25/11/2025
Fin da piccola ho sempre avuto questa propensione nel difendere “gli altri”. Quelli deboli, emarginati, senza voce. Mia madre diceva che avevo lo spirito della croce rossina, alle superiori mi definivano la “pasionaria” del liceo Sanvitale.
Nel 2005 decidevo di terminare il mio percorso di studi in criminologia con una tesi sulla violenza intrafamiliare.
Ho passato anni e anni ad approfondire il tema della vittimologia, con gli occhi di chi subiva violenza e anche mettendomi nei panni del reo. Ho svolto tirocini, ascoltato storie che provenivano da contesti diversi, e spesso ho avvertito questo: un senso di frustrazione nel sentire forte che la risposta delle istituzioni su vari livelli spesso non era adeguata e commisurata alla sofferenza patita dalla vittima e alle specifiche necessità di quella storia.
Da psicologa ho fornito sostegno a donne vittime di violenza e ho fatto i conti talvolta con l’impotenza di non poter fare di più. Potrei andare avanti ore a parlare di questo argomento e delle implicazioni che un sistema inadeguato comporta, ma la riflessione che oggi desidero fare, nel giorno in cui si celebra la giornata per l’eliminazione della violenza di genere è questa: nessuno si salva da solo.
Ricordiamo il 25 novembre, chiamiamo per nome le vittime di violenza, organizziamo incontri informativi e di sensibilizzazione ma pensiamo anche al domani, e al giorno dopo ancora, affinché questa giornata non resti fine a se stessa.
Le nostre bacheche oggi sono piene di buoni propositi e iniziative che qualcuno domani avrà già dimenticato.
Le azioni concrete, frutto di una buona politica e prevenzione invece rimangono, ed è quello di cui davvero abbiamo bisogno.