Sarahbracci

Sarahbracci Percorsi di Consapevolezza

12/12/2025

LETTERA DI UNA NONNA ALLA SUA NIPOTE

Amore mio,
io non so se avrò ancora molte albe davanti.
Non lo so e non mi interessa più.
Ho vissuto una vita intera a rincorrere giorni, stagioni, treni, e poi un giorno ho capito che ogni vita è un soffio, e che il soffio non si misura con i calendari ma con la pienezza.

Volevo lasciarti qualcosa.
Non anelli, non ricette, non fotografie.
Volevo lasciarti la sola cosa che conta: un modo di vivere.
Il mio non è stato sempre sereno, ho avuto paure, difese, silenzi.
Sono stata brava a trattenere, meno brava a sbocciare.
E oggi, da questo punto della riva, ho una sola urgenza: che tu non faccia gli stessi errori.

Promettimi che non confonderai la prudenza con la rinuncia.
La prudenza protegge, la rinuncia spegne.
E non sei nata per spegnerti.

Promettimi che aprirai le braccia all’amore, anche quando avrai paura.
Anche quando avrai il cuore dolente e la memoria stropicciata.
Chi ama rischia sempre qualcosa, ma chi non ama perde tutto in partenza.

Promettimi che non chiederai il permesso per essere felice.
Molte donne della mia generazione hanno imparato a sorridere piano, per non disturbare.
Tu no, tu sorridi forte.
Sorridi come se stessi occupando il mondo. Perché, in realtà, lo stai facendo.

Promettimi che non aspetterai di sentirti pronta.
Pronta è una parola elegante che spesso nasconde paura.
La gente parte quando deve partire, non quando è pronta.

Promettimi che non resterai dove non fiorisci.
La vita è corta e le stanze sbagliate fanno appassire.
E se un giorno sentirai che ti manca l’aria, non cercare di diventare più piccola.
Cerca una finestra. Una porta. Un prato.
E vola, vola via.

Promettimi che non confonderai le cicatrici con i difetti.
Le cicatrici non sono rotture: sono la mappa di dove sei stata, di chi hai amato, di cosa hai dovuto lasciare.
Se un giorno ti guarderai allo specchio e penserai di essere imperfetta, ricordati: ogni cosa viva è imperfetta. E proprio per questo respira.

Promettimi che ascolterai i tuoi silenzi.
Non sempre il mondo ti indicherà la strada.
A volte la direzione la sentirai nella pancia, in un tremito, in una stanchezza, in un desiderio senza parola. Fidati. È il tuo sangue che ti parla.

Promettimi che ballerai anche quando il cuore peserà.
Io non ho ballato abbastanza.
Credevo che la dignità fosse stare ferme.
Poi ho capito che la dignità è muoversi, anche con le ginocchia che tremano.

Promettimi che non ti vestirai delle aspettative altrui.
Se ti ameranno solo quando fai comodo, non è amore.
E tu meriti amore, non convenienza.

Promettimi che, quando la vita sarà troppo, non ti chiuderai.
Le porte chiuse proteggono, sì, ma impediscono alla primavera di entrare.

Promettimi che perdonerai te stessa.
Sempre, anche quando la tua scelta sembrerà incoerente, sbagliata, f***e.
Che libertà è questa: poter crescere senza autocondannarti.

E infine, la più grande:

Promettimi che non avrai paura di vivere davvero.
Senza trattenerti, senza rimandare, senza abbassare il volume dei desideri.
La paura non passa prima di agire: passa dopo.
Dopo aver fatto il passo, dopo aver aperto la finestra, dopo aver detto di sì o di no.

Quando avrò finito i miei giorni, non temere per me.
La morte non spaventa chi ha vissuto.
Mi spaventa soltanto l’idea che tu possa lasciare intatte le tue ali per paura di cadere.

La vita non vuole cautela: vuole presenza.
Vuole che tu senta il vento, che tu rida con tutto il petto, che tu pianga con tutto il cuore.
Vuole che tu non abbia paura di perderti, perché in realtà, quando ci si perde, ci si ritrova.

Se ogni tanto ti sentirai fragile, ricordati di questo: la fragilità è una porta, non un difetto.
Ti permette di entrare nel mondo degli altri, ti permette di essere toccata e di toccare.
E ciò che è toccabile è vivo.

Quando penserai a me, non pensare alla mia età.
Pensa a ciò che ho imparato troppo tardi.
E vivilo, tu, prima.

Ti voglio bene, amore mio.
Un bene che non finisce quando smetto di respirare.
Il bene resta dove lo hai seminato.

Promettimi che vivrai una vita intera, non una vita trattenuta.
È il mio testamento, l’unico, solo per te.

Con amore e per sempre,
la tua nonna.

Oscar Travino

12/12/2025

"Insistere sull'imperfezione preclude la crescita. Accettare l'imperfezione come parte della tua umanità é crescere. Se tu puoi amare la parte di te che tu pensi sia imperfetta, questo può diventare un momento di trasformazione."

Massimo Rosselli

12/12/2025

LE NOSTRE FERITE EMOTIVE
Quando un bambino viene al mondo, ha bisogno di sentirsi protetto e amato. Il costante rispecchiamento emotivo con chi se ne prende cura, permette al bambino di sviluppare un senso di sicurezza, una buona autostima e un adeguato senso di sé.
Alcuni bisogni psicologici sono fondamentali e universalmente condivisi, come ad esempio il bisogno di essere amati, il bisogno di sicurezza, il bisogno di essere apprezzati, il bisogno di essere liberi e indipendenti… e così via.
Capita spesso che i nostri genitori, educatori, amici e parenti rispondano in modo inadeguato ai nostri bisogni: è qui che nasce l’esperienza dolorosa della nostra ferita primaria.
Di solito un bisogno primario ferito durante la nostra infanzia tende a ripresentarsi nel corso della nostra vita, spesso ingigantito, condizionandoci.
LA FERITA PRIMARIA E LE NOSTRE MASCHERE
Ogni ferita è all’origine di un particolare meccanismo comportamentale di protezione, istintivo e automatico, che ha lo scopo di evitarci di rivivere quella stessa sofferenza della nostra infanzia.
Ognuno di noi indossa delle Maschere che, pur essendo protettive, possono rivelarsi limitanti in quanto intrappolano in modalità relazionali ripetitive e vincolanti.
Queste maschere possono essere definite in Psicosintesi subpersonalità primarie e sono comuni a tutti gli individui anche se in ciascuno si esprimono in misura e in forme particolari.
Un bisogno primario ferito, diventerà il nucleo centrale di una nostra subpersonalità primaria (maschera), che avrà quindi come obiettivo la soddisfazione di tale bisogno nella nostra vita.
Dobbiamo sempre ricordarci che la nostra Maschera si costruisce a protezione della nostra ferita, togliendo però spazio all’espressione di altre parti di noi più creative.
Ogni persona manifesta tratti appartenenti a diverse subpersonalità primarie, ma in particolare una di esse avrà un effetto dominante sull’organizzazione della personalità.
PRENDERCI CURA DELLE NOSTRE FERITE
Non esistono scorciatoie alla guarigione delle nostre ferite.
E’ necessario contattarle, osservarle, risentirle per poi lasciarle andare.
Il primo passo consiste nel prendere coscienza e nell’osservare le nostre maschere, cercando di capire da cosa ci proteggono.
Questo tipo di lavoro si basa su un ascolto non giudicante e lo sviluppo graduale di una nuova possibilità di abbracciare il nostro bambino ferito.

a cura della Dr.ssa Maria Vittoria Salimbeni

12/12/2025

Quando l’uomo si accinge seriamente al compito del proprio sviluppo spirituale, scopre presto che la prima necessità è un’accurata purificazione di tutti gli elementi della sua personalità, della parte fisica, emotiva e mentale della sua struttura. La purificazione fisica si ottiene principalmente attraverso l’armonico contatto del corpo con gli elementi della natura: la luce del sole, l’aria e l’acqua, una retta alimentazione, e certe pratiche igieniche raccomandate dai nuovi movimenti per la salute; poiché queste sono generalmente conosciute, non c’è bisogno di soffermarsi su di esse.
Ma c’è un tipo di purificazione più sottile a cui gli Orientali, specialmente gli Indiani, hanno prestato molta attenzione, a volte fino al punto dell’esagerazione; noi Occidentali, invece, abbiamo molto da imparare al riguardo. Si tratta della purificazione delle emozioni, degli istinti e degli impulsi. Questa è di grande importanza, data la pronunciata vitalità della natura emotiva non solo nelle persone ordinarie, ma spesso anche in individui evoluti. Essa consiste soprattutto nel riorientamento e nella purificazione dei desideri coscienti, nello spostamento delle brame del cuore delle cose umane e terrene alle cose spirituali e divine. Questo è stato sintetizzato nel bel detto indiano: “Se ancora desideri vedere, brama di vedere Lui in ogni forma; se ancora desideri udire, brama di udire Lui in ogni suono”.
Ma questo non completa il lavoro di purificazione. C’è un’altra parte, più sottile e difficile, che deve essere compiuta nella sfera delle passioni e dei desideri inconsci. Dobbiamo liberarci dai vari attaccamenti, dalle paure, dalle attrazioni e dalle repulsioni relative a individui, cose e luoghi, che ci legano in tanti modi e ostacolano il nostro sviluppo interno e l’adattamento esterno, e ritardano la crescita spirituale. Tutto questo è stato largamente trattato dalla psicoanalisi e da linee consimili di ricerca psicologica, e se eliminiamo le esagerazioni, le indebite generalizzazioni e le tendenze materialistiche che fanno della psicoanalisi freudiana un metodo rischioso e perfino pericoloso, troveremo molte indicazioni utili e illuminanti.

Roberto Assagioli
(Purificazione della personalità)
da: Semi di Psicosintesi

12/12/2025

Per arrivare a riconoscere i valori positivi che vi sono nella vita occorre innanzitutto una grande apertura; un’umiltà non deprimente ma dignitosa di fronte al mistero; un’accettazione amorevole; la disposizione a non pretendere ed esigere dalla vita e dagli altri, bensì a dare e a darsi; il riconoscimento della propria essenziale libertà spirituale e l’accettazione della conseguente responsabilità. Così si arriva a riconoscere che tutto deriva dal nostro atteggiamento e che questo non solo permette di riconoscere i significati e i valori, ma addirittura li può creare, li può conferire. Questo è in nostro potere, dipende dalla nostra libera scelta, da una nostra decisione, quindi da un atto di volontà. Questa è l’alta meta, la luminosa conquista alla quale si può arrivare mediante il risveglio e un adeguato sviluppo spirituale, ma per giungervi occorre spesso affrontare e vincere una serie di conflitti interiori, prodotti dalla molteplicità e complessità della natura umana.

Roberto Assagioli
Cit. Scelta e Decisioni

I regali di natale più belli
09/12/2025

I regali di natale più belli

A noi viene in mente un gesto d’amore, come quello che puoi realizzare facendo una donazione per gli animali. Dai più valore al tuo Natale e alle persone che ami con LAV. Scopri tutti gli animali che abbiamo aiutato, le loro storie e come puoi sostenerli facendo un regalo davvero speciale.

08/12/2025
19/11/2025

noi sottoscritti, Giuristi e Avvocati per la Palestina (GAP), professionisti del diritto impegnati nella tutela dei diritti fondamentali del popolo palestinese, ci rivolgiamo a Lei nella Sua qualità di Capo dello Stato, garante della Costituzione e della fedeltà della Repubblica agli obblighi inte...

19/11/2025

Le famiglie sono al gelo, gli studenti faticano, i residenti vengono lasciati fuori, mentre gli investitori si arricchiscono sempre di più. Unisciti a migliaia di persone che chiedono di avere case per la gente, non per i profitti.

18/11/2025

Sono il papà di Lorenzo: qualche tempo fa ho scritto qui su "la situazione è grammatica" una storia che voleva far sorridere e, alla fine, quasi 30.000 persone si sono fatte una risata (e alcuni commenti erano persino più comici della storia stessa).

Qualcuno ha anche detto: "Queste cose sono impossibili!".
Sì, certo. Come Fantozzi che prende la corriera saltando dal balcone: impossibile, ma fa ridere lo stesso.

Ci riprovo: questa storia è ispirata (solo ispirata, per ca**tà) a un fatto reale.
Assolutamente reale.
E, come la precedente, voglio raccontarla con la speranza di strapparvi almeno un sorriso.

Beh, il mio Lorenzo ha una sorellina: Sofia.
Ieri sono andato al colloquio con la professoressa di italiano di Sofia (frequenta la seconda media).

Ero preparato. Avevo letto il registro elettronico. Sofia aveva preso un 5 nel tema. Volevo capire il perché.
Ero tranquillo. Ero un genitore responsabile. Ero pronto, vestito con lo stesso sorriso stampato da supereroe che avevo indossato per il compito di Lorenzo.

"Gliene dico quattro."
Avevo ripetuto questa frase come un karma per tutto il pomeriggio.

Prima di entrare mi sono guardato allo specchio del bagno.
"Sei un ingegnere. Hai una laurea. Hai costruito palazzi. Puoi affrontare una professoressa di italiano."
Mi sono dato una pacca sulla spalla, sorriso "supersmile". Sono entrato.

La professoressa B. è seduta alla cattedra. Sessantacinque anni, occhiali spessi, capelli raccolti.
Mi guarda con un mirino laser al posto degli occhi.
Non sorride, anzi: sembra una statua di cera (incazzata per giunta).
Attorno a lei, silenzio e penombra: una scena degna di un film dell'orrore.

Il mio sorriso da “pubblicità del dentifricio”, in un millisecondo, diventa quello di Shrek quando scopre che deve incontrare i genitori di Fiona.

"Prego, si sieda."
Non mi saluta: obbedisco immediatamente. Mi siedo.

"Allora, professoressa, volevo capire questo 5 nel tema di Sofia. Mi sembra una bambina che si impegna..."
Lei alza una mano: sembra uno di quei monaci tibetani dei cartoni animati.
Mi zittisce.

"Signor M., prima di parlare di sua figlia vorrei farle una domanda."
"Certo, mi dica."
"Lei ha letto il tema?"
"Sì, l'ho letto."
"E cosa ne pensa?"
"Beh... forse c'è qualche errore di grammatica, ma nel complesso mi sembra carino..."
"Carino..." ripete con tono tagliente. "Carino..."

In quel momento ho l'impressione che sul suo viso compaia qualcosa di simile a un sorriso, ma non sono sicuro: sembra più un ghigno.
Pausa. Mi fissa.

"Signor M., mi sa dire che tipo di errore è questo?"
Tira fuori il tema di Sofia. Cerchia qualcosa con la penna rossa. Me lo mostra.

"Scusi?"
Comincio a sentire caldo. Siamo a novembre, ma inizio a sudare.
Non un sudore normale: un sudore denso, vischioso, da interrogazione delle superiori.
Quello che ti cola lungo la schiena e ti fa sembrare che ti sei fatto la doccia vestito.

Mi avvicino: "Mi faccia vedere..."

"Qui: 'Gli ho detto'. Sua figlia ha scritto 'gli ho detto' riferendosi alla nonna. È corretto?"
"Ehm... no, dovrebbe essere 'le ho detto'..."
"Esatto. Perché?"
"Perché... perché si riferisce a una donna?"
(Penso: dai, questa era facile, ho una laurea in ingegneria... posso farcela.)

Lei annuisce. Scrive qualcosa sul registro.

"Continuiamo. Qui: 'A me mi piace'. Cosa c'è di sbagliato?"
"Vabbè, non si scrive, è sbagliato, si sa..."
Faccio un sorriso, cerco di conquistarla con la simpatia, ma lei rimane impassibile, fredda come un ghiacciolo.
Pausa.
"Il termine tecnico è 'pleonasmo'. Lo sapeva?"
"No, io..."
(Mi ha preso in castagna, questa non la sapevo proprio.)

Cerco di fare il simpatico: "Posso chiedere l'aiuto da casa?"
Rido. Rido solo io.
Lei mi guarda come se stesse pianificando il mio funerale morale.

"Sette meno. Procediamo."
Gira pagina.
"Qui sua figlia ha usato il passato remoto in modo scorretto. Mi sa dire perché?"

A quel punto mi rendo conto che sta parlando con me come se fossi Sofia.
Devo interrompere la cosa.
Mi schiarisco la voce, attivo la modalità Ingegnere-ON e dico:

"Professoressa, io sono venuto per parlare di mia figlia, non per..."
"Signor M., lei pretende che io dia un voto migliore a sua figlia, ma lei stesso non conosce la grammatica italiana. Come può valutare il mio operato?"

Mer... mi ha spiazzato.
Rimango in silenzio, sprofondo nella sedia di legno.
Lei continua:

"Ora le faccio una domanda. Quando si usa il congiuntivo imperfetto?"
"Scusi?"
"Il congiuntivo imperfetto. Quando si usa?"

Questa non mi ci voleva... eccheccazzo...
Parlo e scrivo correttamente, ma non è che faccio l'analisi grammaticale, logica e del periodo ogni volta che qualcuno apre bocca...

Mi faccio coraggio:
"Io... non lo so con precisione..."
"Sei meno. Avanti. Mi dica la differenza tra complemento di specificazione e complemento di denominazione."

Adesso è troppo!
Mi alzo:
"Professoressa, io sono un ingegnere, non..."
"Cinque. Insufficienza grave!"

Scrive tutto su un foglio, poi mi guarda:
"Signor M., le ho appena dato tre voti: sette meno, sei meno, cinque.
La media è 6. Scarso."

Mi guarda.
Io non so cosa dire.
Mi siedo di nuovo e le dico (non gli, mi raccomando):

"Senta, prof…."
"Professoressa, grazie. Ora le faccio un'ultima domanda. Molto semplice. Mi dica: cos'è un anacoluto?"
"Un... cosa?"
"Ana-co-lu-to."

"Ma... io... conosco l'analcolico: l'analcolico biondo che fa impazzire il mond..."
Niente.
Speravo di strapparle un sorriso con una citazione da boomer, ma lei prende la penna, scrive sul foglio, poi mi guarda:

"Quattro."

"Signor M., lei oggi ha preso una media del 5,5. Insufficiente. E pretende che io dia un voto più alto a sua figlia che — almeno lei — sa cos'è un anacoluto?"

"Ma veramente io... non sono preparato su certe cose..."
"Signor M., le consiglio di studiare. Magari potrebbe chiedere a sua figlia di aiutarla.
Sofia conosce la grammatica. Lei no, a quanto pare."

"Professoressa, ma questo è assurdo..."
Riprendo il mio ruolo di genitore e la dignità di ingegnere.

Lei mi guarda ancora con gli occhi che sembrano di vetro (forse è solo suggestione ma sono certo di scorgere piccole scintille rosse e arancioni nelle sue pupille), poi con voce greve:

"Assurdo? Le sembra assurdo che un genitore venga a sindacare il mio lavoro senza conoscere la materia?
Sa quanti genitori come lei vedo ogni settimana?
Genitori che non sanno neanche cos'è un participio passato ma vengono qui a dirmi come devo valutare?"

A quel punto si alza.
Non si alza normalmente: si alza come Darth Vader quando toglie la maschera a Luke.
La stanza sembra oscurarsi ulteriormente.
Giuro di aver sentito un tuono in lontananza.

"Il colloquio è finito. Arrivederci, Sig. M. e si ricordi: studi!
Altrimenti la prossima volta la interrogo davvero."

Mi sento come Fantozzi davanti al Megadirettore Galattico.
Mi guardo attorno cercando scampoli di dignità.

Esco dall'aula.
Sono le 17:05.
Sono stato dentro sette minuti.
Mi sembrano sette ore: sudato, rosso e affranto.

Nel corridoio incontro un altro genitore.
Mi guarda come si guarda un reduce di guerra.

"Com'è andata?" Sussurra, come se temesse di essere sentito.
È visibilmente preoccupato.

Lo guardo:
"Oggi interroga."
"Cooosaaaa? Noooo... non so niente! Però dai... non l'aveva detto..."
"Mi ha interrogato. E ho preso 5,5."

Lui ride, ma negli occhi gli leggo il terrore puro.

Un'altra mamma, davanti a me, telefona al figlio:
"Mamma torna a casa, ha un malore improvviso. Facciamo ve**re papà...
No, aspetta, facciamo ve**re la nonna.
Papà viene solo se proprio non c'è nessun altro."

Esco dalla scuola distrutto moralmente.
Quando torno a casa, Sofia mi viene incontro:

"Papà, com'è andata a scuola?"
"....Bene."
"Cosa ti ha detto?"
"....Niente."
"Ma non ha parlato del mio tema???"
"Sì. Ha detto che... che devi continuare così."
"Davvero?"
"Sì. E ha detto che... che devo studiare."
"Tu?"
"Sì. Io."

Sofia ride.
"Papà, la prof ti ha interrogato?"
La guardo. Lei sorride.
"Sì."
"E quanto hai preso?"
"5,5."

Sofia scoppia a ridere.
Poi mi guarda seria, con l’aria da tutor universitario che valuta uno studente fuori corso da sette anni: "Papà, vuoi che ti aiuti a studiare?"
Annuisco piano, come nei film quando il protagonista capisce che non ha più via d’uscita.
"Sì. Penso di sì."

Quella sera Sofia mi ha spiegato cos'è un anacoluto.
Io ho preso appunti.
Con l'evidenziatore, il foglio protocollo e la postura da scolaretto in punizione.
A un certo punto mi ha pure detto:
"Papà, ma puoi stare attento?”

Quando ha finito la lezione ha chiuso il quaderno e, con la sicurezza di un generale che ha appena addestrato un nuovo soldato, ha detto:
"Bravo. Domani ripassiamo i complementi."

Il giorno dopo, in ufficio, un collega mi chiede:
"Tutto bene? Sei pallido."
"Sono stato interrogato."
"Dal capo?"
"Peggio. Dalla professoressa di mia figlia."
Silenzio.
"Quanto hai preso?"
"io….5,5."

Fa una smorfia, come se mi avesse visto aprire un contenitore di yogurt del 2018 poi si avvicina e mi sussurra…. "Mi dispiace… anche io… 5,5"

Dislcaimer: Nessun ingegnere è stato maltrattato durante la stesura di questo testo.

F.M.

08/09/2025
08/09/2025

Indirizzo

Via Fiamminghini
Cassano D'Adda
20062

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