25/11/2022
Il racconto di questo mese di Nicolò Targhetta ci ricorda che la violenza contro le donne esiste ovunque. Non si tratta di un concetto lontano, una notizia proveniente da qualche altra parte del mondo e facilmente dimenticabile. L'aspetto più agghiacciante di questa realtà è la quasi normalità con cui si verifica, dal catcalling alle molestie.
Nella Giornata internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne, onoriamo la necessità di prevenzione rafforzando gli spazi sicuri sia nei luoghi pubblici che tra le mura di casa, per costruire insieme un futuro migliore.
✍️ La grafica è dell’illustratrice Amandine Delclos.
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Mi piacciono molto i videogiochi. I survival in particolare. Il survival è un tipo di videogioco che va un po' in controtendenza. Nei survival non sei il classico protagonista autosufficiente e armato fino ai denti, ma un poveraccio che tira a campare e che è spesso vittima impotente dell'ambiente che lo circonda. I miei preferiti sono quelli dove ti insegue qualcuno. Un mostro, un alieno o qualche altra minaccia innominabile che ti vuole sbranare. Ce n'era uno quand'ero piccolo, si chiamava Alone in the Dark. Eri in una villa braccato da una moltitudine di zombie e affini. Se lo guardi oggi ti viene da ridere, gli zombie sono quattro pixel verdi inchiodati allo sfondo. Adesso, ovviamente, con i progressi della grafica ne fanno di veramente spaventosi. Le ambientazioni sono realistiche, la fuga è davvero adrenalinica, la sensazione di panico e di impotenza fortissima, quasi reale. Ce ne sono alcuni dove non puoi neppure contrattaccare, l'unica cosa che puoi fare è scappare e nasconderti. Ti infili sotto i letti, dentro gli armadietti. Puoi correre, ma solo finché ti regge il fiato. La mia ragazza si rifiuta di giocarci. Probabilmente perché le fanno paura.
Qualche settimana fa sono su un regionale e sto tornando a casa. È sera. Le ferrovie del Veneto sono spartane in tutti i sensi, cioè sono state costruire per eliminare ogni traccia di debolezza dai suoi passeggeri e scoraggiare i forestieri ad addentrarsi oltre. Nessun annuncio, nessun avvertimento, solo il tuo istinto e la campagna fuori. Le cose peggiorano quando cala il buio poiché il sadico progettista delle carrozze ha diabolicamente optato per dei vetri a specchio in ogni vettura cosicché, con la scomparsa del sole, quello che vedi al posto della fermata è la tua faccia id**ta che si domanda "sarà la mia fermata?".
Insomma, sono perduto a casa mia, in un labirinto di paesini dai nomi ridicoli quando il treno si ferma. Triangolo rapidamente orario di partenza, orario di arrivo e orario attuale e deduco che dovremmo essere arrivati. Guardo fuori: il buio. Provo ad aprire le porte: niente. Inizio a farmi prendere dal panico. Nella mia vita di spatentato non vi è umiliazione più grande dello scendere alla stazione sbagliata. C'è solo un'altra persona nella carrozza insieme a me. Una ragazza con le cuffie che sta leggendo un libro.
Le chiedo se per caso sa dove ci troviamo.
Lei si toglie le cuffie.
- Eh?
- Sai per caso se siamo arrivati a una stazione?
- No, mi spiace.
Io guardo di nuovo fuori cercando di intuire qualcosa oltre al mio riflesso che cerca di intuire qualcosa. Niente. Buio.
- Si è solo fermato a un semaforo - dice una voce.
È un ragazzo, avrà vent'anni.
- Il treno - spiega - si è fermato a un semaforo. Appena gli danno l'okay entra in stazione.
Io e la ragazza annuiamo e ringraziamo sollevati.
- Lo so perché ho lavorato sui treni.
Io e la ragazza annuiamo.
- Tutto l'anno scorso.
Io annuisco e la ragazza conficca gli occhi nel libro.
Il ragazzo inizia, inesorabile, un pi***ne da viaggio. Il pi***ne da viaggio, detto anche monologo del pendolare, è una dinamica molto folkloristica che il cliente di Trenitalia conosce bene. Di solito, però, viene proposta da ottuagenari senza WiFi e non da giovani aspiranti ferrovieri.
Io e la ragazza, con gradi diversi di tedio, ascoltiamo pazienti il giovane tramandarci oralmente le sue memorie. D'altra parte ci ha salvato dal perderci per le stazioni venete, glielo dobbiamo.
A un certo punto la ragazza prende un golfino dalla borsa e se lo mette.
- Ma ti vesti per me? - domanda il ragazzo.
La temperatura cambia. La ragazza rimane un attimo stordita.
- Eh?
- Dico, non devi mica rivestirti per me. Sei bella, ma non ti faccio mica niente.
È come se il regista avesse appena cambiato il genere del film.
La ragazza guarda il ragazzo, poi guarda me, io guardo il ragazzo e dico,
- Senti, raccontami un po' di sta esperienza coi treni.
Lui racconta ma non guarda me, guarda solo lei. La ragazza prova a mettere le cuffie, lui dice
- Se non vuoi ascoltarmi basta dirlo.
In quel momento il treno riparte e comincia a entrare in stazione.
- Torno subito - dice il ragazzo.
Lo guardiamo andar via.
- Scendi qua? - mi domanda subito la ragazza.
- Sì.
- E allora mi sa che io vado in cerca di un'altra carrozza e mi siedo vicino a qualcuno.
Raccatta le sue cose e si alza.
È più scocciata che spaventata.
Scendo e dalla banchina guardo il treno scivolare via nel buio.
Qualche giorno dopo sono a cena da amici e racconto tutta la storia.
La mia ragazza dice,
- Io uso la parola "treno".
- Eh?
- Chiamo Alice, dico "treno" e lei molla tutto e chiacchiera con me finché il tipo non mi molla e sono al sicuro.
Al sicuro. Ha detto proprio al sicuro.
- Ma dai, pure tu! - si è aggiunta una nostra amica. Il tono di chi ha appena scoperto di avere avuto la stessa insegnante al liceo.
E hanno cominciato allegramente a scambiarsi informazioni su parole in codice, numeri di emergenza, raffinate tecniche antipedinamento e modi di impugnare le chiavi di casa che avrebbero reso orgoglioso Wolverine.
Sembrano due agenti segreti lieti di poter confrontare i trucchi del mestiere.
La cosa più agghiacciante è la normalità un po' rassegnata con cui viene discusso tutto quanto. Dai tallonamenti, agli approcci non richiesti, dalle masturbazioni pubbliche al problema in cui si trasforma una stazione (qualsiasi stazione) quando viene sera.
Lungi da me fingere di aver scoperto l'acqua calda o che questo universo parallelo non esistesse già prima che il signorino ci sbattesse contro il muso, allo stesso tempo, visto che conosco i miei social, ci tengo a precisare che non tutti gli uomini che pigliano un treno dopo le 18 sono per forza degli aspiranti serial killer.
Quello che voglio dire è solo che finalmente credo di aver capito perché la mia ragazza non vuole giocare ai survival.
Non è che ha paura, è che ci sta già giocando.