25/11/2025
Incapacità di avere rapporti, di raggiungere l’orgasmo, di provare emozioni. Dopo aver assunto antidepressivi, la vita sessuale di molte persone è cambiata. Un effetto devastante e spesso taciuto ma, grazie al lavoro di pazienti e ricercatori, il silenzio si sta sgretolando
«Avevo 25 anni e stavo affrontando un periodo difficile. Soffrivo di depressione, dismorfofobia e mi stavo isolando sempre di più. Per aiutarmi il medico mi prescrisse il citalopram. Fino ad allora non avevo vissuto una vera relazione sentimentale ma avevo avuto delle fantasie e avevo sperimentato con il mio corpo. Proprio durante la terapia, ho iniziato ad avere le prime esperienze sentimentali. Il citalopram riduceva il mio stato d’ansia e mi rendeva finalmente libera di incontrare persone nuove. Purtroppo, però, mi stava anche mutilando. Sin dalle prime settimane mi accorsi che il mio corpo non rispondeva più come al solito. Quando, poi, mi capitò di uscire con un ragazzo, nonostante ne fossi attratta fisicamente e mi sentissi emotivamente coinvolta, non riuscivo né a provare eccitazione sessuale né tantomeno piacere, nonostante mentalmente il rapporto fosse gratificante. Sospeso il farmaco, ho atteso per giorni, settimane, mesi, sperando di recuperare ciò che avevo perduto ma dopo anni niente è più tornato come prima».
La testimonianza di Laura, una donna di 38 anni, rispecchia quelle di migliaia di donne e uomini in tutto il mondo, che, dopo aver assunto farmaci come il citalopram o la paroxetina, lamentano di non avere più una vita sessuale soddisfacente. Calo del desiderio, ottundimento emotivo, disfunzione erettile, impossibilità di raggiungere l’orgasmo: le prime segnalazioni da parte dei pazienti risalgono agli anni novanta. Nel 2006 un gruppo di ricercatori pubblica il primo studio che contiene una descrizione scientifica della PSSD, Post-SSRI Sexual Disfunction, una disfunzione sessuale che persiste dopo la sospensione di farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e la cui insorgenza non dipende da condizioni cliniche preesistenti. Solo nel 2019, però, l’Agenzia europea del farmaco raccomanda di aggiungere ai foglietti illustrativi di SSRI e SNRI (inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina) informazioni sulla possibile persistenza di effetti sulla sfera sessuale dopo l’interruzione di questi farmaci. Nel 2022 un gruppo di esperti pubblica i criteri diagnostici che definiscono il quadro della PSSD. Gli autori sottolineano come la gravità dei sintomi possa essere variabile ma che si può fare diagnosi di PSSD in qualunque caso in cui la funzione sessuale, dopo almeno tre mesi dalla sospensione dell’assunzione degli SSRI, non torni a essere come era prima del trattamento.
Un urlo inascoltato
Citalopram, fluoxetina, paroxetina, sertralina sono alcuni dei farmaci SSRI prescritti per trattare patologie quali depressione, ansia e disturbo ossessivo-compulsivo ma sono anche usati off-label, ovvero al di fuori dalle indicazioni previste dal foglietto illustrativo, per emicrania, malattie infiammatorie intestinali e altri problemi di natura psichiatrica. Nel 2023, secondo il rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei farmaci, il 4,4 per cento dei residenti in Italia ha assunto SSRI. A intraprendere queste terapie sono soprattutto le donne (5,9 per cento delle femmine contro il 2,7 per cento dei maschi) e gli anziani, e i trattamenti durano in media circa 256 giorni. Il loro ampio impiego è motivato dalla versatilità e dalla maggiore tollerabilità rispetto a farmaci antidepressivi di vecchia generazione. «Non solo lo specialista psichiatra ma anche il medico di medicina generale o un altro specialista può prescrivere gli SSRI. Sono farmaci molto diffusi e, nella maggior parte dei casi, le prescrizioni sono appropriate», commenta Fiammetta Cosci, docente di psicologia clinica all’Università di Firenze. «Tuttavia, sono oggi disponibili anche presidi psicoterapici efficaci per trattare, per esempio, disturbi d’ansia o depressivi».
Ogni farmaco ha effetti collaterali ma ciò che lamentano le associazioni di pazienti è che gli effetti sulla sfera sessuale vengono spesso taciuti. Secondo uno studio pubblicato nel 2021 su «The International Journal of Risk and Safety in Medicine», su 239 persone che avevano fatto uso di antidepressivi, solo il 12 per cento dichiarava di essere stato avvisato dei potenziali effetti sulla funzione sessuale. Non solo, i pazienti spesso lamentano di avere difficoltà a trovare supporto da parte del personale sanitario: si possono sentire ridicolizzati o ignorati, i sintomi possono essere erroneamente attribuiti al disturbo psichiatrico di cui soffrono. Nel 2024 il quotidiano britannico «The Guardian» ha riportato la testimonianza di un paziente che ha raccontato di essere stato ricoverato contro la sua volontà in una struttura psichiatrica dopo aver chiesto aiuto perché soffriva di PSSD.
«Spesso queste persone si sentono trascurate. Per questo credo sia importante parlarne. I pazienti vogliono essere coinvolti nel processo decisionale, essere consapevoli dei rischi», dice Cosci. La mancanza di condivisione genera rabbia e frustrazione. «Se il curante fatica a riconoscere il problema si perde la fiducia in quella che dovrebbe essere una figura di riferimento», sottolinea Cosci. L’esperienza personale di Laura conferma queste difficoltà. «Alcune psicoterapeute erano scettiche, altre si sono informate, ma all’inizio essere creduta è stato difficile». Imbarazzo, timore di non essere ascoltati o di essere trattati con sufficienza possono frenare i pazienti dal cercare supporto medico ma, in questo, incide anche la mancanza di trattamenti.
Un vicolo cieco
«Non ci sono linee guida per la terapia della PSSD, per cui questi pazienti si sentono spesso in forte disagio e non intravedono possibilità di cura», commenta Cosci. La stessa decisione di sospendere gli SSRI è rischiosa e, prima di prenderla, deve essere valutato il rapporto rischi/benefici.
Su una bilancia vanno messi l’impatto che hanno avuto gli SSRI sul funzionamento della persona e sui sintomi e la possibilità di cambiare antidepressivo, in modo da ridurre la disfunzione sessuale. Oltre alla prescrizione di altri farmaci, i clinici hanno tentato diversi approcci: prescrivendo prodotti usati per trattare la disfunzione erettile; proponendo integratori alimentari; offrendo percorsi di terapia cognitivo-comportamentale. Su modelli animali murini è stato testato l’uso di infusioni di ossitocina con un miglioramento dei sintomi. In alcuni casi sono anche stati reintrodotti gli SSRI con beneficio.
Sono tentativi che possono essere efficaci per singoli pazienti ma finora non sono state raccolte prove scientifiche sufficienti per poter raccomandare un iter terapeutico univoco. «Questo può generare un senso di disperazione che porta le persone a provare qualunque cosa pur di stare meglio. Non necessariamente, però, questi tentativi producono benefici», spiega Cosci. Per trovare una soluzione bisogna risalire alla radice del problema: i meccanismi alla base della PSSD restano ancora poco conosciuti ma c’è chi sta lavorando per scoprirli.
Andare alla radice
«Anni fa si presentò nei nostri laboratori un paziente che soffriva di PSSD, che si offrì di finanziare una ricerca per indagare le cause della sindrome», racconta Roberto Cosimo Melcangi, docente di neuroendocrinologia all’Università di Milano. «Ai tempi stavamo studiando un problema per certi versi simile, la sindrome post-finasteride». Il finasteride, un farmaco prescritto per trattare alcune forme di alopecia, può provocare anch’esso disfunzione sessuale che persiste nonostante la sospensione del farmaco. «Grazie al lavoro compiuto, eravamo pronti ad affrontare questa sfida, partendo da modelli animali».
Nonostante le cause della PSSD restino ancora in parte sconosciute, grazie anche agli studi condotti da Melcangi, negli ultimi anni sono stati individuati alcuni meccanismi potenzialmente responsabili del disturbo. Tra le ipotesi c’è un possibile ruolo dei neurosteroidi. Diverse strutture del cervello, come l’ippocampo, l’ipotalamo e la corteccia, sono in grado di produrre e metabolizzare queste molecole che, in modelli animali, si sono dimostrate in grado di modulare comportamenti correlati all’ansia e alla depressione, ma anche la funzione sessuale.
In uno studio pubblicato su «Psychoneuroendocrinology» nel 2021, i ricercatori dell’Università di Milano sono riusciti a dimostrare che nei ratti trattati con paroxetina si modificavano i livelli di steroidi attivi a livello del sistema nervoso e cambiava l’espressione di enzimi chiave per la steroidogenesi nel tessuto cerebrale, in particolare quando il farmaco veniva sospeso. Gli SSRI sembrano anche influenzare la produzione di steroidi a livello intestinale. Il team di Melcangi ha osservato che, nei ratti, la paroxetina altera i livelli di steroidi a livello del colon ma non nel sangue. Le modifiche osservate durante il trattamento, inoltre, non coincidono con quelle emerse dopo la sua sospensione.
Non solo, anche le popolazioni batteriche del microbiota risentivano dell’effetto dei farmaci. «Alterazioni persistenti del microbiota sono legate all’infiammazione intestinale e sappiamo che questa può alterare i segnali che arrivano al sistema nervoso», commenta lo scienziato. «Gli SSRI, inoltre, sembrano in grado di generare modifiche epigenetiche, ovvero di alterare la trascrizione del DNA a livello cerebrale». L’approccio adottato dal gruppo di Melcangi ha consentito di fornire prove delle alterazioni attuate dagli SSRI e ha aperto nuove prospettive. Uno dei problemi delle ricerche sulla PSSD condotte finora è che si sono dovute basare sulle osservazioni dei pazienti, raccogliendo dati necessariamente parziali. Questo rende difficile capire le reali dimensioni del problema, anche se alcuni numeri sono disponibili.
Le dimensioni del problema
Paradossalmente, gli SSRI possono essere prescritti per trattare una disfunzione sessuale, come, per esempio, l’eiaculazione precoce. Nel 1999 i ricercatori dell’Ospedale universitario di Salamanca osservarono che il 55 per cento dei pazienti che avevano assunto un SSRI per l’eiaculazione precoce, sostituito poi con un altro farmaco, l’amineptina, dopo sei mesi dalla transizione continuavano a soffrire di disfunzione sessuale. Solo il 4 per cento dei pazienti trattati esclusivamente con amineptina, invece, presentava disturbi della sfera sessuale. L’amineptina, è bene sottolinearlo, non agisce sul sistema serotoninergico. Altri tre studi su pazienti trattati con SSRI per l’eiaculazione precoce hanno riportato una persistenza degli effetti ritardanti sull’eiaculazione fino a sei mesi dopo la sospensione del farmaco in un numero consistente di pazienti. In uno studio su volontari sani pubblicato nel 2010 su «Fertility and sterility», dopo quattro settimane di terapia con paroxetina il 9 per cento dei partecipanti lamentava una disfunzione moderata a livello di funzione erettile ed eiaculatoria.
«Anche se la percentuale di persone che assumono SSRI e sviluppano una PSSD è bassa, considerato quanto l’uso di questi farmaci sia diffuso, non sono pochi a soffrirne», riflette Melcangi. Gli studi disponibili sono comunque limitati e resta difficile trovare il giusto metodo per indagare la reale portata del problema. Condurre ricerche su volontari sani con il rischio che sviluppino la sindrome non sarebbe etico; alcuni dei questionari a disposizione per valutare la funzione sessuale non includono domande sulle sensazioni a livello genitale; gli studi basati sul reclutamento on line di pazienti soffrono spesso del cosiddetto bias di selezione.
Questo è uno dei limiti di una ricerca condotta nel 2019 dagli scienziati dell’Università di Utrecht, che hanno provato a stimare la prevalenza della PSSD reclutando persone che avevano assunto antidepressivi tramite annunci on line e la distribuzione di volantini cartacei. Dei 76 partecipanti, il 52,6 per cento ha riferito di soffrire di una disfunzione sessuale persistente e il 26,3 per cento ha dichiarato di soffrire di anestesia genitale e/o di insensibilità a livello dei capezzoli, due sintomi suggestivi della PSSD. Non è noto però se i pazienti stessero assumendo altri farmaci e quale fosse la loro funzionalità sessuale prima di assumere gli antidepressivi.
Uno studio del 2023 pubblicato su «Annals of General Psychiatry» stimava un rischio dello 0,46 per cento di sviluppare una disfunzione sessuale irreversibile dopo la sospensione di antidepressivi serotoninergici. Si tratta, però, verosimilmente, di una sottostima, in quanto l’analisi si limitava a soggetti maschi a cui era stato prescritto un farmaco contro la disfunzione erettile dopo aver sospeso un antidepressivo. «Uno dei problemi delle ricerche è che finora si sono concentrate solo sui maschi, perché la sessualità maschile è più facile da studiare», commenta Melcangi. Un altro aspetto poco chiaro è perché solo alcune persone risentano di questi effetti. Cosa le rende più vulnerabili?
Una complessità inesplorata
«Ci sono persone che diventano insensibili agli stimoli, non provano desiderio» commenta Melcangi. «Gli SSRI possono avere un effetto devastante ma ogni paziente ha una sua sensibilità». Tutti i farmaci hanno un effetto terapeutico desiderato ma possono determinare effetti indesiderati transitori e avere un’azione iatrogena, cioè causare problematiche persistenti. «L’effetto iatrogeno non riguarda mai tutte le persone che assumono un farmaco, ci devono essere delle variabili individuali», riflette Cosci. Se senza assumere SSRI o SNRI non può manifestarsi la PSSD, non sono sufficienti i farmaci a scatenarla.
Finora le ricerche si sono concentrate sui meccanismi biologici ma verosimilmente ci sono anche fattori che rendono alcune persone più vulnerabili. «Almeno per una parte dei pazienti che soffre di PSSD, la sindrome si stratifica su altri problemi», commenta Cosci. «Con questo non voglio negare l’esistenza della PSSD. La PSSD è reale ma potrebbe instaurarsi su un particolare impianto psicopatologico». Pur non minimizzando gli aspetti biologici della sindrome, Cosci vorrebbe promuovere una visione più articolata, che oltre alla componente biologica includa anche i fattori sociali e psicologici individuali. Per questo percepisce che l’etichetta della PSSD, fortemente sostenuta da una parte del mondo accademico, sebbene sia utilissima per portare alla luce il problema, possa anche rappresentare un limite. «Negli ultimi anni mi sono un po’ allontanata dalle ricerche sulla PSSD e mi sono chiesta se potrebbe essere sufficiente parlare di disfunzione sessuale iatrogena», racconta Cosci. «Credo che sarebbe più informativo dal punto di vista clinico e consentirebbe di vedere più facce del disturbo».
L’inserimento della PSSD nei foglietti illustrativi dei farmaci, quantomeno in Europa, resta un successo per le associazioni dei pazienti, come il PSSD Network. «Non è una banale rivendicazione ma un’azione utile per migliorare la pratica clinica, perché fa sì che chi prescrive abbia informazioni complete», rimarca Cosci. Le associazioni di pazienti sono poi molto attive nelle raccolte fondi per finanziare le ricerche, che soffrono di un certo disinteresse da parte di altri investitori. «Questo problema non viene considerato una priorità ma per queste persone è una questione vitale», interviene Melcangi. La situazione è particolarmente grave perché spesso si iniziano ad assumere questi farmaci da giovani. «Molte persone iniziano terapie con antidepressivi a vent’anni e smettono di avere una vita sessuale e a 35/40 anni spesso si trovano ancora nella stessa situazione», racconta lo scienziato.
«Rispetto ad altri, il mio caso è relativamente meno grave. C’è chi prima conduceva una vita normale e dopo aver assunto un SSRI per l’eiaculazione precoce si trova incapace di provare alcuno stimolo sessuale, per cui si allontana da qualunque tipo di relazione sentimentale e si trova bloccato in casa per la depressione», confida Laura. «Per lo meno le mie emozioni non sono state intaccate. In questo mi sento fortunata ma, anche se penso che ci saranno nuove ricerche e scoperte, per me è difficile continuare a sperare di poter recuperare dopo tutti questi anni».
L’Autrice
Irene Campagna è medico e svolge attività di ricerca sulla sicurezza dei vaccini. Si distrae da analisi di dati e articoli scientifici scrivendo di psicologia e neuroscienze. Ama le passeggiate in montagna, i musical e le saghe fantasy.
Incapacità di avere rapporti, di raggiungere l’orgasmo, di provare emozioni. Dopo aver assunto antidepressivi, la vita sessuale di molte persone è cambiata. Un…