19/08/2025
C’è un momento, nello sport e nella vita, in cui la forza non basta.
Un momento in cui il corpo ti tradisce, anche quando il cuore vorrebbe restare lì, a combattere fino all’ultimo punto.
Jannik Sinner lo ha vissuto sulla sua pelle, davanti al mondo intero. È sceso in campo contro Carlos Alcaraz con un peso addosso che non era quello di un avversario più forte, ma quello della stanchezza, della debolezza che lo ha colpito all’improvviso.
Le sue parole, dopo il ritiro, raccontano molto più di una partita:
“Sono sceso in campo solo per rispetto verso il pubblico, ma non ce la facevo. Da ieri non mi sentivo bene.”
C’è rispetto in queste frasi. Rispetto per chi ha comprato un biglietto per vederlo, per chi si è seduto sugli spalti sperando di assistere a un’altra battaglia indimenticabile. Rispetto per il tennis, che non merita compromessi, che pretende sempre onestà e verità.
Ma c’è anche fragilità. La fragilità che non siamo abituati a vedere nei campioni, perché li immaginiamo invincibili, macchine perfette pronte a superare ogni ostacolo. E invece no: anche i campioni hanno limiti, anche i campioni hanno giorni in cui il corpo dice basta.
Ammetterlo non è debolezza. Al contrario: è un atto di coraggio. Perché ci vuole forza per scendere in campo sapendo di non essere al meglio. Ci vuole forza per guardare negli occhi il pubblico e dire: “Ho provato, ma non ce l’ho fatta.”
In quel gesto c’è tutta l’umiltà di un ragazzo che, nonostante sia già tra i più grandi, continua a ricordarsi perché gioca: per passione, per onore, per chi lo sostiene.
E allora il ritiro non diventa una sconfitta, ma una lezione. Una lezione che parla di ascolto di sé stessi, di rispetto dei propri limiti, di amore per la verità. Perché fermarsi, a volte, è l’unico modo per poter ripartire davvero.
Oggi vediamo Sinner lasciare il campo con il volto stanco, ma domani lo rivedremo tornare con ancora più fame, con ancora più forza. Perché chi sa accettare la fragilità, diventa ancora più grande nella vittoria.
E questo, forse, il pubblico lo sa. Perché l’applauso che lo accompagna non è per i punti che ha giocato, ma per l’uomo che ha avuto il coraggio di mostrarsi così com’è: vero, sincero, umano.