10/04/2025
Ieri sera per caso mi sono imbattuta in una serie TV che non conoscevo, e che ho iniziato a vedere quindi quasi per caso.
Alla fine mi son fatta una maratona, e stamattina mi ritrovo ancora lì con la mente, forse anche per motivi biografici legati a temi che in questa fase della mia vita tornano spesso a bussare.
La serie di cui parlo è DYING FOR S*X su Disney+, che suggerisco di vedere per innumerevoli motivi.
È un podcast che racconta la storia di Nikki Boyer, della sua amica Molly Kochan e del suo viaggio esistenziale.
È una dichiarazione d’amore alla vita, quella vera — imperfetta, scomoda, scandalosa. È una storia vera, soprattutto.
Quando Molly riceve la notizia che il cancro è tornato e che stavolta non ci sarà guarigione, qualcosa in lei si spezza ma qualcos'altro si attiva, forse per la prima volta in lei, improvvisamente e imprevedibilmente, in maniera scomposta e che procede per tentativi ed errori. Una vitalità inaspettata, un bisogno di andarsene avendo scoperto chi siamo, di esplorare ed esplorarsi fuori e dentro.
All'inizio la serie è disturbante, la protagonista compie atti scomposti e apparentemente senza senso, come quando subito dopo aver ricevuto la notizia della diagnosi di morte, entra in un market qualunque e compra una bottiglia verde di soda, disgustosa. Un gesto inutile, sbagliato, rivelatore: il primo di molti.
Anche la scelta di lasciare il marito appare impulsiva, insensata, e ci viene spontaneo empatizzare col marito.
Ma se ci fermiamo un attimo, se sospendiamo il giudizio, ci rendiamo conto di quanto i loro sistemi motivazionali sia in totale non sintonia: lui iper-investito nella cura/ accudimento di lei, tanto da vederla esclusivamente come un essere fragile e bisognoso, e costruire la sua personalità identità sul ruolo di caregiver di una malata terminale.
Lei, invece, si muove, seppur nel dolore lacerante e nell'elaborazione del lutto della sua prossima dipartita, nel il bisogno di esplorazione, esattamente come una bambina che non è riuscita a esplorare "la vita" fino a quel momento.
Ci sono tutti, i sistemi motivazionali, e un occhio allenato non può non coglierli: quello del gioco, quello sessuale, del paritetico - collaborativo, attaccamento -accudimento, ma anche quello del rango dominanza-sottomissione, narrato in un'ottica non giudicante ma evolutiva per Molly.
Anche nel rapporto con la madre di Molly è evidente il rapporto invertito di attaccamento -accudimento, in cui abbiamo una figlia che si è dovuta prendere cura da piccola della madre instabile, invece che sentirsi accudita lei stessa.
Struggenti alcuni passaggi iniziali: la consapevolezza di non provare un orgasmo col marito da 10 anni, i tentativi "patetici" di risvegliare una passione coniugale ormai sepolta, il candore amaro con cui Molly ammette durante un rapporto occasionale di non saper rispondere ad una domanda apparentemente banale come: "Cosa ti piace?", i suoi occhi pieni di luce quando realizza "cosa" le piace.
Con tutti i tentativi, a volte maldestri e tragicomici, di sperimentare e sperimentarsi.
Inizia così un percorso radicale, intimo e irripetibile, su cui riprendo anche in parte le parole di Manlio Castagna che l'ha recensita.
La sessualità, vissuta come urgenza e scoperta, non è mai raccontata per il piacere dello spettatore: è narrata per e attraverso Molly. Ed è questo l'elemento fondamentale di questa serie: non c'è il gusto di suscitare alcuna eccitazione nello spettatore, non è una serie erotica PUR parlando di sesso.
Autoerotismo, giochi di ruolo, bo***ge, dominazione e tutto il resto sono tappe di un’esplorazione interiore prima che sessuale.
Accanto a lei c’è Nikki, l’amica di sempre. Insieme formano una coppia non romantica ma profondamente accudente. Non è un caso se Molly, lasciando il marito, le dice: «Non voglio morire con lui. Voglio morire con te.»
È la rivoluzione della serie: ridefinire il concetto di anima gemella. E anche quello di corpo.
Molly non è la donna che ci hanno abituato a piangere. Non è un angelo del focolare, né una eroina da cui imparare qualcosa. È viva, desiderante, difettosa, affamata. La sua malattia diviene una clessidra rovesciata che le permette di guardarsi finalmente con i propri occhi. Anche quando quei ricordi portano il volto sbiadito dell’abuso subìto a soli 7 anni dal compagno della madre, da cui lei vuole affrancarsi e da cui si rifiuta di sentirsi predeterminata.
DYING FOR S*X riesce in un’impresa rara: parlare del desiderio femminile senza filtri e della malattia senza pietismo.
È la verità più nuda di tutte: che non c’è un modo giusto di morire, ma ci sono infiniti modi di vivere fino all’ultimo respiro.
Guardatela.
Giulia Bevilacqua
Psicologa psicoterapeuta