27/06/2020
In quelle prime settimane di gravidanza, segnate da un test di cui non ci sentiamo troppo sicure, da ecografie ravvicinate e una gioia, una paura o una sorpresa un po' trattenute e nascoste, a volte non ci sentiamo "ufficialmente incinte" fino alla fine del primo trimestre (salvo quando ce lo ricordano le nausee e quella spossatezza che ci fa addormentare sulle sedie) quando finalmente annunceremo che la nostra vita sta per cambiare.
Proprio in quelle prime settimane il nostro corpo sostiene il lavoro straordinario dello sviluppo dei singoli organi del nostro bambino, di ogni cellula che segue il progetto scritto per lei diventando cuore, cervello, pelle, ossa, muscoli, … un intero essere umano.
Il progresso tecnologico ci fornisce molte informazioni dei nostri bambini in pancia: quanto misurano, la stima del peso, il sesso, possiamo addirittura vederne il volto in 3d e ipotizzare a chi somigli prima ancora che nasca. Sembra non ci resti
nulla di inesplorato.
Eppure conosciamo ancora pochissimo dei bambini che vivono in utero, probabilmente perché solo di recente si è cominciato a considerare la vita prenatale. Sappiamo però che non possiamo più esimerci dal riconoscere l'importanza dell'esperienza del feto, perché essa ha un impatto per tutta la sua vita (Weinstein 2016).
A partire da quando siamo ancora delle cellule abitiamo l'ambiente dell'utero, interagiamo con esso, ci adattiamo e lo adattiamo (cit. Maté). La madre è l'ambiente del bambino, e ogni sua esperienza, ogni sua relazione (soprattutto quella con il papà) ogni sua emozione, sono un messaggio che arriva al bambino. Se consideriamo che gli stati emozionali non sono esperienze astratte, ma hanno dei correlati fisici nel corpo - gli ormoni - allora capiamo come un'esperienza stressante generi in noi adrenalina, sentirci rilassate e innamorate generi ossitocina e che questi, passando attraverso il sangue, arrivino al nostro bambino che in questo modo vive delle sensazioni fin dalle prime settimane dopo il concepimento, proprio grazie all'esperienza materna.
Ci rendiamo conto che l'ambiente materno ha un impatto a partire dai nostri primissimi stadi di sviluppo, ancora a livello cellulare (Pollack 2013), e su come si esprime il nostro DNA, quell'unico e incredibile corredo che porta con sé la storia di tutta la nostra famiglia, ma di cui leggiamo solo alcune pagine anche in base al nostro stile di vita: scegliere di mangiare sano, non fumare, praticare yoga, coltivare relazioni ed emozioni positive fanno parte di quei segnalibri che mettiamo al nostro corredo genetico. Se questo ha una certa rilevanza su un adulto, immaginiamo quanto possa diventare importante un ambiente interno ed esterno alla madre sano, sereno e positivo, esattamente quando le cellule del suo bambino stanno realizzando il loro progetto e scegliendo quali parti del corredo a loro disposizione valga la pena tenere in considerazione (Yahuda e Bearer 2009).
Quelle prime settimane di gravidanza, in cui il nostro utero ancora non si è espanso in modo evidente, racchiudono la straordinarietà di un intero essere umano in pochi millimetri di cui siamo l'universo. Prenderci cura del nostro benessere fisico ed emotivo, rallentare quando ne sentiamo la necessità e concederci di riconoscere a noi stesse questi primi tempi di connessione con nostro figlio, sono un meritato regalo che facciamo a noi e al nostro bambino, per tutta la vita.