Psicologa|Counselor|Psicodrammatista|Ipnologa, creo spazi in cui le parole prendono forma, il corpo voce e la psiche diventa luogo di scoperta. LG
Supporto psicologico|Counseling|Formazione soft skills
Adulti|adolescenti|coppie|gruppi www.luisaghianda.it Guardo alla cura come ad un gesto di amorevole gentilezza verso se stessi: una maggiore conoscenza delle proprie dinamiche interiori incrementa l'autoconsapevolezza, aprendo ad una partecipazione responsabile alla vita e alle relazioni. Ritengo la sofferenza parte ineluttabile del destino de
ll'uomo, potente maestra che svela cose significative su di sé. Guardo al cambiamento come ad un viaggio di cui il terapeuta è solo copilota, processo di auto-guarigione al quale assiste come un attento testimone fino a vedere quell'essere umano tornare a danzare con la vita. Sono riconoscente a tutti coloro che scelgono me per condividere un pezzetto del proprio cammino interiore, perché mi consentono scambi di profonda umanità, contribuendo alla mia crescita come essere umano, alimentando la passione per ciò a cui mi dedico.
25/07/2025
È presente anche in noi donne, il maschilismo, d'altro canto per essere maschilisti non occorre essere maschi.
Lo vediamo nel modo in cui ancora educhiamo i figli maschi secondo stereotipi di genere, ci poniamo con sudditanza nei confronti del partner, subiamo i capi maschi al lavoro, ci relazioniamo con le altre donne, additandole per presunti comportamenti fuori etichetta.
E così, il maschilismo, continua a serpeggiare indisturbato.
A volte veste già i panni della violenza, ma noi nemmeno ce ne rendiamo conto.
Educare senza patriarcato non è un’utopia: è una necessità.
È presente anche in noi donne, il maschilismo, d'altro canto per essere maschilisti non occorre essere maschi. Lo vediamo nel modo in cui ancora educhiamo i ...
25/07/2025
Essere femministe.
Mandare il partner a fare la spesa non è di per sè un atto di femminista, perché la questione non si esaurisce nel ribaltare i ruoli, né nell'invertire i pesi, ma nel negoziare i compiti con equità e consapevolezza, tenendo conto di desideri, fatiche, libertà reciproche. Non è femminismo, per di più, se la delega della spesa ha il sapore di un atto punitivo (“così impari!”), o se il carico mentale (“fai la spesa tu, ma ti dico io cosa comprare”) rimane sulle spalle della donna.
Non sei femminista se non fai più figli, ma se scegli liberamente se farli o meno, senza imposizioni, colpa, aspettative sociali o morali, senza paura di essere tacciata di egoismo, freddezza, senza rinunce e sacrifici unilaterali.
Il tema è sradicare l’idea che la realizzazione femminile passi obbligatoriamente attraverso la figliolanza.
Puoi scegliere di essere madre o meno.
A testa alta.
Essere femminista significa assumere una posizione consapevole a favore della dignità della donna, senza lasciarsi insultare da quel misogino "avete voluto la parità e adesso solleva anche tu 'sto sacco da 100kg", perché la parità sta nell'accesso paritario ai diritti, non nel negare le differenze tra i sessi, che esistono a partire dalla struttura cerebrale (x es. la grandezza dell'amigdala).
Sei femminista quando metti in discussione strutture diseguali, abitudini consolidate, automatismi che derivano da secoli di squilibri.
Quando lotti per l'uguaglianza, quando riconosci e valorizzi la differenza, quando metti in discussione il dominio del maschile e i ruoli di genere imposti.
Ti rendi conto che sei sulla buona strada quando non pretendi di rappresentare tutto il femminismo, perchè se si genera divisione invece che forza collettiva, si sta portando avanti un pensiero maschilista.
Essere femministe è una scelta di sguardo sul mondo, è una volontà di trasformazione, è la pluralità delle esperienze femminili, è affrontare le contraddizioni per disinnescarle.
È una "vision" da coltivare lungo tutta una vita, che acquista corpo strada facendo.
La questione sta nell'essere in cammino.
24/07/2025
Non commento quasi mai fatti di cronaca. Non lo faccio per scelta, per evitare di nutrirmi del gossip e usarlo a piacimento per farci il pezzo "riflessivo" da "psicologa".
Ci vuole compassione nella vita, e quando la vita delle persone diventa virale, anche se invita al succulento post sensazionale, merita più silenzio che un faro puntato addosso.
Questa, però, è una vicenda che ho visto commentare ovunque, persino da testate che solitamente considero degne di nota. Un clamore effimero che mi ha lasciata sgomenta, aprendo squarci importanti sul nostro modo di stare al mondo.
Un bacio rubato da una "Kiss cam" durante il concerto dei Coldplay ha incendiato la rete, travolgendo i due protagonisti. Entrambi sposati, colleghi, la vicenda è culminata con le dimissioni, il divorzio e un'esposizione forzata resa violenta dall’occhio pubblico, sempre più avido di scandalo. Probabilmente io sono parte della catena, in fondo.
L'accanimento è una dinamica tipica del branco, dove la deresponsabilizzazione regna sovrana: insultare tutti insieme sembra alleggerire il peso del gesto, rendendolo accettabile.
Tuttavia, quando la responsabilità individuale evapora, e viene sostituita dall’ebbrezza dell’indignazione collettiva, il sadismo affiora. Anche se si traveste da giustizia, nel tentativo di confondere, sempre sadismo collettivo rimane.
Quel che può sembrare solo innocuo voyeurismo alla Tinto Brass, in realtà racconta qualcosa di un po' meno innocuo: una ricerca spasmodica di emozioni da consumare, dove l’altrui intimità imperfetta diventa spettacolo da condannare senza pietà.
La “kiss cam”, nella sua apparente innocenza, è una delle tante forme di spettacolarizzazione delle emozioni. Ma se la scena che ci viene restituita devia dal copione – quello della coppia che si unisce in un tenero bacio rassicurante – si attiva un cortocircuito collettivo. Gli spettatori, disorientati, si sentono traditi, tanto da legittimarsi una reazione scomposta carica di sdegno e frustrazione, che assume la corposa forma della condanna pubblica.
Viviamo un momento storico segnato da guerre impietose, femminicidi quotidiani, mari surriscaldati e disuguaglianze crescenti. Eppure, ci mobilitiamo con grande sussulto per un bacio tra due persone coinvolte in una relazione extraconiugale.
Non è l’etica ad animare questi giudizi: è la morale ipocrita, più attenta alle apparenze che alla complessità della vita. L'intimità fedifraga diventa colpa da redimere pubblicamente.
La fragilità, il desiderio, l’inciampo, il segreto sono gli aspetti dell’umano che più ci mettono in crisi. Perché parlano di noi.
E forse, proprio quando sentiamo il bisogno di accusare l’altro, dovremmo imparare a chiederci se non stiamo tentando, piuttosto, di scagionare noi stessi. Per le nostre plurime imperfezioni.
23/07/2025
Nell'intervista con entro nel merito di che cosa possa significare accompagnare una figlia che cambia, che chiede, che pretende...magari un costume micro, stile influencer di grido.
Nelle parole della canzone di Bennato mi appare una madre mediterranea, simbolo di un’epoca in cui essere genitori significava soprattutto dirigere, vietare, proteggere e custodire, ma forse pure trattenere, a costo di risultare ingombranti.
Oggi funziona ancora?
Dalla mia esperienza a contatto con i preadolescenti delle scuole medie, di etnie diverse, con i bisogni più svariati (accomunati, però, dal forte desiderio di prendersi un posto, come vuole la crescita), mi pare che il solo autoritarismo non tenga più, intendo la pura normatività del tipo “Taci e fallo”, "Si fa come dico io".
Ma anche la mamma che si prende cura con troppa cura stroppia (perché un amore energico ma senza misura, affettuoso ma totalizzante, rischia di farsi trappola soffocando la crescita).
Io ritengo utile uno stile educativo che accompagni con consapevolezza e misura. Crescere significa anche separarsi, e separarsi richiede adulti non invadenti, capaci di esserci guardando le spalle.
Nel caso di un micro costume, non si tratta di dire sì o no per principio, ma di fermarsi, ascoltare, domandare, per costruire insieme il senso di ciò che si fa e aiutare a distinguere tra desiderio autentico e bisogno di approvazione.
Il micro costume può allora diventare il pretesto per un dialogo più grande: sulla libertà, sul rispetto, sul corpo che cambia...
🎤 L'intervista completa è disponibile sul mio canale YouTube. LINK IN BIO.
19/07/2025
Questo è un momento storico in cui il solo autoritarismo non tiene più, la pura normatività (“Taci e fallo”) viene rifiutata senza mezzi termini.
Il permissivismo, però, rischia di lasciare il figlio, ancora bisognoso di essere guidato, solo ad affrontare il mondo.
Serve uno stile educativo che accompagni con consapevolezza e misura.
La mamma che si prende cura è buona cosa, ma anche troppa cura storpia: un amore energico ma senza misura, affettuoso ma totalizzante, rischia di soffocare la crescita, facendosi trappola. Crescere significa anche separarsi, e separarsi richiede adulti non invadenti, capaci di esserci lasciando spazio per sperimentare.
Lo stile genitoriale autorevole è questo: presenza che ascolta, guida che non impone, affetto che lascia andare. Fare un passo indietro per far posto a chi cresce, guardandogli le spalle.
Nell'intervista, a cura della giornalista M. Truncellito per edizioni San Paolo, entro nel merito di cosa possa significare accompagnare una figlia che cambia, che chiede, che pretende. Farlo con la fermezza dell’amore maturo e la delicatezza di chi sa che ogni trasformazione ha bisogno di fiducia.
✍️L'articolo è presente sulla rivista "Maria per te", in edicola questa settimana.
17/07/2025
Viva la mamma… (che essere genitori è sempre compito arduo) “…affezionata a quella gonna un po’ lunga, così elegantemente anni cinquanta…”. Nelle parole di Bennato mi appare una madre mediterranea, simbolo di un’epoca in cui essere genitori significava soprattutto dirigere, vietare, certo — anche proteggere, custodire — ma forse pure trattenere, a costo di risultare ingombranti.
Oggi funziona ancora? Si spendono un sacco di parole sull’essere genitori e, comprendo bene, alla fine ti gira la testa (e pure qualcos’altro).
Nessuna volontà di offrire ricette preconfezionate, ma solo il desiderio di promuovere riflessioni a partire dalla mia esperienza scolastica: a contatto con i preadolescenti delle scuole medie, di etnie diverse, con i bisogni più svariati. Bambini che si avvicinano alla preadolescenza con un bisogno preciso: ottenere il proprio spazio nel mondo, prendersi un posto — possibilmente a testa alta.
Mi pare, questo, un momento storico in cui il solo autoritarismo non tenga più: la pura normatività (“Taci e fallo”) viene rifiutata senza mezzi termini. Sono avvenuti cambiamenti sociali che rendono necessario uno stile educativo che evolva, che accompagni con consapevolezza e misura.
La mamma che si prende cura — sì, che bello — ma anche troppa cura storpia: un amore energico ma senza misura, affettuoso ma totalizzante, rischia di soffocare la crescita, facendosi trappola. Crescere significa anche separarsi, e separarsi richiede adulti non invadenti, capaci di esserci lasciando spazio per sperimentare.
Lo stile genitoriale autorevole è, invece, questo: presenza che ascolta, guida che non impone, affetto che lascia andare. Fare un passo indietro per far posto a chi cresce, guardandogli le spalle.
In questo articolo a cura di Mariateresa Truncellito entro nel merito di cosa possa significare accompagnare una figlia che cambia, che chiede, che vorrebbe pretendere. Farlo con la fermezza dell’amore maturo e la delicatezza di chi sa che ogni trasformazione ha bisogno di fiducia.
È stato amore a prima vista – come succede una, due... quante volte nella vita? – con questa terra, quando i miei occhi si sono imbattuti in quelli del golfo di Squillace. Ci sono tornata ogni anno, come si rincorre un amore ostinato, che non ti dà tregua.
Sì, questa non è forse una terra che sa mettersi in ghingheri. Se si mette il rossetto, sbava. Se si pettina, i capelli finiscono per scompigliarsi.
Ma, forse, è proprio questo il suo segreto. È ruvida, selvaggia, e profuma di bergamotto – che ci fanno pure una granita buonissima.
È un po’ sgarrupata, lo ammetto, ma più ti ci perdi, più ti ritrovi.
Sarà che sono sgarrupata pure io, una "tutta Desio", come diceva qualcuno con un mezzo sorriso – intendendo una provinciale che non può certo vantare stile, profondità e senso del mondo, prerogative naturalmente riservate ai cittadini.
Fatto sta che la Calabria e la sua bellezza indisciplinata mi piacciono un sacco, un po' come mi capita a scuola con gli alunni "difficili".
E sarà pure una terra bistrattata, infamata, ma io la trovo tutta cuore.
La vista corre libera lungo le sue spiagge per poi tuffarsi indisturbata nell'orizzonte, i silenzi imbrattati solo dallo schiaffeggiare del mare.
Anche le pietre, qui, hanno carattere.
C'è il fruttivendolo che ti chiama “signorina” anche se hai superato gli anta, una sedia di plastica vista mare che si lascia battezzare a tutte le ore del giorno e della notte, l'acqua salata che ti fa sentire a casa – proprio come nell'acqua cristallina della piscina di Giussano, quella chic con il tetto retrattile, solo che qui hai intorno solo il mare che ti dà del tu.
Ci sono le case smozzicate – che urtano non poco il mio senso estetico – e sembrano proprio detestare il vestito buono. Ma poi, lì all'angolo, c'è il signore del banchetto di pesce fresco che mi ha già messo da parte la mia porzione di tartare: "Eh, signorì, ‘nu pocu d’agghiu e limuni… ma ‘a carne si tratta comu ‘na signura: cu rispettu e senza ‘mpastari troppu!".
Che volete farci, la provinciale che c’è in me qui sta comoda. Sarà che ho il cuore mappato in paesi, non in capitali.
Nella mia esperienza giornaliera con gli - e per quella che ho fatto io, di esperienza, come - colgo sia proprio l’epoca della rivelazione del potere personale. Il corpo, fiorendo, intuisce di avere un suo potere seduttivo.
Gli adulti non possono mancare a questo appuntamento. Essere presenti nel movimento di ricerca, conquista, crescita che è l’ non è roba semplice. È meglio dirigere? Controllare? Indirizzare? Lasciar fare? Negare?
Io penso che una buona strada sia quella di "esserci" - meglio senza giudicare - posizionando i binari lungo la via, in modo che le ragazze e i ragazzi sappiano che ad ogni fermata ci sarà un adulto pronto ad accoglierli con uno sguardo che offre ascolto e riconoscimento.
Prima della partenza e lungo il viaggio, con instancabile tenacia, educare al rispetto di sé e dell’altro, alla comunicazione autentica, alla ricerca del consenso, alla libertà di dire “no… basta… mi piace… non mi piace”, ma non come fosse un podcast a una sola via di comunicazione, quanto in una dimensione di continuo scambio con il giovane.
Riconoscere la soggettività del giovane e la sua capacità di orientarsi, se adeguatamente sostenuto, è il pensiero guida.
Per farlo, è necessario offrire spazi di parola e ascolto, liberi da etichette e da pregiudizi, dove raccontarsi non significhi essere esposti, ma sentirsi accolti.
🆘 Gli adulti — genitori, educatori, insegnanti — devono attrezzarsi per affrontare anche i temi “scomodi”, senza rimuoverli, né banalizzarli.
E non è escluso che, talvolta, siano proprio loro ad aver bisogno di aiuto per trovare parole nuove, strumenti più adatti, alleanze solide.
La consulenza psicologica serve anche a questo: sostenere la genitorialità nei passaggi difficili, quando la rotta sembra smarrita.
Essere presenti nel dialogo significa esplorare insieme il paesaggio dei valori personali e culturali, per contribuire alla costruzione di una bussola interiore che aiuti i ragazzi a scegliere con consapevolezza.
🎭 Dialoghi sulla follia tra Mauro de Candia, scrittore & Luisa Ghianda, psicologa.
Io e Mauro De Candia ci ascoltiamo, lasciamo che le immagini si rincorrano, libere, attorno al tema incandescente della follia.
Mauro, a partire dal suo ultimo libro "La follia dell'hirameki'– intimo, spiazzante, poetico – apre la scena del discorso. I suoi racconti prendono corpo, mentre mi accorgo che ha fatto della sofferenza arte, sfumando i confini tra la normalità e il delirio, rendendo quest'ultimo labile, innocuo, perfino bello: la portatrice di bellezza.
Io lo ascolto raccontare, e mentre ascolto, lascio affiorare libere associazioni: immagini, storie di terapia, esperienze personali, riflessioni.
La follia, nel nostro dialogo, smette di essere un "altrove" da temere: diventa paesaggio condiviso, terreno fragile e fertile.
Un incontro, il nostro, dove entrambi esponiamo noi stessi, le nostre domande, il nostro modo – radicale e delicato – di stare accanto all’umano.
Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Luisa Ghianda - Discipline Psicologiche Integrate pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Mi interessano poco eventi, accadimenti; ciò che mi importa davvero è quello che questi lasciano nell’Anima degli esseri umani.
Ho cominciato la mia esperienza professionale lavorando nella moda, in qualità di modella. Poi me ne sono vergognata per anni (“Chi sceglierà di farsi curare da una ex-indossatrice? Quanto sarò credibile in un’aula di formazione”), facendomi optare per omettere questo “dettaglio” e valorizzare l’esperienza successiva, quella dall’aspetto “serio”, la collaborazione decennale presso la Giorgio Armani in un ruolo commerciale, indubbiamente preziosa ma non meno della lunghissima esperienza come modella. Qualche anno fa ho smesso di vergognarmene. Come potevo pensare di essere utile nel mio nuovo ruolo professionale se io per prima ero attanagliata da stereotipi, paure, vergogne, chiusure? Sono quella che sono grazie alle mie variegate esperienze di vita. Niente da recriminare, molto per cui ringraziare.
Più interessata a fare l’indossatrice che a frequentare le scomode facoltà di psicologia di Torino o Padova, le sedi allora più prossime alla Brianza, caput mundi (!) nonché terra natia, mi sono laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Università Statale di Milano. Ad un certo punto mi è balenato chiaro nella mente che se non avessi seguito quell’antica passione, la psicologia, avrei fatto un torto alla mia Anima. Congiunture favorevoli, miste alla mia caparbietà, mi hanno permesso di continuare a studiare, in fondo senza grosse difficoltà. Io ci ho messo solo molta passione.
Oggi mi occupo di sviluppo personale, organizzativo, educativo, convinta che in ogni essere umano ci sia una grande possibilità di trasformazione, laddove ci sia sincera motivazione al cambiamento.
Psicologa (Ordine Psicologi Lombardia n.19939), ho approfondito prima la psicologia delle organizzazioni poi la psicologia clinica, counsellor professionista con indirizzo in Analisi Transazionale, ipnologa di stampo neo-ericksoniano, direttore di Psicodramma Moreniano, conduttore di gruppo con Metodi Attivi, esperta in progettazione-erogazione-valutazione delle attività formative, formatrice accreditata per responsabile di volontario in hospice, specializzata in attività di sostegno didattico agli alunni con bisogni educativi speciali e disabilità, appassionata di discipline orientali.
Esercito la libera professione a Desio (MB), dove svolgo attività di sostegno psicologico individuale e di gruppo, prevenzione, abilitazione-riabilitazione di risorse personali, percorsi di counselling, supporto alla coppia e ai genitori.
In collaborazione con enti ed aziende, progetto ed erogo percorsi di formazione comportamentale e coaching, che mirano allo sviluppo di soft skills e capacità di comportamento organizzativo, con l’obiettivo di favorire processi di empowerment finalizzati a gestire il ruolo professionale con intelligenza emotiva.
Infine, lavoro nella scuola pubblica dove mi occupo di alunni con bisogni educativi speciali e disabilità attraverso attività di sostegno didattico, che mira allo sviluppo di autostima, conoscenza, integrazione.
Penso ad una psicologia del benessere, non solo destinata ad incidere sulla patologia, finalizzata a migliorare la qualità di vita: favorire un dialogo più intimo con la propria Anima per realizzare pienamente la propria individualitá, per vedere germogliare quel seme che c'è in ognuno di noi.
Ritengo importante proporre e integrare approcci differenti, affinché ognuno possa incontrare lo strumento di crescita, cambiamento, guarigione più adatto a sé: più numerosi sono gli strumenti a disposizione maggiore è la possibilità di personalizzare l'intervento. Credo, inoltre, nel valore dell’integrazione tra professionisti con formazione altra, poiché trovo la strenua difesa del proprio strumento di cura un approccio miope: non c’è un’unica verità, né alcuna verità in tasca; l’essere umano è complesso, portatore delle proprie peculiarità, che possono essere accolte solo se si rimane in apertura. Ciò che sento davvero importante è prendersi cura di sé con qualsiasi mezzo, con la disciplina che si percepisce piú affine a sé, purché non ci si "perda di vista", perché la cura é un gesto di amorevole gentilezza verso se stessi.
Sono convinta che in ognuno di noi ci sia una grande possibilità di crescita, di rinascita. Credo nel potenziale evolutivo insito nella sofferenza emotiva; l'ho faticosamente sperimentato. Guardo al processo di cambiamento come un viaggio di cui il terapeuta è solo co-partecipante, auto-guarigione in realtà, alla quale questi assiste come un attento testimone, fino a vedere quell’essere umano tornare a danzare un passo dopo l’altro. Sono molto riconoscente a tutti coloro che scelgono di condividere con me un pezzetto del loro cammino, personale o professionale, perché mi consentono scambi di profonda umanità, scambi significativi, che danno sostanza alla mia quotidianità, alimentando la passione per ciò a cui mi dedico.