15/10/2024
Il lutto perinatale cambia la percezione del tempo: per molti mesi, per anni, rimaniamo fermi al giorno in cui tutto cambiò. Ed è una sensazione difficile da spiegare a chi non ci è passato: il tempo passa, un giorno dietro l’altro, passano le stagioni, si alternano le ricorrenze eppure noi rimaniamo ancorate lì. Tutto il mondo scorre e noi, che magari facciamo mille attività per provare a noi stesse e agli altri che ce la stiamo facendo, che ci stiamo impegnando fortemente, abbiamo comunque la sensazione di essere ferme.
Ferme nel senso di fuori dal tempo, che scorre per tutti ma non per noi; ferme nel senso di congelate, inchiodate a quel passato così ingombrante e definitivo che definirlo passato, non possiamo, perché siamo ancora lì, lo abitiamo tenacemente ( e altrettanto tenacemente amiamo, ma di questo parleremo un’altra volta).
Mio figlio è morto una manciata di giorni prima del’equinozio di primavera.
Ho odiato la primavera (ma lo sapete già, perché lo dico sempre): pensavo che fosse per via di tutti quei fiori chiassosi e stonati, ma mi sbagliavo.
Per molto, molto tempo, il mio tempo interiore si è fermato a pochi passi dalla primavera, nel gelo dell’inverno e nessun fiore, nessun sole, nessuna brezza lieve ha permesso il disgelo.
La morte del mio bambino ha congelato il mio cuore e mi ha catapultato fuori dal tempo, per tutto il tempo necessario a rifiorire dal di dentro, e non soltanto fuori.
Oggi, primo febbraio, siamo a metà dell’inverno nel tempo del mondo; chi abita nel mondo della regina cuordighiaccio sa che il suo tempo scorre a rallentatore, o è sospeso, persino, per un lungo tempo che non è un per sempre.
Nel mentre che attendiamo pazienti il disgelo dal di dentro, arrivi a voi tutto il nostro bene: una promessa di gemma, nel cuore dell’inverno.