12/05/2024
Ma che cos'è una madre?
Bene, questa è una domanda che ha molto interessato lo psichianalista francese Jacques Lacan. La sua risposta fu, come al solito, brillante: lui diceva che una madre è colei che riesce "presentificare la propria mancanza" al bambino. Questo ovviamente non significa certo che una buona madre è una madre assente, una madre che non c'è, no; questo significa piuttosto che una buona madre è in grado di mostrare al bambino che la dimensione di madre non è l'unica dimensione che le appartiene. In altri termini, una buona madre è in grado di far vedere che, oltre ad essere madre, sa essere anche donna - ad esempio - lavoratrice, amica - magari uscendo la sera e lasciando il figlio a casa con i nonni -. È insomma una madre in grado di mostrare al figlio le altre dimensioni simboliche alle quali appartiene (e che vanno ben oltre l'esclusività della maternità).
Se così non fosse, parleremmo di quella che Lacan definisce come "tutta-madre". Per spiegare ciò, l'analista francese ìdea la teoria della madre coccodrillo; questo concetto, espresso graficamente, spiega con semplicità come l'esclusività della dimensione di madre possa annullare le altre dimensioni, nonché ledere la psiche del bambino. Bisogna immaginare il piccolo tra le fauci di un coccodrillo; la fauce inferiore rappresenta la dimensione di Donna, mentre quella superiore la dimensione di Madre. Bene, possiamo parlare di una tutta-madre se la fauce superiore si chiude su quella inferiore, non solo ricoprendo e quindi annullando la dimensione di donna, ma anche inghiottendo il bambino. In altri termini, possiamo dire che questo sarebbe il caso di molte madri che non vedono se stesse come altro oltre che madri.
Come evitare tutto ciò? Atteso che non sia volontà primaria della madre il NON far chiudere queste fauci, diventa imprescindibile per la vita psichica del bambino l'intervento paterno. La legge paterna, il Nome-del-Padre (direbbe Lacan), si colloca come un bastone di legno che impedisce a queste fauci di chiudersi: il padre, da un lato dice al bambino "non puoi godere all'infinito di tua madre, perché è anche la mia compagna", mentre dall'altro dice a quest'ultima "non puoi godere infinitamente del bambino - lo psicoanalista francese direbbe "del fallo" - perché non è solo tuo e tu sei anche altro oltre che una madre".
Ma alla fine, questa logica per cui una buona madre non è ciecamente e totalmente disponibile al bisogno del bambino vuole difendere un supposto menefreghismo nell'accudimento? Assolutamente no, questa logica vuole invece permettere al bambino di trasformare i suoi bisogni in desideri, proprio al partire dal loro non soddisfacimento. D'altronde, solo così il piccolo accederebbe al mondo del desiderio (ossia il mondo che contraddistingue la realtà umana; ricordiamo che ogni individuo agisce seguendo i propri desideri - a priori che siano nobili o meno -). Seguire i propri desideri corrisponde quindi a vivere, mentre non farlo corrisponde a dipendere totalmente da un altro materno che verrà inteso come infallibile (e quindi come sostituto alla non più necessaria dimensione di desiderio).
Quindi, quasi banalmente, possiamo dire che una madre, con la propria assenza, fa interpellare - in qualche modo - il bambino, che inizierà a porsi domande come "perché non sta rispondendo al mio bisogno?"; "ma allora io non sono l'oggetto più importante della sua vita?"; "se lei fa così, allora posso fare così anch'io?". Questi interrogativi sono capaci di sancire l'ingresso nel mondo del desiderio da parte del bambino, proprio a partire dalla capacità della madre di "presentificare la propria mancanza". Una madre che sa farsi mancante genera un figlio che desidera, un figlio che vive seguendo richieste che vengono da sé stesso e non esclusivamente da altri e, nonostante nessuna celebrazione potrà mai essere sufficiente a ripagare un tale debito di gratitudine, è impegno comune dare un augurio che non faccia sentire nessuna madre messa da parte; perché se si chiede "sono una buona madre?" Allora è molto probabile che lo sia.