27/01/2024
… quanta verità… 🧠 💖
💭 Ci hai mai pensato?
La società ti dice come puoi o non puoi soffrire.
Se sei hai un problema fisico: «mi spiace, posso aiutarti?»
Se hai un problema psichico: «sei un debole! Lo vuoi tu»
Eppure, in entrambi i casi, ci troviamo dinanzi a una persona che soffre. Perché la dimensione empatica di chi osserva sembra stravolta?
A sinistra ci sono i modi socialmente accettati. In questo caso, il dolore genera compassione, sostegno, aiuto e comprensione.
A destra ci sono i modi inaccettabili, dove il dolore ottiene solo giudizio, disapprovazione e colpevolizzazione. Nessun supporto o comprensione. Questo atteggiamento peggiora sensibilmente la condizione di chi soffre.
Le radici sociali dello stigma legato alla sofferenza psichica sono molto lontane, tuttavia c'è un aspetto psicologico da non sottovalutare.
Il genere umano ha necessità di «certezze pronte all'uso», facili da comprendere, che possano garantire una buona dose di prevedibilità.
È facile capire perché duole una parte del corpo, è molto più difficile cercare di comprendere il nesso «causa-effetto» di una sofferenza emotiva. Un nesso che nel 100% dei casi c'è ma sfugge, non è così palese e accessibile. Quando abbiamo dinanzi qualcosa di incompreso o sconosciuto, emerge un meccanismo di difesa ancestrale: l'ignoto è un misterioso mostro che va tenuto a distanza. Così l'uomo preferisce vivere con «l'illusione ragionevole» che, se c'è un disturbo psichico, in fondo è colpa, chi ne soffre non è abbastanza forte, è difettoso, così dev'essere punito e non curato. Ecco che l'uomo cerca di riadattare la realtà alle sue aspettative di certezza, solo perché non sa darsi una spiegazione.
In fondo, lo diceva anche Nietsche: «L’essere umano di fronte all’ignoto non va per il sottile allo scopo di rassicurarsi: spesso prende una cosa che sa essere falsa e la rende vera in quanto utile a tale scopo».
| Psicoadvisor