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Se hai un dolore fisico, non esiti a prenotare una visita medica.Per esempio, se soffri di diabete fin dalla tenera età,...
15/06/2025

Se hai un dolore fisico, non esiti a prenotare una visita medica.

Per esempio, se soffri di diabete fin dalla tenera età, sei considerato un guerriero, ti guardano con tenerezza quando prendi la tua dose di insulina e trovi comprensione nel prossimo.

Se hai un disagio psicologico, invece, sei portato a nasconderlo.

Per esempio, se soffri di depressione fin dalla tenera età, sei considerato un debole, ti guardano con occhi sgomenti se assumi farmaci antidepressivi e trovi giudizio nel prossimo.

Il disagio psicologico è accompagnato da un forte stigma sociale che talvolta coinvolge la stessa persona che ne soffre. Chi soffre di un qualsiasi disagio psichico, infatti, spesso si sente “debole” e trova conferme nella società.

Lo stigma è un termine complesso che include problemi di conoscenza (ignoranza o mis-informazione), di attitudine (pregiudizio) e di comportamento (discriminazione).

Le persone “etichettate” come “disturbate” perdono valore agli occhi del prossimo perché l’ignoranza suggerisce che la malattia mentale è qualcosa di diverso dalla malattia fisica. Questo presupposto è del tutto errato e porta anche ad “auto-discriminazioni”: chi soffre di disagio psichico affronterà una serie di criticità legate alla “bassa stima di sé”.

In pratica, l’ignoranza porta a questa percezione: soffrire di una patologia della mente equivale a essere una persona che vale meno degli altri.
Una persona che ha un dolore fisico non esita a contattare un medico, una persona che soffre di un disturbo mentale decide di ricorrere alle cure solo dopo diversi anni dall’esordio dei sintomi precludendosi la possibilità del benessere.
Il VALORE delle persone con un disagio mentale NON E’ DIVERSO da quello di tutti gli altri, SANI O MALATI.

Foto di DSM - Disegni per la Salute Mentale

Condivido questa stimolante riflessione della mia collega psicologa Ada Moscarella. 👇🏼Se all'inizio del millennio erano ...
23/05/2025

Condivido questa stimolante riflessione della mia collega psicologa Ada Moscarella. 👇🏼

Se all'inizio del millennio erano tutti borderline, da qualche anno sono diventati tutti narcisisti.
Da sempre nel mio studio arrivano pazienti con partner o ex partner $tr0nzi/e, che ne hanno combinate di tutti i colori: tradimenti giustificati in modi surreali, innamoramenti a velocità supersonica, convivenze lampo, scelte completamente irrazionali, ricatti emotivi di ogni genere, atti mancati (i miei preferiti: quelli che si fanno scoprire perché non sanno come uscirne), ghosting, orbiting, storie Instagram piene di allusioni, ritorni improvvisi dopo ere geologiche (un classico del lockdown), e-mail furibonde e persino qualche serenata con chitarra in spalla.
Quando arrivano in terapia questi pazienti portano dolore, smarrimento, confusione.
Ferite nuove che spesso si sovrappongono a quelle vecchie, le riaprono, le aggravano, le infettano.
Appaiono pieni di rabbia e frustrazione, ma sotto sotto – e neanche troppo – sono pieni di paure.
Paura di restare soli, di essere sbagliati, di non meritare di meglio, di non valere abbastanza, persino di essere destinati a questo e a nient'altro.
Ci sono momenti in cui il lavoro del terapeuta deve essere netto, deciso.
Quando è in gioco la sopravvivenza, fisica o psichica, o quando sono coinvolti soggetti che non hanno possibilità di scelta – come i figli, reali o ancora solo immaginati, spesso investiti di ruoli messianici per cambiare la partita.
In questi casi, il significato di quelle paure si esplorerà dopo.
Prima, si salva il paziente. Lo si tira fuori da una casa che va a fuoco.
Ma poi bisogna chiederselo: cos’ha reso così affascinante l’idea di vivere con qualcuno che gioca con gli accendini e la benzina?
Ecco: nella retorica mainstream sulle “relazioni tossiche”, questo passaggio manca quasi sempre.
Ci sei tu, e poi c’è lo stronzo/a.
E basta.
Ti devi allontanare, devi riconoscere i segnali!
Così si fanno corsi per riconoscere i narcisisti, si stilano liste di red flags, si etichetta tutto: chiaro, semplice, digeribile.
Il problema viene ridotto a: “come evitare quelli/quelle che ti fregano”.
Come se interrogarsi su quali parti di noi ci hanno portato in quel bel guaio fosse un tabù.
Come se provarci significasse automaticamente condividere la colpa, come se mettere tutto sullo stesso piano.
E qui sta il rischio: favorire una resistenza – clinica e culturale – fondata su un patto implicito tra terapeuta e paziente.
Il terapeuta si trattiene dal pensare – o peggio, dal mostrare di pensare – “ma come hai fatto a non accorgertene?”.
Perché anche lui o lei magari ci è cascato/a, in una storia simile.
E il paziente, nel frattempo, ha un bisogno feroce di spostare tutta la frustrazione fuori da sé.
Il risultato?
Aiutiamo le persone a staccarsi da relazioni disfunzionali.
Ma non sempre le aiutiamo a creare lo spazio per accogliere relazioni funzionali.
E quello spazio non può nascere solo dall’abilità di schivare lo stronzo/a di turno.
Deve radicarsi in un’idea diversa di sé: nella capacità di provare amore, compassione, pazienza, tolleranza verso i propri bisogni, desideri, mancanze, passioni, contraddizioni.
Solo così possiamo smettere di cercare “la persona giusta” e cominciare a costruire “la relazione giusta”.

L’adolescenza non arriva di colpo.Si costruisce. Giorno dopo giorno.Da quando tuo figlio nasce.L'adolescenza è quel mome...
16/04/2025

L’adolescenza non arriva di colpo.
Si costruisce. Giorno dopo giorno.
Da quando tuo figlio nasce.

L'adolescenza è quel momento in cui si raccolgono i frutti di ciò che si è seminato fin dall'infanzia.
Perché sì, l'adolescenza è l'età del raccolto, abbondante o carestoso che sia.

Grazie al segreto professionale, non possiamo raccontarvi quello che ci dicono i vostri figli adolescenti.
Perchè se potessimo, allora capireste che in sedici anni non li avete mai conosciuti davvero.

Non vale per tutti, ovviamente.
Ma se ti dà fastidio,
forse questo post è rivolto proprio a te.

Ieri sera per caso mi sono imbattuta in una serie TV che non conoscevo, e che ho iniziato a vedere quindi quasi per caso...
10/04/2025

Ieri sera per caso mi sono imbattuta in una serie TV che non conoscevo, e che ho iniziato a vedere quindi quasi per caso.
Alla fine mi son fatta una maratona, e stamattina mi ritrovo ancora lì con la mente, forse anche per motivi biografici legati a temi che in questa fase della mia vita tornano spesso a bussare.
La serie di cui parlo è DYING FOR S*X su Disney+, che suggerisco di vedere per innumerevoli motivi.
È un podcast che racconta la storia di Nikki Boyer, della sua amica Molly Kochan e del suo viaggio esistenziale.

È una dichiarazione d’amore alla vita, quella vera — imperfetta, scomoda, scandalosa. È una storia vera, soprattutto.

Quando Molly riceve la notizia che il cancro è tornato e che stavolta non ci sarà guarigione, qualcosa in lei si spezza ma qualcos'altro si attiva, forse per la prima volta in lei, improvvisamente e imprevedibilmente, in maniera scomposta e che procede per tentativi ed errori. Una vitalità inaspettata, un bisogno di andarsene avendo scoperto chi siamo, di esplorare ed esplorarsi fuori e dentro.

All'inizio la serie è disturbante, la protagonista compie atti scomposti e apparentemente senza senso, come quando subito dopo aver ricevuto la notizia della diagnosi di morte, entra in un market qualunque e compra una bottiglia verde di soda, disgustosa. Un gesto inutile, sbagliato, rivelatore: il primo di molti.
Anche la scelta di lasciare il marito appare impulsiva, insensata, e ci viene spontaneo empatizzare col marito.
Ma se ci fermiamo un attimo, se sospendiamo il giudizio, ci rendiamo conto di quanto i loro sistemi motivazionali sia in totale non sintonia: lui iper-investito nella cura/ accudimento di lei, tanto da vederla esclusivamente come un essere fragile e bisognoso, e costruire la sua personalità identità sul ruolo di caregiver di una malata terminale.
Lei, invece, si muove, seppur nel dolore lacerante e nell'elaborazione del lutto della sua prossima dipartita, nel il bisogno di esplorazione, esattamente come una bambina che non è riuscita a esplorare "la vita" fino a quel momento.
Ci sono tutti, i sistemi motivazionali, e un occhio allenato non può non coglierli: quello del gioco, quello sessuale, del paritetico - collaborativo, attaccamento -accudimento, ma anche quello del rango dominanza-sottomissione, narrato in un'ottica non giudicante ma evolutiva per Molly.
Anche nel rapporto con la madre di Molly è evidente il rapporto invertito di attaccamento -accudimento, in cui abbiamo una figlia che si è dovuta prendere cura da piccola della madre instabile, invece che sentirsi accudita lei stessa.

Struggenti alcuni passaggi iniziali: la consapevolezza di non provare un orgasmo col marito da 10 anni, i tentativi "patetici" di risvegliare una passione coniugale ormai sepolta, il candore amaro con cui Molly ammette durante un rapporto occasionale di non saper rispondere ad una domanda apparentemente banale come: "Cosa ti piace?", i suoi occhi pieni di luce quando realizza "cosa" le piace.
Con tutti i tentativi, a volte maldestri e tragicomici, di sperimentare e sperimentarsi.

Inizia così un percorso radicale, intimo e irripetibile, su cui riprendo anche in parte le parole di Manlio Castagna che l'ha recensita.

La sessualità, vissuta come urgenza e scoperta, non è mai raccontata per il piacere dello spettatore: è narrata per e attraverso Molly. Ed è questo l'elemento fondamentale di questa serie: non c'è il gusto di suscitare alcuna eccitazione nello spettatore, non è una serie erotica PUR parlando di sesso.
Autoerotismo, giochi di ruolo, bo***ge, dominazione e tutto il resto sono tappe di un’esplorazione interiore prima che sessuale.
Accanto a lei c’è Nikki, l’amica di sempre. Insieme formano una coppia non romantica ma profondamente accudente. Non è un caso se Molly, lasciando il marito, le dice: «Non voglio morire con lui. Voglio morire con te.»
È la rivoluzione della serie: ridefinire il concetto di anima gemella. E anche quello di corpo.

Molly non è la donna che ci hanno abituato a piangere. Non è un angelo del focolare, né una eroina da cui imparare qualcosa. È viva, desiderante, difettosa, affamata. La sua malattia diviene una clessidra rovesciata che le permette di guardarsi finalmente con i propri occhi. Anche quando quei ricordi portano il volto sbiadito dell’abuso subìto a soli 7 anni dal compagno della madre, da cui lei vuole affrancarsi e da cui si rifiuta di sentirsi predeterminata.

DYING FOR S*X riesce in un’impresa rara: parlare del desiderio femminile senza filtri e della malattia senza pietismo.

È la verità più nuda di tutte: che non c’è un modo giusto di morire, ma ci sono infiniti modi di vivere fino all’ultimo respiro.

Guardatela.

Giulia Bevilacqua
Psicologa psicoterapeuta

02/04/2025

“Dobbiamo sempre chiederci che cosa vedono i quando viene realizzato un video per i . Nel caso dello , i vedono un adulto che parla e gioca con loro e nel frattempo li sta riprendendo, quindi si abituano all’idea di un pubblico, della recita. Soprattutto i si abituano all’’idea dell’approvazione del pubblico come strumento di gratificazione e come metro del loro valore, rigorosamente espresso in like”.

, Professoressa di Sociologia della comunicazione all’Università Roma Tre e anche commissaria dell’AGCOM.

Lo scorso fine settimana le dottoresse Giulia Bevilacqua e Paola Fraternali hanno terminato la formazione di I° livello ...
01/04/2025

Lo scorso fine settimana le dottoresse Giulia Bevilacqua e Paola Fraternali hanno terminato la formazione di I° livello in EMDR, una tecnica evidence based per lavorare in seduta sui traumi semplici e complessi.
Nell'ottica di una formazione permanente e continua, ci impegnamo per offrire ai nostri pazienti una psicoterapia di qualità sempre maggiore e al passo con le neuroscienze.

19/03/2025

Auguri a tutti i papà, ossia a tutti coloro che si prendono cura quotidianamente di un bambino con amore e responsabilità.

L’adolescente desidera e ha bisogno di un genitore stabile, che sta al suo posto, che appaia “vecchio” e che gli lasci s...
14/03/2025

L’adolescente desidera e ha bisogno di un genitore stabile, che sta al suo posto, che appaia “vecchio” e che gli lasci spazio sulla scena, di un genitore con cui entrare in conflitto e che dia regole da trasgredire. Perché essere adolescente è quella cosa lì, trasgredire per uccidere la tua infanzia.

Il tipo di genitore che invece oggi va per la maggiore non consente al figlio di fare questa operazione fondamentale, perché è come se lo tenesse sempre nella beatitudine infantile.

Uno dei leit motiv dei genitori di questa generazione che definirei della “mutazione antropologica narcisistica” è quella di voler avere buoni rapporti con i figli adolescenti: se non li hanno ne soffrono, la ritengono una cosa insostenibile. Ma a ben vedere questo non solo è impossibile ma è la tipica soluzione che rafforza il problema.

Nel momento in cui invece di fare la sua parte educativa il genitore si pone sul versante della gradevolezza delle relazioni, basate sul benessere reciproco e su una certa compiacenza, si incammina su un sentiero impraticabile.

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Daniele Novara

10/02/2025

La cosa più difficile del post parto è renderti conto che stai urlando aiuto mentre affoghi, e (quasi) tutto il tuo villaggio corre verso il tuo bambino, che è al sicuro,invece di aiutare te.

14/01/2025

‼️‼️‼️

Praticare l'educazione affettiva ed allenare l'intelligenza emotiva vuol dire anche crescere bambinə che a 6 anni appena...
12/12/2024

Praticare l'educazione affettiva ed allenare l'intelligenza emotiva vuol dire anche crescere bambinə che a 6 anni appena compiuti siano in grado di esprimere emozioni complesse come la fierezza, che sappiano riconoscere e verbalizzare la tristezza (motivandola), o che sappiano leggere gli stati d'animo altrui offrendo supporto.
Che maneggino con naturalezza il loro mondo affettivo interiore, e riescano a condividerlo.

Non si tratta di nulla di complesso, se lo so fa rientrare nelle loro abitudini quotidiane fin da piccolissimi (smettiamola di trattare i bambini come esseri "troppo piccoli per la complessità", per favore!!), dando noi adulti l'esempio e facendolo loro da specchio nell'esprimere sentimenti che ancora non sanno nominare.

QUALI SONO I RISCHI PER UNA COPPIA CHE NON HA INTIMITÀ?Il tema dell'INTIMITÀ in una relazione di coppia è cruciale per l...
14/11/2024

QUALI SONO I RISCHI PER UNA COPPIA CHE NON HA INTIMITÀ?

Il tema dell'INTIMITÀ in una relazione di coppia è cruciale per la salute EMOTIVA, FISICA e PSICOLOGICA di entrambi gli individui. L'INTIMITÀ FISICA, che include fare l'amore, è una componente importante che rafforza il legame affettivo e aumenta la connessione emotiva tra i due. La mancanza di intimità può generare diversi rischi per la relazione, tra cui:

1. DISTANZIAMENTO EMOTIVO: L'intimità fisica aiuta a creare e mantenere una profonda connessione emotiva. Senza di essa, i membri della coppia possono iniziare a sentirsi emotivamente distanti, il che può portare a una disconnessione che influisce sulla comunicazione e sulla fiducia.

2. SENTIMENTI DI INSICUREZZA E RIFIUTO: Quando uno o entrambi sentono che l'intimità manca nella relazione, possono iniziare a chiedersi se l'attrazione o l'amore siano diminuiti. Questo può generare insicurezza e sentimenti di rifiuto, il che impatta l'autostima e la fiducia nel legame.

3. AUMENTO DI IRRITABILITÀ E STRESS:
L'intimità fisica rilascia ormoni come l'ossitocina, che riduce lo stress e promuove una sensazione di benessere. La mancanza di questi momenti può aumentare tensione e stress, generando conflitti e malintesi.

4. RISCHIO DI INFEDELTÀ: Anche se non è una regola, la mancanza di intimità può portare uno o entrambi a cercare soddisfazione emotiva o fisica al di fuori della relazione. Questo è particolarmente vero se la mancanza di privacy persiste senza comunicazione o soluzione.

5. DISMINUZIONE DELL'IMPEGNO E DELL'AFFETTO: L'intimità fisica è un'espressione di amore e impegno. Senza di essa, alcuni possono sentire che la relazione si trasforma in una convivenza senza passione, il che influisce sul desiderio di entrambi di continuare a investire emotivamente nella relazione.

La mancanza di intimità può essere un sintomo di problemi più profondi, come mancanza di comunicazione o stress personale. Per questo è importante che le coppie parlino apertamente delle loro esigenze e sintomo di problemi più profondi, come mancanza di comunicazione o stress personale. Per questo è importante che le coppie parlino apertamente delle loro esigenze .

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60022

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