06/08/2025
C’è una verità scomoda, sottile e spesso invisibile, che attraversa molte relazioni:
noi blocchiamo gli altri proprio nel punto in cui siamo bloccati noi.
Li limitiamo dove noi non abbiamo ancora osato andare.
Li giudichiamo dove in noi abita ancora un senso di colpa.
Li tratteniamo dove noi stessi non ci siamo ancora liberati.
Questa dinamica avviene soprattutto nelle relazioni più intime e significative:
tra genitori e figli, tra partner, tra fratelli, tra amici, tra educatori e allievi.
Senza volerlo, a volte anche senza saperlo, proiettiamo le nostre paure,
i nostri limiti non affrontati, le nostre rinunce non elaborate,
su chi ci è vicino… impedendogli di crescere in quella direzione.
La paura di ciò che non abbiamo vissuto. Chi ha soffocato la propria libertà, teme quella degli altri.
Chi non ha conosciuto l’amore, si irrigidisce quando l’altro lo chiede.
Chi ha represso il proprio desiderio, giudica come “troppo” il desiderio altrui.
Chi non si è mai perdonato, si scandalizza davanti all’autocompassione dell’altro.
Per questo motivo, chi non si conosce diventa un sorvegliante invisibile nella vita degli altri.
Blocca. Rimprovera. Trattiene. Giudica.
Ma non per cattiveria…
Perché non può tollerare di vedere nell’altro quello che ha bandito da sé.
Il dolore di chi ama viene limitato
Ci sono figli che non possono fiorire perché i genitori li hanno bloccati nel loro stesso punto cieco.
Ci sono partner che non possono evolvere perché l’altro resta fermo nella sua prigione.
Ci sono vite che si spengono per non disturbare chi non si è mai permesso di accendersi.
E allora, invece di sostenere l’altro nel suo cammino,
inconsapevolmente lo invitiamo a rinunciare.
A non spiccare il volo.
A non scegliere, per non farci sentire rifiutati.
A non cambiare, per non farci sentire sorpassati.
A non amare in modo nuovo, per non mostrarci quanto poco abbiamo amato.
Non ci può essere cura se non c’è consapevolezza
Questa dinamica – proiettiva, inconscia, ma reale – non si supera con buone intenzioni.
Si supera solo con un lavoro di auto-conoscenza,
un percorso profondo di autocoscienza,
una disponibilità sincera a vedere dove siamo fermi
e a non fare dell’altro un ostaggio della nostra immobilità.
La libertà dell’altro non è un affronto.
Il cambiamento dell’altro non è un tradimento.
Il coraggio dell’altro non è una colpa verso di noi.
Guarire il nostro blocco per lasciare liberi
Ogni volta che ci troviamo a dire:
“Non capisco perché vuole questo…”
“Esagera…”
“Non serve cambiare…”
“Era meglio prima…”
“Non si può avere tutto…”
…proviamo a chiederci:
“Questa cosa che mi irrita… è qualcosa che io stesso non mi sono mai concesso?”
“Sto giudicando o sto proteggendo una mia ferita ancora aperta?”
Amare davvero è lasciare che l’altro cresca anche dove noi siamo ancora piccoli.
È non usare la nostra stasi come misura della sua direzione.
È non ostacolare con la nostra paura quello che per lui o lei è libertà.
È, infine, riconoscere onestamente dove siamo fermi… e non trasformarlo in gabbia per chi amiamo.
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(C. D'Angelo)
Grazie alla pagina “Le Vie del Tantra”