Studio di Psicologia e Psicoterapia Dott. Gina Paganelli

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17/12/2019
17/12/2019

Come ogni anno, torna l’Incontro-Dibattito
con i medici di base del territorio per informare e discutere riguardo le attività e le tecniche innovative del Poliambulatorio Medico Chirurgico Riabilitativo “Mesal”.

27/11/2019
Impariamo a volerci BeneCon il termine “autostima” si intende l’opinione che abbiamo su noi stessi, il valore che ci dia...
19/11/2019

Impariamo a volerci Bene

Con il termine “autostima” si intende l’opinione che abbiamo su noi stessi, il valore che ci diamo. Le persone con una bassa autostima hanno una visione negativa del proprio valore, visione che tende a rimanere stabile nel tempo. I tratti caratteristici di chi ha una bassa autostima sono:

Essere convinti di valere poco, di non possedere particolari qualità e di non avere successo nella vita
Tendere a colpevolizzarsi e criticarsi, minimizzando i risultati che si ottengono focalizzandosi su errori e insuccessi.
Fare fatica ad esprimere i propri bisogni e le proprie opinioni ad altre persone.
Provano spesso senso di colpa, vergogna, frustrazione ed ansia.
Una bassa autostima può avere conseguenze per il benessere mentale e fisico di una persona, diminuendo la qualità di vita. A livello sociale questo può voler dire con la tendenza alla compiacenza o al ritiro. A livello di benessere queste persone non si coinvolgono in hobby, attività o sport.

Una buona autostima è una qualità incredibile che possiamo sviluppare da soli. L’autostima di solito è un costrutto abbastanza stabile nel corso della vita, ed è sviluppato attraverso i vissuti e le esperienze che abbiamo vissuto nel corso della nostra vita. L’autostima spesso è rafforzata come effetto dell’affrontare e superare le difficili sfide che la vita ci fa incontrare.

Noi possiamo sviluppare una miglior senso di autostima continuando a cercare di essere compassionevoli, gentili e rispettosi con sé stessi e gli altri. Questo comportamento permette di perseguire il tentativo di essere la migliore versione di sé stessi. Ci sono alcune azioni che ci possono guidare nel cercare di coltivare un migliore senso di autostima.

Imparare a conoscersi e a coltivare la propria autostima: cerchiamo di osservare in maniera non giudicante il nostro livello di autostima, volendogli dandogli un valore da 1 a 10. Questo ci permette di avere un punto di partenza. Se la vostra autostima è minore di quanto vorreste cercate di perseguire un atteggiamento di gentilezza e empatia verso voi stessi. Essere troppo giudicanti o critici non è mai d’aiuto.
Imparare a essere consapevoli di se stessi in maniera non giudicante: è importante conoscere le proprie aree di forza e di debolezza. Se serve potete fare una lista degli aspetti dove vi sentite più forti e quelle in cui invece vi sentite più deboli. Se le prime sono le aree dove vi potete apprezzare al meglio le seconde sono quelle di cui vi dovete prendere più cura quando possibile. È importante fare tutto questo con un atteggiamento di accettazione verso sé stessi. L’obiettivo è quello di conoscere meglio sé stessi piuttosto che criticarsi.
Lavorare con queste liste: ora che avete fatto queste liste, quando potete prendete del tempo per osservarle: per quanto riguarda la lista dei propri aspetti di forza osservateli e siate grati per queste vostre qualità e per il lavoro che avete fatto per svilupparle. Poi scegliete uno dei vostri aspetti negativi e cercate di lavorare per migliorarlo, cercando di progredire giorno per giorno in questo lavoro. imparando ad essere consapevoli e curiosi verso sé stessi piano piano vi allontanerete dal concetto di giusto o sbagliato, iniziando a pensare a cosa è utile per ciascuno di noi.
Essere paziente verso se stessi: i cambiamenti non avvengono dal giorno alla notte, e bisogna quindi imparare ad accettarsi ed essere pazienti verso sé stessi, accettare che siamo un cantiere aperto e all’opera, farà crescere la nostra autostima, non facendoci più sentire sbagliati ma “in miglioramento”.
Seguire questi passi ci può aiutare a smettere di cercare di impressionare qualcuno o metterci alla prova. Invece ci permette di focalizzarci nel cercare di essere la persona che NOI vogliamo.

30/07/2019

Ciascuno di noi nasconde delle potenzialità inaspettate: ne erano convinti Rudolf Steiner e Maria Montessori e oggi le neuroscienze ce lo confermano

Le persone quando chiedono aiuto....
01/07/2019

Le persone quando chiedono aiuto....

18/06/2019

SO DI NON SAPERE.....
Non sottovalutate l’umiltà: è l'arte di chi sa migliorarsi
Dal "So di non sapere" di Socrate, l'umiltà è l’atteggiamento più efficace per trovare il punto di equilibrio fra la valorizzazione di se stessi e il riconoscimento dei propri limiti Senza, difficilmente si cresce e si migliora. E non c'entra nulla con la modestia......... Fin dai tempi di Socrate, conosciamo il valore dell’umiltà. Il suo “So di non sapere” è un grande esempio di cosa possa essere l’umiltà e di quali vantaggi possa procurare.
La storia narra che un vecchio amico di Socrate, Cherefonte, consultò l’oracolo di Delfi per sapere se esistesse persona più sapiente del filosofo, e la risposta fu negativa: Socrate era davvero il più sapiente di tutti, questo il responso. Ma il filosofo greco, esercitando l’arte del dubbio, non credeva di possedere maggiori conoscenze di un politico, di un poeta o di un artista. Così cominciò a interrogarli, con il suo stile maieutico. E scoprì qualcosa che proprio non si aspettava: questi personaggi non avevano tutte quelle conoscenze che dichiaravano di avere.
Da qui, le conclusioni di Socrate...... mentre un politico o un artista pensano di sapere e di fatto non sanno, io non credo di sapere ciò che effettivamente non so.
Il filosofo ammetteva così, con umiltà, di non conoscere la maggior parte delle cose di questo mondo. E almeno di questo era certo.
La parola umiltà deriva dal latino humus, ossia la terra fertile. Da questo punto di vista, l’umiltà rappresenta il terreno più idoneo e fertile per far crescere la conoscenza e acquisire competenze nuove. Senza umiltà, difficilmente si cresce e si migliora. Se l’arroganza porta ad arroccarsi difensivamente sulle proprie posizioni, l’umiltà spinge a guardare oltre, a cercare nuove informazioni e nuove soluzioni.

11/05/2019

Oggi voglio recuperare due riflessioni dello psichiatra Paolo Crepet, che da sempre si scaglia con forza contro l’attuale generazione di genitori. Secondo lui, gran parte dei problemi dei nostri ragazzi deriva proprio da una classe di genitori che ha rifiutato il proprio ruolo, preferendo quello di amiconi.
Quando il buonismo educativo è così pregnante, non va bene. Noi non abbiamo più figli, ma piccoli Budda a cui noi siamo devoti, epr cui possono fare tutto. Scelgono dove andare a mangiare, in quale parco giochi. Siamo diventati genitori che dicono sempre di si. Ma questo è sbagliato. Esposti. Quando diventeranno grandi ci sarà qualcuno che gli dirà di no. Magari alla prima frustrazione amorosa. Magari al primo lavoro. I genitori vanno al primo incontro di lavoro del figlio di 26 anni. Poi c’è gente che non manda i figli all’Erasmus perché fa freddo. Sono un disastro questi genitori. Non possiamo generalizzare, ma in molti casi è così.
Paolo Crepet

Perché i genitori versano in questo stato disastroso? Cosa ha portato a una generazione di adulti pronti a dire sempre di sì ai propri figli e a evitare loro qualsiasi problema? Il declino della responsabilità:

“Colpa di chi ha detto loro che le responsabilità sono un problema, mentre invece sono il metro con cui si misura la propria crescita. Sono le responsabilità e la capacità di prendere in mano la propria vita che definiscono l’essere adulto e lo differenziano da un bambino. L’idea di trovarsi una generazione di eterni adolescenti a quarant’anni fa veramente gelare il sangue”.
Paolo Crepet

Ed è proprio sul tema della responsabilità che voglio invitarvi a riflettere (e sul quale riflettiamo anche noi, ogni giorno): le nuove generazioni di genitori hanno paura della responsabilità? Come affrontiamo la nostra responsabilità di genitori?

10/04/2019

Il coraggio di chiamarsi perdenti......
CI pensavo giorni fa.... un pensiero così, uno di quelli che ti vengono quando ti è scivolata di mano una grossa opportunità e tu non ci puoi fare niente, solo accettare il verdetto.
Ti verrebbe voglia di scatenare l’inferno, di gridare al complotto o di uncinettare qualche magnifica storia per dipingere un sabotaggio.
E invece no.
Hai perso.
Succede nella vita.
Si perde, si vince.
Si perde, soprattutto.
E quando si perde pesa soprattutto il sogno di tutto quello che ti eri costruito presumendo la vittoria. Come se alla fine tu fossi il peggiore nemico di te stesso.

Eppure non c’è posto per i perdenti, qui. Tutti vincitori, oppure ben armati contro un nemico ben riconoscibile, tutti bravi a essere puntati contro un nemico ben definito. Non perdono mai, quegli altri. Al massimo vengono fregati, dicono loro. Così quando succede di perdere non sai nemmeno dove metterti perché l’unico spazio che ti è concesso è quello tra i falliti.

Bisognerebbe allenare il coraggio di chiamarsi perdenti, di dirselo dandosi del tu, guardandosi allo specchio: ho perso perché le regole del gioco mi hanno fatto fuori, ho perso perché probabilmente qualcuno meritava più di me.

È la vita vissuta come un enorme game (leggetevi il libro di Baricco se vi capita) dove tutto è punteggio, dove anche i fatti quotidiani diventano schermi da superare, nuovi livelli da raggiungere e dove perdere è considerato un peccato mortale.

Che bello che sarebbe il mondo se la gente ci scherzasse su, a una sconfitta, ci bevesse qualcosa ripromettendosi di fare meglio la prossima volta, vivendo invece fuori dal game e immaginando che l’esperienza sia quel pesantissimo bagaglio che contiene le nostre sconfitte e le nostre fragilità

E qualcuno che dice “ho perso” si merita un abbraccio più forte, perfino un abbraccio di consolazione. Senza classifiche, punti. Restando umani, davvero.

04/04/2019

Promuovere l’autonomia di un figlio, secondo il famoso motto montessoriano “aiutami a fare da solo”, non è semplice. Ci vuole pazienza, determinazione, ma anche una visione della vita e di noi stessi un po’ particolare. Per insegnare a un bambino a fare da solo, bisogna non rendersi sempre disponibili. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi.

Spesso sei tu a vestirlo, ad allacciargli le scarpe, ad imboccarlo se è stanco o svogliato. Da un lato c’è la mancanza di tempo, che ti spinge ad intervenire per risolvere il problema. Dall’altro il senso di colpa, che ti fa sentire inadeguato/a e ti porta ad intervenire più del dovuto.

Risultato? Bambini che non hanno voglia di fare e che, con una vita eccessivamente semplificata, non sono pronti ad affrontare gli ostacoli. Forse finché sono piccoli è un problema di rilevanza relativa: ma cosa accade quando poi ci si confronta con il mondo del lavoro o le relazioni sociali al di fuori della famiglia?

Vediamo allora perché è così difficile dire no, ma anche perché è importante imparare a farlo. Per te stesso/a, prima ancora che per i tuoi figli.

INTELLIGENZA EMOTIVA È SAPER DIRE NO!
Dire no a una situazione che non ti piace, a un comportamento che non condividi, è sinonimo di rispetto per te stesso/a, non solo per gli altri. Significa avere la forza di far capire che per te così non va bene.

Non è solo importante nella relazione genitore-figlio, ma anche nei rapporti tra adulti. Essere troppo disponibile, anche quando non puoi o non vuoi, ti porta ad esaurire le tue energie, a vivere scontento/a. Ecco perché bisogna selezionare attività, persone, eventi, sulla base di ciò che realmente ti fa stare bene.

EVITIAMO DI FARCI CONDIZIONARE DAL SENSO DI COLPA
Qualche no in più non ti renderà più cattivo/a, per cui non sentirti in colpa. I genitori di oggi vivono immersi in un flusso di informazioni che li mette continuamente in discussione o li paragona a modelli di perfezione estrema. Li si vorrebbe presenti ma non troppo, creativi ma precisi, educatori ma anche amici.

Si chiede troppo, almeno nella teoria, a questi “poveri” genitori che, nella pratica, devono far coesistere tante istanze, in un equilibrio molto precario. Dire no a troppe attività, a troppe richieste, significa semplificare e focalizzare l’attenzione sulle cose davvero importanti. Per farlo, occorre davvero fare un decluttering emotivo profondo, coinvolgendo tutta la famiglia.

L’altro punto fondamentale è il rispetto delle regole: “NO” in famiglia significa avere regole condivise che, nel bene o nel male, tutti seguono. Dire un no a un bambino che urla significa regalargli un futuro da adulto equilibrato. Costa fatica però: cedere è molto più semplice, anche solo per non sentire il pianto.

DISPONIBILI, NON A DISPOSIZIONE: COSÍ CRESCIAMO GLI ADULTI DI DOMANI
Ti sto dicendo di diventare un dittatore? Assolutamente no! Ti suggerisco però di non fare quello che a volte viene definito “genitore spazzaneve”: non spianare la strada, perché i benefici magari ci saranno nell’immediato, ma non nel futuro. In un mondo di persone sempre più fragili, il miglior regalo che puoi fare ai tuoi figli è la regola, è l’essere presente, disponibile, ma non costantemente a disposizione.

09/11/2018

Il dolore che si avverte in conseguenza ad una perdita diventa spesso legame esso stesso con chi non c’è più...elaborarlo può essere vissuto come un’ulteriore rottura, come un separarsi definitivamente...un tradimento perché si torna a vivere, in realtà i ricordi non si cancellano mai, rimangono vivi nella nostra mente per sempre ma per arrivare qui il dolore richiede, dopo una prima fase, di essere non contemplato ma attraversato.

25/09/2018

“Occorre fare dei cambiamenti nella vita dei nostri bambini prima che un’intera generazione vada sotto farmaci” “C’è una tragedia silenziosa che si sta svolgendo proprio ora, nelle nostre case, e riguarda i nostri gioielli più preziosi: i nostri bambini. Attraverso il mio lavoro con cent...

12/07/2018

La solitudine è anche questione di geni. L'essere socievoli oppure schivi dipende in un certo modo anche da 15 varianti genetiche specifiche. A scoprirlo sono

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