
04/10/2025
Ogni tappa di un bambino prevede delle acquisizioni motorie e di pari passo neurocognitive. La pratica e la sperimentazione sono alla base dei processi corticali, attenzione, memoria, elaborazione, ripetizione. Si parte col grosso motorio per arrivare alla motricità fine.
Nel mezzo queste autonomie strutturano il carattere del bimbo, la sua struttura innata guarda all’ambiente, lo scruta, lo tocca in maniera più o meno goffa e ne trae degli spunti.
Io sono, diventa io sarò e questo processo tra esperienze del qui e ora e struttura futura sono cosi rapide che a coglierle da operatore è parte fondante del proprio modo di lavorare affianco dei bambini.
Da adulto a volte il mio modo di ragionare è stato quello di imporre la mia chiave di lettura verso le mie figlie, mia moglie dalla sua, mi ha sempre chiesto di guardare con la loro prospettiva. Questo in ogni momento della loro crescita.
È senza alcun dubbio l’aspetto in cui noi grandi dobbiamo impegnarci a districarci tra la nostra visione e quella con gli occhi dei nostri piccoli.
Ieri di fronte a due bimbi di 3 anni che han fatto terapia, ho visto i miei limiti, prima della mera patologia o della tecnica viene sempre l’individuo. Non si può non discernere, non si può non distinguere questo lato del nostro operato.
La rivoluzione dei bambini da 1 a 3aa, non ancora nel contesto della scolarizzazione, ci pone il dovere di comprendere che il caos non è solo disordine, è esplorazione.
La rigidità no, alcuni limiti di confine si.
Non si può pretendere mai da un bambino, bisogna saper aspettarlo, ascoltarlo, tenere il punto. Esser un operatore in questo campo ha il senso di un faro, il bimbo è una barca nel mare e naviga a vista ma noi rappresentiamo un punto che se lui ha voglia di guardare, ha voglia di rapportarsi, rappresenta una luce ferma e sicura.
Nella confusione di questa stanza cerco di acquistare la fiducia di alcuni grandi esploratori della vita.