08/08/2025
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Esisteva una terapia chiamata piroterapia: si basava sull’induzione della febbre per curare alcune malattie. Oggi non si usa più, ma fino a metà Novecento era molto diffusa.
Un medico austriaco, Julius Wagner-Jauregg, vinse il Nobel per la medicina nel 1927 grazie a una variante di questa tecnica. In pratica, “ci fu un momento della storia della medicina in cui conveniva trattare la neurosifilide con la malaria”. Sembra assurdo, ma veniva fatta proprio così.
All’epoca la sifilide era una malattia grave e molto diffusa. Non c’erano antibiotici e le cure disponibili – come mercurio, ioduri e arsenico – funzionavano poco e spesso facevano più male che bene.
In questo contesto, Wagner-Jauregg ebbe un’idea particolare. Notò che chi aveva la sifilide migliorava dopo aver avuto la febbre alta. Da qui pensò di indurre artificialmente la febbre, inoculando nei malati il Plasmodium vivax, il parassita responsabile della malaria.
La malaria provocava febbre molto alta, spesso oltre i 40°C. Il batterio della sifilide, Treponema pallidum, non sopravvive a temperature superiori ai 39,4°C. L’obiettivo era far morire il batterio con la febbre e poi curare la malaria con il chinino, un farmaco già noto.
All’inizio i risultati sembravano buoni: molti pazienti miglioravano nelle condizioni mentali e fisiche. Alcuni tornarono a condurre una vita quasi normale. Wagner-Jauregg pubblicò dati molto positivi e fu premiato con il Nobel.
Quando fu introdotta la penicillina, la terapia con la malaria fu abbandonata rapidamente: la nuova cura era molto più efficace e sicura. Oggi la malarioterapia resta solo una curiosità storica.