09/12/2021
Immanuel Casto
"la performance come unico criterio di valutazione non tiene conto di una cosina... la mia felicità"
Io che sono un musicista e lavoro come psicologo (oltre ad amare una moltitudine di altri settori come la storia, la geopolitica, lo studio di altre culture, ecc... ) non posso che condividere questa riflessione. Siamo esseri complessi in tante cose, perché ridurci ad un'unica definizione proprio in ambito lavorativo?
A sinistra me gaiamente gravido nel mio ultimo video PIENA.
A destra mentre consegno un premio durante l’ultimo evento del Mensa Italia, associazione di cui (come Manuel Cuni) sono presidente.
Ma sono sempre io.
Come dice Emilie Wapnick (consigliatissimo il suo TEDx), cresciamo con la domanda “cosa vuoi fare da grande?”
E la risposta deve essere rigidamente univoca.
Altrimenti vuol dire che non sai chi sei e non troverai il tuo posto nel mondo.
Ci viene chiesto di specializzarci in un solo ambito: per definire la nostra identità e ottenere credibilità professionale.
Il secondo aspetto non è del tutto infondato: un professionista con un approccio multidisciplinare non avrà mai il livello di competenza di uno specialista che dedica la sua vita ad un solo campo.
Ma un multipotenziale può fare la differenza creando sinergie e promuovendo sperimentazioni. Non è un contributo minoritario.
Eppure questa è una cosa che devo ripetere a me stesso. Così come nei momenti felici sono fiero di me stesso e di ciò che realizzo, arrivando persino a vederci dell’unicità, in quelli di abbattimento sospiro pensando a quanto potrei performare in uno specifico ambito se convogliassi lì tutte le mie energie. Ma la performance come unico criterio di valutazione non tiene conto di un'altra cosina: la mia felicità. Perché, semplicemente, se rinunciassi a coltivare la mia complessità non sarei felice.
Già ora sono frustrato perché vorrei fare di più! Oltre alla musica, al game design, alla direzione artistica e al Mensa, vorrei impegnarmi di più in politica e studiare psicologia (e riprendere la mia rubrica “C’è Posta per Casto”!). Ma, ahimè, il tempo e le energie a mia disposizione sono limitate.
La mia definizione di felicità è la consapevolezza di essere sul percorso che conduce allo sviluppo del proprio potenziale, al punto che fallire su quel percorso è più gratificante che avere successo in qualcosa che esula dalle proprie vocazioni.
Ma non è scritto da nessuna parte che il percorso debba essere uno solo.
(Oppure boh, non ho capito un c***o e, come mi direbbe Sabrina Ferilli, sono pazzah).