Eugenio Lampacrescia

Eugenio Lampacrescia Pedagogista e Logopedista
Direttore scientifico de
IL FILO DI ARIANNA SRL
Docente a c. UNIVPM

TALVOLTA È POESIAMi nutro di parole,fame di succulento cibo.Le gusto nell’intimo,nelle antiche radicile assaporo nel pre...
20/08/2025

TALVOLTA È POESIA

Mi nutro di parole,
fame di succulento cibo.

Le gusto nell’intimo,
nelle antiche radici
le assaporo nel presente,
speranza di nuovo futuro.

Vivo un’impetuosa calma
nella ricerca della verità,
ben oltre il mio soggettivo.
Non amo l’ambiguo parlare
e il frettoloso non senso.

Impudente,
m’adopero a nutrir parole,
giocar con loro,
possederle, poi privarmene,
metterle altrove,
spogliarle e rivestirle
di metafore e paradossi,
accoppiarle e distanziarle un po’,
onorarle nel grembo del silenzio.

L’imprevista trasformazione
via via, allunga il mio sguardo
rammento vibranti istanti,
li traccio su un foglio
con inchiostro semprevivo.

Ho imparato a correggermi
arte preziosa che raffina
cancello lieto e ricerco altrove.

Fino a quando,
equilibri di-versi,
fanno transitare
dense emozioni
e commozioni sincere.

Rianimano lo spirito
e m’avvolgono d’intero.

Così,
talvolta,
è poesia.
———————————

La mostra di foto e poesie, , è visitabile tutti i pomeriggi, esclusi pre-festivi e festivi, dalle 15,30 presso il centro .
Anche previo appuntamento:
Info: +39 393 9053333

Google maps:
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LA NARCISOCRAZIASENZA GENERI E CONFINIUn bambino e una bambina che non incontrano mai un limite, non imparano mai il con...
20/08/2025

LA NARCISOCRAZIA
SENZA GENERI E CONFINI

Un bambino e una bambina che non incontrano mai un limite, non imparano mai il confine. Ed è proprio senza confini, che non si diventa liberi, piuttosto pericolosi agli altri e anche a se stessi. Neppure si ama e s’insegna ed impara ad amare.

“C’è stato un tempo in cui l’autorità educava. Non schiacciava, ma sosteneva. Oggi, invece, assistiamo al ribaltamento silenzioso dell’asse familiare: il bambino non cresce più all’interno di un ordine simbolico che lo guida, ma spesso lo comanda. Non è più figlio, ma piccolo sovrano. La madre e il padre – non più guida e contenimento – si piegano, si scusano, si giustificano. Temono il disagio del figlio più di quanto desiderino la sua crescita. Ma un bambino che non incontra mai il limite, non impara mai il confine. E senza confini, non si diventa liberi: si resta prigionieri del proprio ombelico.

È così che nasce il tiranno in miniatura: un essere pulsionale, impulsivo, convinto che il mondo esista per placare i suoi bisogni.

All’inizio è fisiologia: nei primi anni di vita il bambino non può che pensarsi come centro del mondo. Ma quando questa centratura non si trasforma, non si sublima, allora il bambino resta imperatore anche da adulto. E lo ritroviamo, poi, vestito da leader, incapace di empatia, affamato di consenso, allergico alla critica. Governato dal bisogno di essere adorato. È il trionfo della narcisocrazia: non più la politica come espressione del bene comune, ma come prolungamento di un ego smisurato che usa gli altri come strumenti. Ben oltre il "mors tua, vita mea": siamo al "vita tua, strumento per la mia".

La famiglia, oggi più che mai, è lo specchio delle relazioni che intessiamo nella società. La crisi dell’autorità genitoriale è la stessa che attraversa le istituzioni. Quando il padre simbolico cade – inteso non come uomo ma come principio regolatore – resta il vuoto. E quel vuoto viene riempito da chi urla di più, non da chi sa di più. Così, il fanciullo archetipico, quello di cui parlava Jung, non viene più trasceso, ma incoronato. E dove regna il fanciullo, l’illusione comanda, e la realtà si spezza.

Per questo, se vogliamo un nuovo futuro sociale e politico, non possiamo che ricominciare da lì: dalle culle. Dai no pronunciati con amore. Dai limiti che educano alla libertà. Dalla fatica della frustrazione che insegna la bellezza dell’attesa. Non è solo una questione educativa. È una questione di civiltà”

Agnese Scappini.

Trentanove anni fa, scrissi questa canzone, per bambini, ragazzi e non solo. Credo triplicata di valore oggi, nonostante...
17/08/2025

Trentanove anni fa, scrissi questa canzone, per bambini, ragazzi e non solo. Credo triplicata di valore oggi, nonostante la sua vetusta età. Ben oltre il periodo del covid, quando ci siamo impegnati a fare qualcosa per gli altri in un momento difficile per tutti. Dalle finestre e dai balconi ci facevamo coraggio con: "Andrà tutto bene". Al quale mi permettevo di aggiungere: "Solo se ci impegniamo a cambiare tutti insieme". L'avvertimento è stato forte.

Voi che dite? Ci è servito a qualcosa? La fretta è aumentata? Ci ha aiutato a dar valore all'attendere? A rallentare? Ad essere più saggi nella nostra vita? A diventare liberi davvero, che non significa per niente che ognuno fa come gli pare?

DAI TEMPO AL TEMPO

Al tempo di Noè
non esisteva il pancarrè
la cioccolata con la nocciola
e non si andava ancora a scuola.

Ci si alzava la mattina
senza la sveglia birichina
l'orologio era il sole
c'era tempo per far due parole.

E nessuno doveva cercare
un po' di tempo per giocare
un po' di tempo per pensare
non c'era niente da organizzare.

E se adesso non ce la fai...
Dai tempo al tempo
e se non hai tempo
di dar tempo al tempo
ritrovati il tuo tempo.

Al tempo dello zar
non esisteva neanche un bar
un videogame col joystick
non si scriveva con la penna Bic.

Non avevano ancora inventato
il tempo pieno e prolungato
i pomeriggi con l'inglese
piscina, danza e maionese.

E c'era più di un momento
per fare po' di movimento
tante partite mozzafiato
senza l'angoscia del campionato.

E se adesso non ce la fai...
Dai tempo al tempo
e se non hai tempo
di dar tempo al tempo
libera il tuo tempo.

È la storia di questi giorni
sembra proprio che nei dintorni
stia girando un tipo strano
che compra tempo di seconda mano.

Va cercando i suoi clienti
tra quei tipi disattenti
e fa affari a tutto andare
non ti lascia più pensare.

E rimani senza fiato
con il tempo tuo rubato
un'occhiata alla lancetta
accidenti quanto fretta!

Ma se provi ce la farai...
A dar tempo al tempo
ma se non hai tempo
di dar tempo al tempo
riprenditi il tuo tempo.

"Canzoni da casa" da ascoltare, ballare e cantare. Questo tempo forzosamente passato a casa con i figli, ma certamente prezioso, richiede disponibilità, crea...

GEOMETRIE A TAVOLAIl tavolo rotondo è una lunad’oscuro e segreto legnoche riflette le luci del tempodentro un silenzio n...
15/08/2025

GEOMETRIE A TAVOLA

Il tavolo rotondo è una luna
d’oscuro e segreto legno
che riflette le luci del tempo
dentro un silenzio narrante.

Venature, solchi, anelli
storie mute e vive
mani che si sono sfiorate
canzoni e risate
allegre parole parlate.

I commensali aspettano
i calici di cristallo
attendono buon vino
d’uva insieme raccolta.

Talvolta le ordinate posate
sono come armi in attesa
dove tutto è sospeso
per la prossima battaglia.

Carne viva al sangue
senza apparente brace
bassa, media cottura
gradi d’alta temperatura
dai carboni grassi e amari.

Eppure, il tavolo tondo
raro in certe dimore
è cuore che pulsa
geometria del conversare
che avvicina gli sguardi
lontano dal chiasso sguaiato
di chi urla sempre più forte
e dai capannelli d'isolamento.

Non è quadrato di forza
non possiede spigoli
invita alla compagnia.

Diventa pastura
di mesta nostalgia
quando sogni antichi e vivi
andati un po’ di traverso
non riescono a svanire.

Sono tavoli da pranzo
che incalzano la scelta
se prendere il proprio posto
o assistere solo al pasto
sguardo fisso al polso.

Chissà se il globo è così rotondo
per insegnarci a stare al mondo?
———————————————————
Oggi è ferragosto.
C’è Maria in cucina.
È Assunta stabilmente.
Possiamo solo pensar bene
con molte tavole imbandite.
C’è posto per ciascuno alla mensa.

La mostra di poesie e foto, “smontata” a eFFeMMe23 Biblioteca La Fornace di Moie di Maiolati, è tornata a casa.Tre scato...
13/08/2025

La mostra di poesie e foto, “smontata” a eFFeMMe23 Biblioteca La Fornace di Moie di Maiolati, è tornata a casa.

Tre scatoloni che, in fase di trasloco, aggiungono “sottosopra” a “sottosopra”. Dove li metto?

L’idea mattutina era cercare un piccolo spazio che ho trovato. Le soluzioni più ovvie spesso non ci vengono in mente subito. Perché non farlo nello studio, rimontarla anche in spazi più ridotti?

Detto fatto.
Chi non ha avuto modo di visitarla lo può fare proprio al Filo di Arianna, Castelfidardo vi Martiri della lLibertà, 3 (palazzo ex Excelsior) vicino all’Ospedale RSA.

Sarà accessibile con gli orari di studio. Tutti i giorni dalle 15,30 alle 19,00 ad esclusione dei week end. Su preventiva chiamata, anche di mattina. Info: +39 393 9053333

A partire da lunedì 18 Agosto

Ci si arriva così...Google maps:
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11/08/2025

Non è mai stato il mio lavoro principale, anche se ha sempre illuminato la mia professione. L’avrei svolto, con gran piacere, a tempo pieno. Solo con gli anni ho potuto comprendere che avere un piede in università e l’al...

IL VALORE DELL’ATTESA NEL TEMPO DELL’IMMEDIATOViviamo nell’era compulsiva dei subito: risposte rapide con un click, cons...
10/08/2025

IL VALORE DELL’ATTESA NEL TEMPO DELL’IMMEDIATO

Viviamo nell’era compulsiva dei subito: risposte rapide con un click, consegne lampo, gratificazioni immediate. In questo ritmo frenetico, l’attesa appare quasi come un disagio da evitare.

Eppure, è proprio in essa che si cela una delle esperienze più autentiche dell’essere umano. È lo spazio che affina il desiderio, coltiva la speranza, prepara il divenire, ascolta l’anima.

L’attesa è un tempo per maturare, coltivando temperanza e pazienza. Non è vuoto, tanto meno a perdere. Non è aspettarsi che succeda qualcosa, appiattiti nel presente, senza memoria e progetto. È movimento interno, come seme che germoglia. È una gestazione che custodisce, lascia crescere, maturare, uscire.

L’attesa è profondità emotiva, ben oltre gli istinti e i sentiti. Significa stare a contatto e confrontarsi con l’incertezza, la vulnerabilità. Per questo diviene un esercizio di fiducia, un atto di fede nel futuro.

L’attesa è scoprire e riscoprire il desiderio autentico. In un mondo saturo di stimoli e subito a portata di mano, ci aiuta a distinguere ciò che vogliamo davvero da ciò che ci viene imposto o, ahimé, dato ancor prima di poterlo desiderare e che richiede impegno per raggiungerlo.

L’attesa ci invita e ci costringe a rallentare. Ed è proprio nel rallentare che si osserva, si ascolta, si comprende meglio. Essa ci regala una calma prudente, riflessiva, ma sempre pro-attiva.

Pensiamo a certi momenti o riti attraversati dall’attesa: la vita universitaria, magari con il primo distanziamento da casa; un primo o nuovo lavoro; un matrimonio; una nascita; un viaggio mai fatto. Queste circostanze non sono solo transizioni, ma preparazioni. Non contemplano la fretta e l’immediatezza, o solo un’immaginazione. Necessitano di un obiettivo chiaro, un progetto, e solo poi di un programma per l’azione. Per Dietrich Bonhoeffer, l’attesa non è inattività, perché necessita di un germoglio, una cura per crescere e per divenire.

Stamattina, alla Messa domenicale, il celebrante prendeva come esempio la ricerca di un lavoro. C’è un’attesa passiva, di chi poltrisce aspettando che qualcuno lo venga a cercare; e una attiva, di chi ha chiaro dove vuole e può arrivare, e cerca un tempo di chiarezza e azione nel cercarlo.

C’è anche un‘attesa ansiogena, che blocca, non fa partire, procedere. È frequente in chi non ha un’equilibrata stima di sé. O troppa o troppo poca. La prima incappa nel perfezionismo delle prestazioni sempre al massimo, nel “sii perfetto”, senza mai un errore e che inorridisce al manchevole. La seconda si nutre spesso dei “non valgo”. Le azioni disfunzionali possono essere sintetizzate nel “tento disperatamente” per essere il migliore di tutti o nel “rinvio per un poco”. Seppur possono funzionare nel breve, in genere moltiplicano in modo esponenziale il disagio.

A partire dalle letture del giorno, il celebrante ha infine invitato a riflettere su come l’attesa diventi pensiero, sentimento e azione sacra, perché segna il confine tra ciò che è stato e ciò che sarà, anche alla fine della vita terrena. In quest’ultima condizione, portava un esempio calzante di come, in certi manifesti funebri, sempre più spesso manca la speranza futura oltre la morte. Con buona probabilità, anche tra alcuni credenti, dove è sottile la speranza in cieli e terra nuova.

Dopo lunga malattia,
“è mancato”,
“è venuta a mancare”,
“ci ha lasciato”…
sono molto diversi da
“alla fine di questa vita terrena”,
“è tornato alla casa del Padre”.

Le parole sono performativi, perché non descrivono solo le cose, ma le creano pure o le negano. La fretta, purtroppo, intorpidisce anche il linguaggio, sia nella forma sia nel contenuto. Bisognerebbe imparare a conoscerlo bene, raffinarlo, farne un uso pertinente. È un invito “ad educare al linguaggio per riformare il linguaggio”, così da renderlo meno ambiguo e utilizzarlo con senso.

In conclusione, dare valore all’attendere significa riscoprire il valore del tempo. Non come risorsa da ottimizzare, ma come spazio da abitare. In un mondo che corre, è un atto rivoluzionario. È scegliere di “dare tempo al tempo”, di fornire peso preciso al desiderio, mentre si dà direzione e forza al cammino che si sta percorrendo.

L’attesa, per essere gravida di vita, deve però poggiare su una speranza. In sua assenza, si rischia di errare, di andare a tentoni, senza una meta chiara, realistica, realizzabile.

Invito a riflettere sul recente Giubileo dei Giovani, non per trionfalismo, ma per fedeltà al reale, che spesso non si r...
09/08/2025

Invito a riflettere sul recente Giubileo dei Giovani, non per trionfalismo, ma per fedeltà al reale, che spesso non si racconta o si distorce. Lo faccio anche allegando un articolo che trovo interessante ed esplicativo.

Non ho mai amato troppo le piazze piene, soprattutto un certo modo di creare e intendere i Papaboys. Oggi, non amo neppure quelle che si sono in gran parte svuotate. I motivi sono numerosi e complessi, interni ed esterni al Cattolicesimo, e più ampiamente al Cristianesimo e alle riedizioni sincretiche di altre tradizioni religiose che invadono questo nostro Occidente boccheggiante, “oramai alla fine”, come cantava Franco Battiato. La sua rispettabile ricerca personale e spirituale era anch’essa intrisa di cultura New Age, che ha messo e continua a mettere insieme elementi difficilmente conciliabili, anche solo sul piano logico. La parola d’ordine è: integrazione. Bisogna però chiedersi perché e, soprattutto, come la si realizza e se è sempre possibile. Sono giunto da tempo alla convinzione che è uno dei tanti vocaboli che necessitano con urgenza di una essere disambiguato. Senza pensare di doverlo oscurare, piuttosto per precisarne il significato e certe ricadute pratiche.

Per quanto mi riguarda, mi sento sempre più distante da un laicismo che ha ben poco di autentica laicità, talvolta persino all’interno di segmenti della Chiesa. Lo osservo, lo vivo e, da un po’ mi dà da pensare. Mi rassicura, però, sapere che preoccupa anche certi non credenti, laici autentici, onesti lettori dei segni dei tempi, pur da un punto luce diverso dal mio e immagino di parecchi altri.

Sono sempre più convinto che Leone XIV sia il Papa giusto per questo passaggio epocale, e che la Chiesa sia davvero guidata dall’Alto, ma amministrata dal basso, con tutti i limiti umani che ciò comporta.

Anche lo stesso Leone “imbarazza” e ha deluso non pochi, proprio per quel suo garbato e deciso, arretrato e ricentrato, non conflittuale e chiaro cambio di scena. Senza dubbio diverso dai Papi precedenti, anche nel modo di riempire le piazze. Così come sono diversi i giovani e le persone che oggi le affollano.

Il Vangelo però rimane lo stesso, così come l’impegno che ne discende.
———————————————————
Per chi ha voglia di leggere e arrivare fino in fondo…

L’IMBARAZZO DEI GRANDI MEDIA DAVANTI A TOR VERGATA

di Giovanni Guzzo

L’enorme successo del Giubileo dei giovani, che ha visto a Tor Vergata oltre un milione di giovani, è qualcosa che ha senz’altro stupito tutti – anche chi ricorda la Gmg del 2000 difficilmente avrebbe pensato, un quarto di secolo dopo, di rivedere un’esperienza simile -, ma, soprattutto, ha stupito una categoria: quella dei grandi media laici, delle tv e dei giornaloni che piacciono alla gente che piace, nelle cui redazioni l’imbarazzo, dinnanzi a questa notizia, deve essere stato grande.

In effetti, nelle scorse ore bastava una rapida visita sui siti del Corriere della Sera, di Repubblica o della Stampa – le tre maggiori testate, ma non certo le uniche – per vedere come i grandi media laici, da un lato, non abbiano potuto non dare la notizia del Giubileo dei giovani ma, dall’altro, abbiano cercato di darla…a modo loro. Come? Cercando di ridimensionare il più possibile il fatto. Ma senza ridimensionarlo sotto il profilo numerico (sul milione e passa di presenze è arrivata la conferma del prefetto di Roma, Lamberto Giannini, c’era ben poco da ridimensionare), bensì sotto quello dei contenuti.

Si è cioè cercato di lavorare sui titoli, facendo attenzione a riportare le parole di Leone XIV ai giovani senza citare Gesù Cristo, cui Papa Prevost ha dedicato quasi ogni sua frase. Così, consultando il sito del Corriere si poteva imbattersi in un titolo in sé non errato ma rigorosamente laico – Papa Leone ai giovani del Giubileo: «Aspirate a cose grandi non accontentatevi di meno» -, mentre visitando quello di Repubblica si poteva leggere che il Santo Padre ha richiamato l’attenzione di ragazzi di tutto il mondo sul fatto che «comprare non basta». E pure altri giornali si sono accodati al gioco.

Morale, se fosse stato per i media laici, fermandosi ai titoli – come, ahinoi, ormai fanno in tantissimi -, ci si sarebbe fatti l’idea del Giubileo dei giovani come di un maxiraduno all’insegna delle buone intenzioni, intriso di propositi genuini ma senza una vera direzione, con anche tratti di pauperismo. Peccato che, invece, le parole di Papa Leone XIV (…) siano state invece molto chiare nell’indicare una direzione ben precisa ai giovani presenti a Tor Vergata. La direzione non di una filosofia o di una morale, ma di una persona: quella di Gesù Cristo.

Esortando a «scelte radicali», il Santo Padre ha chiesto ai giovani di «studiare, lavorare, amare secondo lo stile di Gesù». Ha altresì ricordato loro che «”nessuna amicizia è fedele se non in Cristo. È in Lui solo che essa può essere felice ed eterna” (Contro le due lettere dei pelagiani, I, I, 1); “ama veramente il suo amico colui che nel suo amico ama Dio” (Discorso 336). L’amicizia con Cristo, che sta alla base delle fede, non è solo un aiuto tra tanti altri per costruire il futuro: è la nostra stella polare. Come scriveva il beato Pier Giorgio Frassati, “vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare”».

Parole incandescenti, che devono essere state fumo negli occhi nelle redazioni dei giornaloni, che infatti, come si ricordava poc’anzi, hanno visto i loro titolisti impugnare non la penna ma l’estintore. Non deve essere stato semplice, in effetti, ritrovarsi a dover riportare le parole di un Papa del tutto prive di ogni riferimento ad agende o categorie politiche (ambientalismo, immigrazionismo, inclusione, ecc.). Ciò nonostante, i pompieri, pardon i redattori qualche cosa sono riusciti a fare, come si diceva, lavorando soprattutto sui titoli. Oppure rintanandosi in uno strano, perfino surreale silenzio.

Un silenzio di cui, ieri, si è accorto anche Enrico Mentana. «Ma è possibile», si è pubblicamente chiesto il celebre giornalista, «che politici e intellettuali di casa nostra, pronti ogni giorno a discutere, prender parte e soprattutto spiegare agli altri cosa va detto e cosa no, quale sia la parte giusta o quella sbagliata della storia, restino totalmente zitti di fronte alla prova di forza serena di quel milione di giovani che ha invaso pacificamente Roma, in nome di una fede e non di una supremazia?». In effetti, questo imbarazzato silenzio non è stato un buon servizio nei confronti del Papa, ma neppure dei giovani.

Già, i giovani. Perché quel milione e passa di giovani che, nel cuore dell’estate, hanno scelto di essere presenti a Tor Vergata, beh, non lo hanno di certo fatto per ascoltare qualche rock star o vedere dal vivo qualche divo del cinema, no: quei ragazzi e quelle ragazze erano lì per dare – e testimoniare – una Speranza. Ma non una speranza vaga e piena di buoni propositi, bensì una Speranza radicata nella fede e nella ricerca del Risorto. Qualcosa o meglio Qualcuno, pure qui, che la cultura dominante – che spadroneggia da decenni sui media -, fa davvero fatica a sopportare. Dopotutto, non deve esser semplice tramortire ogni giorno i lettori con contenuti trascurabili, per usare un eufemismo, e poi accorgersi che la vera notizia, in fondo, continua a farla Chi, da oltre 2.000 anni, tanti intellò si ostinano a credere morto.

A-PROFITEROLES C’è un dolce francesedi fattezza corteseson bignè suadenti,magnetici e attraenti.Pesanti verso seradi cre...
08/08/2025

A-PROFITEROLES

C’è un dolce francese
di fattezza cortese
son bignè suadenti,
magnetici e attraenti.

Pesanti verso sera
di crema pasticcera
di panna o di gelato
e ciocco ben glassato.

Sono tutti ben uniti
con maestria farciti
a guardarlo assomiglia
a una grande famiglia.

C’è però un particolare
che da sempre fa pensare
quand’è chiara l’evidenza
d’una solita apparenza.

Si ricorre al sol bisogno
del più travestito sogno
ch'è l’astuta comodità
di chi prende e non dà.

Una volta ben mangiata
subito vien dimenticata
e non c’è Fata Turchina
se l’azione è truffaldina.

Sto parlando di coscienza
messa tosto in quiescenza
con un Grillo che se parla
ha l’invito ad abdicarla.

Compagnia è grande cosa
ma da tempo si riposa
spezza il pane con l’altrui
dà speranza ai tempi bui.

Son metafore di vita
di una misera partita
se ognuno pensa a sé
per un semplice bignè.

D’ANIMA E CORPODopo la “prima” a Castelfidardo presso le Cantine Garofoli, si è conclusa la mostra di poesie e foto, nel...
07/08/2025

D’ANIMA E CORPO

Dopo la “prima” a Castelfidardo presso le Cantine Garofoli, si è conclusa la mostra di poesie e foto, nella splendida cornice della Biblioteca La Fornace di Moie di Maiolati. Prolungata per altri 15 giorni, rispetto al programma previsto.

Mi sto pure divertendo, non da solo. Credo sia un buon segno per continuare. Ci saranno in cantiere altre occasioni, sempre per mettere insieme - in armonia - diverse espressioni artistiche: scrittura, pittura, scultura…e le immancabili produzioni di giovani musicisti e vocalist che ci regalano la loro bravura e compagnia feconda tra diverse generazioni.

Un grazie sincero a Stefania Romagnoli e tutto lo staff della Biblioteca La Fornace. A Davide Bugari, Sofia Foschi e Gabriele Perna. A tutti quelli che sono stati presenza viva.

Trascrivo un segno lasciato tra altri nel quadernone dei visitatori. "Nonostante sia in bianco e nero, sono riuscita a vedere a colori"

Indirizzo

Via Martiri Della Libertà 3
Castelfidardo
60022

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00
Sabato 08:00 - 13:00

Telefono

+393388432994

Sito Web

http://ilfilodiarianna.studio/

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