12/06/2020
La politica muore spesso di primavera
Ci sono patologie croniche che riescono a sopportare a lungo le cure di medici di media e, purtroppo, anche di bassa levatura, ma così facendo diventano a un certo punto, inesorabilmente, irreparabili.
Allo stesso modo, nel passar degli anni, per quanti governanti abbiano sfilato davanti al capezzale della nostra Patria, il decorso è stato quello del fallimento totale, che la sua gloriosa storia non avrebbe in alcun modo potuto presagire e meritare.
Se vogliamo, un disastro a tratti anche grottesco, sì, perché affezionati alla satira che lo riguardava spesso ci abbiamo riso anche sopra, partorendo distanze verso i colpevoli risolte poi in formule puerili del tipo: «i politici sono tutti uguali, sono tutti ladri», buttate lì magari mentre eravamo in fila per il Black Friday.
Che creduloni che siamo stati a voler vedere per tanto tempo un’Italia ancora viva, ancora nostra, mentre la sua ossatura diventava più fragile del vetro e il suo respiro così lieve da sfiorare il silenzio.
Tuttavia il colpo di grazia è arrivato con la primavera, quando la pellicola di questo doloroso film si è strappata di colpo e, ancora in dormiveglia, siamo caduti tutti giù dal letto.
Dunque anche i nostri politici hanno dovuto stropicciarsi gli occhi davanti a un virus nuovo, senza nome, arrivato da chissà dove con una valigetta piena di misteri, e purtroppo i misteri, si sa, a volte sono peggio del vino, sanno vestire a festa la disinvoltura degli sprovveduti.
Così, mentre nelle nostre stanze filtrava, con le luci dei nuovi giorni, la consapevolezza che tutto ciò che era stato sarebbe diventato insignificante, nei palazzi del potere si sono ritrovati come foglie secche tra le pagine di un libro mai letto. Proprio nel momento in cui il popolo andava preso per mano.
Certo, conoscendoli, non avrebbero potuto separare le acque come Mosè e portarci tutti in salvo sulle rive del futuro, ma nessuno di noi si sarebbe neanche aspettato la tessitura di una trama tanto f***a di corbellerie.
Il virus c’era e non c’era. Era una semplice influenza ma anche mortale. Le risorse c’erano e non c’erano, tutto serviva e non serviva, insomma il solito imbroglio legato al denaro: se il frigo è pieno è utile mangiare, se è vuoto è utile il digiuno!
Una follia in atto? No, semplicemente il risultato della politica che abbiamo meritato, ancor più instabile sul bastone di una scienza non sempre tale. Un’arte del governare che ha iniziato a contorcersi su se stessa come un serpentello, ciarlando tutti i giorni in tutti i salotti televisivi, risultando alla fine onnipresente e assente.
Nel tentativo di alzare l’ultimo velo di credibilità tra loro e la realtà, i nostri politicanti hanno compreso bene che la loro inadeguatezza, che negli anni non era riuscita nemmeno a umiliarli, stavolta li avrebbe uccisi in qualche mese.
E in men che non si dica quel velo è diventato un muro di cinta. Fulminea è apparsa in giacca blu e guanti bianchi l’inflessibilità, l’arma decisiva, l’ultima strategia di chi si ritrova n**o e con soluzioni che sono ormai pistole ad acqua pronte a lavare una realtà già fin troppo chiara.
E così, chiamando a corte una legione di esperti e indovini, si sono messi a incidere le tavole dei mille comandamenti. Il risultato? Un cimitero di pensieri e parole. Una logica piena di un vuoto insopportabile.
Ogni cosa scritta a matita, come sui banchi delle elementari, affinché la bella copia fosse poi presentabile e povera di errori. Pagine e pagine di direttive, metodi di tracciamento, rapporti umani tradotti in instabili geometrie, una sorta di prontuario di proporzioni omeriche per la nuova vita che, a loro avviso, ci sarebbe toccata. Poveretti…
La politica muore spesso di primavera, basta tornare a scorrere le pagine della storia e appare chiaro che stranamente è così. Quest’anno è morta quella che era da tempo la politica italiana, si è spenta anch’essa a primavera mentre i primi fiori dipingevano i prati, si è spenta giocando col suo popolo e con le disgrazie umane.
Ci avete ripetuto continuamente che eravamo in guerra. Bene, la faremo noi questa volta la guerra! La smetteremo di guardare la politica con la stessa curiosità di quando si sbircia nella moca il lento salire del caffè, per berlo poi così com’è venuto…tanto per mandar giù qualcosa. Le vostre parole saranno per noi silenzio, le vostre facce specchi vuoti. Vi abbiamo scusato per anni, adesso ci scuserete voi ma non abbiamo più tempo, abbiamo smarrito la dimensione dell’attesa.
Raccontavate l’Italia come una vecchia malata e i malati eravate voi, con la vostra passività e leggerezza che ci hanno ucciso più di una pandemia. Ci porteremo dietro questo nostro tempo come un buco nell’anima, ma il nostro desiderio di vita e di libertà lo accarezzeremo ogni sera prima di addormentarci, lo saluteremo col primo pensiero del mattino, lo porteremo con noi nei nostri giorni di sole, nelle nostre notti di stelle.
Dovunque andremo non ci sentiremo più soli.
Antonella De Santis