12/11/2025
VITAMINA D, PARATORMONE E ACIDOSI TISSUTALE
Molti conoscono la vitamina D3 come “la vitamina del sole” e la collegano giustamente a ossa forti e difese immunitarie. Ma pochi sanno che per valutarne davvero lo stato e l’impatto sull’organismo, è indispensabile guardare anche a un altro attore chiave... il paratormone (PTH). E che dietro a uno stato carenziale cronico di vitamina D si nasconde spesso un nemico silenzioso ma diffusissimo... l’acidosi tissutale.
In questo post voglio guidarti, passo dopo passo, dentro questo intreccio fisiologico. Perché la vitamina D non si limita a “tirarti su”, ma regola un intero sistema di difesa, assorbimento, equilibrio minerale, metabolismo, energia cellulare e stabilità emotiva. E capire il suo rapporto con il PTH e l’equilibrio acido-base può fare una differenza enorme, soprattutto se stai vivendo una condizione cronica, autoimmune, infiammatoria o di stanchezza inspiegabile.
Il PTH è un ormone prodotto dalle paratiroidi, ghiandole minuscole ma potentissime. Il suo ruolo? Regolare la calcemia, cioè la quantità di calcio nel sangue, agendo attraverso tre strategie:
1. Aumenta l’assorbimento intestinale del calcio stimolando la conversione della vitamina D in forma attiva (calcitriolo).
2. Stimola il rilascio di calcio dalle ossa (mobilizzando gli osteoclasti).
3. Riduce l’eliminazione di calcio da parte dei reni.
Fin qui, tutto nella norma, ma quando i livelli di vitamina D3 scendono, il corpo si attiva in emergenza, il PTH aumenta per mantenere il calcio nel sangue. È un meccanismo compensatorio, se manca la D, serve “spremere” calcio da altre fonti. E da lì iniziano i problemi.
Un PTH elevato, infatti, può essere il primo campanello d’allarme di una carenza di vitamina D, anche se il valore di 25(OH)D è “apparentemente” accettabile. Questo succede spesso in chi ha una carenza funzionale, magari a causa di obesità, infiammazione cronica o acidificazione dei tessuti, che interferiscono con l’attivazione e l’assorbimento della vitamina D3.
Un PTH cronicamente elevato può:
- Ridurre la densità ossea nel tempo;
- Aumentare il rischio cardiovascolare;
- Alterare il metabolismo del calcio e del fosforo;
- Riflettere uno stato pro-infiammatorio e uno stress del sistema endocrino.
In pratica, se vuoi davvero capire se stai assimilando bene la vitamina D3, devi sempre guardare anche il PTH, non solo il valore di 25(OH)D. Quest’ultimo può essere alto anche solo perché l’hai integrata, ma non significa che il tuo corpo la stia usando correttamente.
Chi segue protocoIIi ad alte dosi di vitamina D3, come il ProtocoIIo Coimbra, sa bene quanto sia fondamentale monitorare il PTH per evitare squilibri. Infatti, se la D3 è assunta in dosi elevate (10.000 UI o più), può avvenire un forte assorbimento di calcio e, se ben metabolizzata, i livelli di PTH si abbassano gradualmente. Questo è il segnale che la vitamina D3 sta lavorando bene.
Ma attenzione, un PTH troppo basso può anche indicare eccesso di D3 o rischio di ipercalcemia. È un equilibrio fine, da maneggiare con cura e monitorare nel tempo. Per questo motivo, il PTH è spesso considerato un “faro” prezioso per chi assume vitamina D3 regolarmente, ti dice se ne hai bisogno, se ne stai prendendo troppa, o se l’organismo è in difficoltà nel trasformarla.
E qui entra in scena un colpevole silenzioso... l’acidosi tissutale cronica, ovvero quella condizione in cui i tessuti del corpo si acidificano a causa di un’alimentazione errata, stress cronico, disidratazione, farmaci, problemi epatici o renali, e carenze nutrizionali.
Quando il corpo si acidifica, cosa succede?
- I reni consumano vitamina D attiva per neutralizzare l’acidità.
- Il sangue richiama calcio dalle ossa per tamponare l’acidosi.
- Il PTH si alza per cercare di mantenere la calcemia.
Risultato? Anche se assumi vitamina D3, potresti non riuscire ad abbassare il PTH perché il corpo è impegnato a combattere l’acidosi. È come versare acqua in un secchio bucato... non serve aumentare la dose, serve riparare il secchio, cioè correggere l’acidosi.
E ora ti spiego le principali cause di acidosi tissutale:
1. Dieta sbilanciata e cibi acidificanti: zuccheri raffinati, cereali lavorati, carne rossa, latticini industriali, alcol e additivi alimentari sono tra i principali responsabili.
2. Accumulo di acidi metabolici: acido lattico (da esercizio intenso) e acido urico (da purine e metabolismo alterato, come nella gotta).
3. Stress cronico: il cortisolo aumenta la produzione di acido lattico e riduce la capacità renale di smaltire gli acidi.
4. Disturbi respiratori: respirazione superficiale o inefficace trattiene CO2 (acida), favorendo l’acidosi respiratoria.
5. Problemi renali ed epatici: reni e fegato sono fondamentali per l’eliminazione degli acidi; quando sono compromessi, si accumulano nei tessuti.
6. Malattie metaboliche e chetoacidosi: nel diabete non controllato o in diete chetogeniche estreme, si accumulano corpi chetonici.
7. Disidratazione cronica: senza acqua, il corpo non riesce a espellere efficacemente gli acidi tramite reni e sudore.
8. Uso eccessivo di farmaci: diuretici, lassativi, e farmaci che alterano il bilancio minerale contribuiscono allo squilibrio acido-base.
E ora parliamo di obesità, carenza di zolfo e carenza di antiossidanti e te dirai, ma cosa ci incastra con la vitamina D?
L’organismo obeso ha più tessuto adiposo, che sequestra la vitamina D (liposolubile), rendendola meno disponibile al metabolismo attivo. Inoltre, l’obesità è spesso associata a bassi livelli di glutatione e NAC, due antiossidanti endogeni fondamentali per la conversione efficace della vitamina D3.
Carenze di zolfo e glutatione aumentano lo stress ossidativo e peggiorano l’acidosi, aggravando il circolo vizioso. Secondo alcuni esperti, l’acidosi tissutale cronica è una delle cause favorenti lo sviluppo del can*ro, proprio perché impedisce la corretta ossigenazione cellulare.
L’assunzione deve essere quotidiana, monitorizzando gli esami. In caso di obesità ma anche per chi non è obeso, viene consigliato di assumere la vitamina D3 insieme al magnesio (cloruro o bisglicinato) , K2 e A, per favorirne l’assimilazione e ridurre il rischio di accumulo di calcio inappropriato.
Cosa tenere sotto controllo quando si integra D3:
1. Paratormone (PTH) per monitorare l’efficacia dell’assorbimento.
2. Calcio totale e ionizzato per prevenire l’ipercalcemia.
3. Creatinina e funzionalità renale, per valutare l’eliminazione del calcio.
4. 25(OH)D, il valore classico per vedere quanta D3 c’è nel sangue.
5. Magnesio e vitamina K2, cofattori indispensabili per evitare calcificazioni.
La vitamina D3 non è solo una vitamina, è un vero e proprio orm0ne regolatore che entra in relazione stretta con il sistema immunitario, nervoso, endocrino, osseo e metabolico. Il PTH è il suo segnalatore silenzioso. L’acidosi tissutale è il nemico subdolo che la ostacola.
Non basta integrare, bisogna capire cosa sta succedendo nel corpo. Se il PTH è alto, se sei stanco, se i tuoi sintomi non migliorano nonostante tu stia prendendo “la tua vitamina del sole”, forse è il momento di andare più a fondo... guardare all’acidosi, ai minerali, al metabolismo del calcio, alla tua respirazione, al tuo stress. E rimettere in equilibrio l’intero sistema. Perché il corpo non sbaglia, se non sta assimilando, sta segnalando. Sta chiedendo di essere ascoltato, non solo “nutrito”.
XO - Patrizia Coffaro