05/08/2025
Ameya Gabriela Canovi scrive quanto condivido:
"Ci tengo a ricordare alcune pietre miliari di una eventuale richiesta di aiuto psicologico.
1- Spesso mi sento dire “vorrei fare due chiacchiere”.
Alt!
Quello che si fa con un terapeuta NON sono due chiacchiere.
Quelle si fanno con amici e conoscenti.
Dare valore all’incontro (pagato con soldi propri!) è il primo passo.
Svelare il proprio vissuto e denudare la propria psiche non può essere definito una “chiacchierata”. Spesso viene detto in buona fede, certo. Ma svela il valore implicito che gli si dà. Perciò attenti a come ci si rapporta con i colloqui. Una seduta con uno psicologo non può essere paragonata a scambi da bar.
2- Il terapeuta non può essere un amico.
Il setting, quello spazio fisico, psichico e emotivo che si crea, più è pulito più sarà di aiuto.
3- La vita privata del professionista ben poco importa a chi si fa aiutare, se non qualche svelamento utile a chi si specchia. Ma anche qui, sarà lo psicologo a dosare i come e i quando. Siamo nell’epoca dei social e tutto è diventato comunicazione. Chi lo desidera può condividere parti del proprio privato. Ma anche qui dosare è utile. Da un lato avvicina, e crea empatia. Dall’altro interferisce con i processi transferali. Ricordiamoci che tutto è comunicazione come sostiene Paul Watzlawick, anche non dare nulla di sé.
È bene tuttavia tenere in mente che chi fa una professione di aiuto è uman*, ha una sua vita privata, con tempi e confini. Chiedere consigli in chat viola uno spazio, così come scrivere a tutte le ore, compreso le ferie, pensando che il terapeuta sia h24 a disposizione pronto a dare soluzioni in un DM, è una credenza errata. Come chiedere in continuazione qualsiasi cosa denota un’invasione di campo che alcuni sembrano proprio ignorare
4- Darsi del tu in alcuni casi avvicina, ma in altre no. Il lei protegge quello spazio sacro del processo che tale deve restare. Ci sono eccezioni certo, ma sovente la terza persona crea un’area sicura e permette una giusta focale.
5- Quando si inizia un lavoro su di sé occorre tenere presente che ci saranno resistenze.
Sto completando la mia ennesima formazione in psicoterapia breve di stampo reichiano. E mai come in questo approccio si imparano a gestire le resistenze dei pazienti.
Perciò teniamo presente tutto questo quando prenotiamo un colloquio psicologico. Il paziente proietterà vario materiale sul terapeuta, i genitori, figure di autorità. Vorrà essere amato, vezzeggiato, proverà sentimenti contrastanti e gelosie. Tutto questo accade! Sta al professionista gestirlo, non al paziente.
6- Ricordiamoci anche che è la relazione paziente/terapeuta a “curare”.
È una storia d’amore, è fatta di sintonia, pelle e chimica.
Non tutti funzioniamo con tutti.
Se non funziona, occorre continuare a cercare.
Già la partenza determina il beneficio del percorso. Che sia anche solo una consulenza, il valore glielo danno entrambe le parti.
Il professionista mette il suo ascolto, l’empatia, l’accoglienza, le sue conoscenze e i ferri del mestiere.
La persona che vi si rivolge la responsabilità di fare tesoro di quell’investimento economico, affettivo, emotivo e psicologico.