08/05/2020
Alle origini dei moderni ruoli di genere in Europa – una breve prospettiva storica:
La divisione dei ruoli tra i generi e la subordinazione femminile affondano le loro origini nella notte dei tempi; tuttavia, i ruoli come li conosciamo oggi si può dire che prendano le mosse dalla costituzione della moderna famiglia mononucleare, formatasi a cavallo tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento in Europa. In questo particolare momento storico, si assiste a una progressiva trasformazione del concetto di matrimonio, che, da semplice contratto stipulato tra famiglie, diventa sempre più frequentemente un matrimonio d’amore tra un uomo e una donna. L’amore romantico entra prepotentemente nell’immaginario collettivo come necessario fondamento della nuova idea di famiglia e, contemporaneamente, si formano i nuovi ruoli dei suoi componenti. Si tratta di ruoli pragmaticamente funzionali al costituirsi di una società ordinata (anch’essa fortemente organizzata su una struttura gerarchica), che ancora una volta si poggia sulla subordinazione completa della figura femminile. Le donne della nuova epoca contemporanea sono completamente relegate alla sfera domestica: il loro ambito di competenza è esclusivamente la cura della casa e dei figli. Le differenze di classe non appianano quelle di genere: le donne dell’alta borghesia si limitano ad amministrare la servitù, mentre alle donne operaie si chiede di occuparsi da sole della casa anche dopo una giornata di lavoro (mal retribuito) in fabbrica. All’uomo, è riservato il compito esclusivo di mantenere economicamente il nucleo familiare: questo rende la dipendenza economica della donna completa e inevitabile, e, allo stesso tempo, la separazione dei coniugi impossibile (per il divorzio in Italia si dovrà aspettare fino al 1970). Questo modello trova definitivamente la sua sistemazione normativa nel Codice Civile ottocentesco.
Il moralismo borghese sette-ottocentesco, inoltre, richiede che il nuovo matrimonio affettivo si basi su una rigorosa castità della donna, garanzia di un ordinato svolgersi della successione familiare. La castrazione e il controllo della sessualità femminile nell’Ottocento diventano una vera e propria ossessione, andandosi ad inserire in quell’universo valoriale che può definirsi “etica della rispettabilità”. Suo contraltare diventa l’onore maschile, che si fonda su una concezione di mascolinità bellicista. L’“essere maschio”, andare a combattere, il reprimere le proprie emozioni, il difendere la castità delle “proprie donne” diventano valori imperativi e assoluti per i nuovi uomini contemporanei (non a caso assistiamo a un revival del duello medievale).
Alla divisione dei ruoli sociali, dunque, corrisponde una precisa divisione delle identità, che va a costituire il complesso dei rigidi stereotipi di genere con cui ci interfacciamo ancora oggi. La differenza viene rimarcata drasticamente anche sul piano della presentazione di genere. Infatti, se nei secoli precedenti i vestiti e le acconciature maschili e femminili erano molto simili (chi non ha in mente i parrucconi imbellettati settecenteschi?), nel corso dell’Ottocento abbigliature e acconciature devono necessariamente enfatizzare la distinzione tra i sessi: gli uomini cominciano a portare capelli piuttosto corti e abiti pratici e austeri, adatti al lavoro fuori casa, mentre le donne adottano acconciature estremamente complesse e abiti decorativi molto ingombranti, che ne riducono persino la mobilità. Eppure, questa asimmetria esercita una forte fascinazione anche sulle donne, sempre più attratte dai beni di consumo che le riguardano (trucchi, gioielli, abiti) e che esprimono lo status sociale dell’intera famiglia. Così come attraente sembra essere la protezione che garantisce loro l’uomo di casa, a prezzo della libertà.
Nel corso del Novecento, tuttavia, questo complesso sistema di funzionamento dei ruoli sociali va progressivamente sfaldandosi: se nella morale i ruoli sono ancora molto saldi, nella pratica sempre più donne cominciano a inserirsi negli ambienti lavorativi, a partire da quelli più umili, e a percepire uno stipendio. Una decisiva spinta in questo senso viene dalle conseguenze pratiche delle due guerre mondiali, che avevano visto migliaia di uomini abbandonare il lavoro per impegnarsi al fronte. Una volta inserite le donne nella macchina economica dello Stato, non fu più possibile escluderle dalla sfera politica, e così il voto venne progressivamente esteso alle donne delle nazioni europee, sotto la pressione delle richieste delle organizzazioni di suffragette. Le organizzazioni di lotta femminili, una volta ottenuti i diritti politici, si volsero poi progressivamente alla lotta per i diritti civili, sostenute da un’ideologia di impianto femminista nata da una costola della filosofia contemporanea. La morale che fino a quel momento aveva retto la società venne percepita come sempre più vetusta e sorpassata, soprattutto dopo le atrocità perpetrate dai nazionalismi degli anni trenta-quaranta, e una rivoluzione etica e culturale accompagnò la nascita di nuovi valori di uguaglianza. Debellare completamente le differenze sociali tra uomini e donne non fu un processo immediato, e gli stereotipi di genere ormai consolidati non collassarono automaticamente, ma continuarono ad essere insegnati e trasmessi, e contemporaneamente percepiti come innati e naturali. Tuttora le differenze vengono impartite ai bambini e alle bambine fin dalla più tenera età: le divisioni riguardano persino i giocattoli e le favole raccontate, che ancora creano immaginari e plasmano la realtà. Le bambine vengono cresciute come se la loro prerogativa da adulte fosse ancora la cura domestica e familiare, e ai bambini sono riservati i giochi di guerra, di intelligenza e di avventura. È una profezia autoavverante: se saranno cresciuti in maniera tanto diversa, gli uomini di domani saranno davvero incapaci di cura e sensibilità, e le donne di domani saranno ancora incapaci di pensare a una carriera lavorativa che non comporti rinunce.