11/11/2025
Era il 24 giugno 1859, e la pianura di Solferino, tra Lombardia e Veneto, era diventata un inferno.
Centoquarantamila soldati — francesi, austriaci, piemontesi — si affrontavano in una delle battaglie più sanguinose del secolo.
Quando il fumo si diradò, il terreno era coperto di feriti, amputati, morenti.
Le chiese erano piene di urla. Le fontane, di sangue.
Un giovane uomo svizzero, di passaggio per affari, si trovò in mezzo a quel massacro.
Si chiamava Henri Dunant.
Non era un soldato, né un medico.
Era un banchiere, un idealista, un uomo di fede.
Ma quel giorno capì che non poteva andarsene.
Si mise a soccorrere chiunque trovasse, senza chiedere a quale esercito appartenesse.
Bende, acqua, conforto, parole.
E intorno a lui, le donne di Castiglione delle Stiviere fecero lo stesso.
Ripetevano una frase che sarebbe diventata eterna:
“Tutti fratelli.”
Dunant rimase settimane tra i feriti, poi tornò a Ginevra con una sola ossessione:
che il mondo non potesse più assistere passivamente a simili atrocità.
Scrisse un libro, Un ricordo di Solferino, in cui descrisse ciò che aveva visto e propose due idee rivoluzionarie:
creare società di soccorso neutrali, pronte ad aiutare i feriti di ogni esercito;
stabilire un trattato internazionale per proteggerli.
Da quel libro nacque la Croce Rossa Internazionale, e nel 1864 le potenze europee firmarono la Convenzione di Ginevra.
Era nata l’idea moderna di umanità in guerra.
Henri Dunant aveva cambiato la storia.
Ma non la sua.
Per aver trascurato i propri affari per dedicarsi alla causa umanitaria, p***e tutto:
la banca, la casa, la reputazione.
Venne dimenticato, deriso, cadde in povertà.
Anni dopo, un giornalista lo ritrovò in un ospizio svizzero, solo, malato, ma ancora lucido.
Quando gli chiesero se si pentisse, rispose:
“Il mio mondo è il mondo dei sofferenti.”
Nel 1901 ricevette il primo Premio Nobel per la Pace, condiviso con Frédéric Passy.
Dunant non partecipò alla cerimonia.
Viveva ancora povero, ma con la serenità di chi sapeva di aver seminato qualcosa che non muore.
Morì nel 1910, in una stanza modesta, con accanto un taccuino pieno di appunti e una croce rossa disegnata a matita.
Henri Dunant aveva visto la guerra e scelto di rispondere con la compassione.
Aveva capito che la vera vittoria non è sconfiggere un nemico, ma salvare una vita.
E ancora oggi, in ogni campo di battaglia, in ogni ospedale da campo,
quel simbolo rosso su fondo bianco continua a dire al mondo le stesse parole di Solferino:
“Tutti fratelli.”