovute cure.

E’ un po’ come raccontare una barzelletta finchè non fa più ridere ma con la storia peggiore della vostra vita. In questo post sto usando l'ironia per renderlo accattivante e fruibile ma ricordiamo che si tratta, appunto, di un evento traumatico che porta sofferenza nella vita di una persona. Non è assolutamente facile rivivere un episodio del genere.

Un passo in più che in diversi studi sembra rivelarsi necessario è creare una nuova relazione con qualcosa di positivo, nonostante l’evento traumatico. Senza cancellarlo. Cancellarlo non si può.



Un esempio (perché ridiamo sempre delle disgrazie altrui negli spettacoli di stand up comedy finchè non capitano a noi):



Gigi ha un incidente d’auto mentre va a giocare a calcetto con gli amici (si sarebbe comunque rotto il crociato).

La magia della generalizzazione ha inizio e Gigi inizia a non andare più in auto, in bici, a giocare a calcetto e si isola in casa.

Gigi inizia un percorso d’esposizione con il proprio trauma, racconta l’incidente nel dettaglio dopo aver consultato un medico che gli ha consigliato un servizio adeguato, pubblico o privato.

La sua attivazione fisiologica all’inizio è molto alta. In teoria va dallo psicorobo per stare meglio, non per stare peggio. Rivuole i suoi soldi.

Poi si accorge che la sua reazione inizia a diminuire ogni volta che si espone al racconto o allo stimolo.
Il suo trauma inizia a diventare “quell’incidente in auto che ho avuto l’anno scorso mentre andavo a calcetto”.

Gigi ritorna a usare auto e bici perché l’attivazione ora è gestibile MA non è finita qui.

La nuova storia non diventa “ora prendo l’auto” ma “Ora prendo l’auto per andare a fare qualcosa che per me è importante nonostante quello che è successo un anno fa”.



Perché è importante?

Qui diventa un po’ più tecnica la questione:

Le connessioni dei circuiti coinvolti nella reazione di minaccia Amigdala, Ipotalamo, Ipofisi, ecc.) sono prevalentemente eccitatorie. In pratica i neuroni si urlano contro, come in un cantiere a Bergamo. Se l’urlo è abbastanza forte, il neurone dopo urla a quello successivo, così via.

La nostra corteccia prefrontale, in cui le “storie” di cui abbiamo parlato prima vengono formate, invece tende a tappare le bocche, è inibitoria, soprattutto con le parti menzionate prima.
È un po' la parte bacchettona che ci impedisce di fare qualcosa perché, se non prendo ora la caramella, dopo ne avrò due. O perché, se non la prendo, non romperò una regola.

La storia positiva ci serve per diminuire ancora di più la probabilità di un’attivazione non adattiva.

Ho semplificato? Sì, molto.

E’ così semplice? No.



Però è un buon modello di funzionamento.
Inoltre ho esposto solo una parte degli approcci verso questo genere di condizioni.

16/04/2019

La curiosità è un elemento basilare delle nostre funzioni cognitive, ciononostante la sua funzione biologica, i suoi meccanismi, e la sua struttura neurale sottostante rimangono poco studiati e poco compresi.

Ad ogni modo, la curiosità è uno stimolo che motiva l’apprendimento, che influisce sul processo di presa decisionale e che è cruciale per uno sviluppo sano dell’organismo.

12/04/2019

La corteccia prefrontale è una delle regioni cerebrali che si sono più evolute nell’uomo.

Abbiamo avuto i primi indizi riguardo alla sua funzione da un uomo chiamato Phineas Gage, che ha sofferto dell’incidente lavorativo più famoso nella storia delle neuroscienze.
Gage era un operaio addetto alla costruzione di ferrovie.
Si diceva fosse simpatico, gran lavoratore, intelligente e responsabile. Il 13 settembre 1848 una sbarra di ferro di circa un metro, con 2,5 cm di diametro, gli perforò la testa, entrando da sotto l’occhio e distruggendo la maggior parte della sua corteccia prefrontale.

Miracolosamente Gage sopravvisse, ma si dice divenne impulsivo, insensibile e profano.

Questa è stata una delle prime evidenze del fatto che la regione prefrontale governa quelle che vengono chiamate “funzioni esecutive”: risoluzione dei problemi, mantenimento dell’attenzione e inibizione degli impulsi emotivi.

Indirizzo

Via Vittorio Veneto 23
Carpaneto Piacentino
29013

Orario di apertura

Lunedì 10:00 - 18:00
Martedì 10:00 - 19:00
Mercoledì 10:00 - 18:00
Giovedì 10:00 - 18:00
Venerdì 10:00 - 19:00

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