19/10/2024
𝗗𝗘𝗡𝗧𝗥𝗢 𝗨𝗡 𝗖𝗔𝗣𝗢𝗟𝗔𝗩𝗢𝗥𝗢: "𝗜𝗟 𝗙𝗜𝗚𝗟𝗜𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟'𝗨𝗢𝗠𝗢" 𝗱𝗶 𝗥𝗲𝗻𝗲́ 𝗠𝗮𝗴𝗿𝗶𝘁𝘁𝗲
Qualche giorno fa vi ho raccontato di René Magritte e il post ha avuto grande successo. Qualcuno nei commenti mi chiedeva di parlare in dettaglio del dipinto “Il figlio dell’uomo”, e chi sono io per non accontentarlo?
Oggi allora ci avventuriamo di nuovo nel mondo surreale di René Magritte. Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, “Il figlio dell’uomo” non è altro che il celebre uomo con la bombetta, elegante e banale, se non fosse per quella mela verde che gli copre il volto. Uno dei quadri più celebri e misteriosi del ‘900, tanto che sembra sfidare apertamente l’osservatore a capire cosa accidenti voglia significare.
Spoiler: non c’è una risposta semplice.
Questo capolavoro risale al 1964, e se state pensando che ci sia qualche profondo messaggio nascosto dietro quella mela, avete ragione. Forse. Magritte, che era uno a cui piaceva giocare con la realtà, una volta disse che “Il tutto è ciò che si vede nascosto dietro l’apparenza”. In pratica, ci invita a guardare oltre, ma senza dirci esattamente dove. Un trucco da prestigiatore dell’arte.
A proposito del “Figlio dell’uomo”, lo stesso Magritte ci dice la sua: “Ebbene, qui abbiamo qualcosa di apparentemente visibile poiché la mela nasconde ciò che è nascosto e visibile allo stesso tempo, ovvero il volto della persona. Questo processo avviene infinitamente. Ogni cosa che noi vediamo ne nasconde un'altra; noi vogliamo sempre vedere quello che è nascosto da ciò che vediamo. Proviamo interesse in quello che è nascosto e in ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere la forma di un sentimento letteralmente intenso, un tipo di disputa, potrei dire, fra ciò che è nascosto e visibile e l'apparentemente visibile.”
Ok, René, grazie, ma ne sappiamo meno di prima.
Ma chi è quell’uomo col cappotto elegante, cappello a bombetta e una mela sospesa davanti alla faccia? Non è altro che un autoritratto mascherato dell’artista, che si cela dietro simboli che di solito associamo alla normalità, alla banalità, addirittura. È un uomo comune, potremmo essere tutti noi. Oddio, io quella bombetta non la metterei manco a Carnevale, ma ci siamo capiti. Solo che, beh, nessuno di noi va in giro con la faccia nascosta da un frutto.
La scelta della mela, ovviamente, non pare casuale. Se c’è un frutto che si porta dietro secoli di simbologia, è questo.
Pensateci bene: la famosa mela di Eva (colta da quel baccalà di Adamo, ma com’è ovvio nella Bibbia la colpa se la deve prendere la donna) al logo della Apple. Ma non solo: il Paradiso dei Celti, Avalon, non è che “L’Isola delle Mele”, il “Pomo della Discordia” che dà il via a un sacco di casini mitologici altro non è che una mela.
E poi, la mela di Guglielmo Tell, quella di Biancaneve e quella che cade in testa a Newton, ma anche la Apple Records dei Beatles che forse ispira quella di Steve jobs. La mela, insomma, è il simbolo del peccato, della conoscenza proibita, ma anche un po’ di qualsiasi altra cosa. Magritte la utilizza per giocare con i nostri sensi: copre, ma non del tutto. Nasconde ciò che dovrebbe essere ovvio, ma non lo è mai completamente. Così, osservando il quadro, ci domandiamo: cosa c'è dietro quella mela? L’artista risponderebbe: "Non è quello l’importante", ributtando la palla al centro.
Il bello del surrealismo, forse, è proprio questo: non c’è sempre bisogno di trovare una risposta. Magritte dipingeva mondi dove la logica non aveva diritto di cittadinanza, e "Il figlio dell'uomo" è un invito ad accettare il mistero. Basta con il voler capire tutto, godiamoci il caos.
A pensarci bene, è parecchio consolatorio – e anche sano - non dover cercare sempre un senso.
Un’altra chiave è il gioco continuo tra visibile e invisibile. Possiamo vedere il contorno del volto, una parte degli occhi sbuca da dietro la mela, ma il cervello non è soddisfatto. Vorrebbe vedere tutto, ma viene frustrato. Non è un caso che Magritte abbia scelto un uomo in giacca e cravatta, simbolo del controllo e dell'ordine, ma poi gli abbia messo una mela davanti, distruggendo l'immagine di perfezione e autocontrollo. A dirla tutta, è una grande metafora della vita: tutto sembra chiaro, lineare, finché non arriva qualcosa - una mela - a farci dubitare.
“Il figlio dell'uomo” fa parte di una serie di quadri simili. Magritte adorava ripetere le sue idee, come se ci stesse dicendo che non importa quante volte guardiamo, non capiremo mai tutto fino in fondo e quella che pare la stessa scena ci sembrerà ogni volta diversa. Insomma, se cercate punti fermi e granitiche certezze, cambiate artista.
Il titolo. Anche qui, non è che sia così chiaro.
“Il figlio dell’uomo”, ovviamente, richiama il Vangelo, ma Magritte non è certo il tipo da rivelare il mistero con una semplice frase. Sembrerebbe quasi suggerire che l’uomo raffigurato è ogni uomo, l’umanità intera nascosta dietro una maschera, in un gioco continuo di rimandi tra simboli sacri e profani.
Il problema con Magritte è che a volte si ha la sensazione di speculare troppo. O troppo poco.
Quello che è sicuro – perché qualche sicurezza ci vuole, amici – è che Magritte non si accontenta di provocare come certa arte contemporanea (magari mettendo un piripicchio gigante davanti al Maschio Angioino – ma lo fa attraverso un dipinto raffinato per tecnica e messa in scena.
Anche chi non ama le pippe mentali dei surrealisti può così apprezzare la mano fatata di un artista del pennello, uno che, se fosse nato quattrocento anni prima, avrebbe fatto i soldi dipingendo davvero scene bibliche, senza rimandi e trucchi da prestigiatore. Io, tutto sommato, penso che Magritte sia nato nel secolo giusto.
*Il dipinto, caso raro per un capolavoro così celebre, fa parte di una collezione privata.
[Arte]