29/07/2025
ACQUATREKKING – Ammetto candidamente che non ero a conoscenza di questa pratica, che a quanto pare sta prendendo sempre più piede. E altrettanto spontaneamente dico che mi sono venuti i brividi di fastidio.
Quando pensi di averle viste tutte – mai pensato, in realtà – e di aver tristemente constatato come l’uomo riesca a travalicare di continuo i limiti dell’invadenza e dei soprusi al mondo naturale, spunta sempre qualcosa di nuovo. Ecco dunque il cosiddetto “acqua trekking”: gruppi più o meno nutriti di persone che, bardati di salopette impermeabile, percorrono fiumiciattoli e torrenti marciando come mandrie in transumanza. Un’attività che viene “venduta” e pubblicizzata come un contatto rispettoso e discreto con la natura, anche da sedicenti guide e da tutti coloro che vogliono continuare a portare avanti uno sfruttamento senza precedenti del territorio.
Eh sì, perché come se non bastassero sconfinate fiumane di bipedi a impestare sentieri, montagne, laghi alpini e rifugi - portando in dote fracasso, immondizia e mastodontiche dosi di stress per la fauna selvatica -, nemmeno i corsi d’acqua sembrano essere immuni alla smania dell’overtourism.
Ma che sedicenti naturalisti, trasmissioni televisive, associazioni e amministrazioni cerchino in tutti i modi di incitare e invogliare la gente a invadere i torrenti, me ne frego. Prendo le distanze e aborro chi sostiene di amare la natura salvo poi alambiccarsi di continuo per inventarsi mille e più modi di violentare un territorio esausto e sfruttato.
Le zone umide e le acque dolci sono habitat delicatissimi, a grave rischio più o meno dappertutto, già fortemente compromessi da attività umane – o dalle loro conseguenze – come inquinamento del suolo e delle acque stesse, alterazione e modifiche dei corsi d’acqua, sporcizia e immondizia, distruzione e sfruttamento degli habitat, disseccamenti dovuti a siccità prolungate e riscaldamento climatico, eventi meteorologici estremi, introduzione di specie alloctone distruttive. L’ittiofauna autoctona d’acqua dolce (i pesci) è al collasso, con diverse specie sull’orlo dell’oblio e ridotte a piccole popolazioni isolate e/o endemiche, e altre ancora localmente estinte. Gli anfibi sono un taxon già di per sé a rischio, con tutta la fase riproduttiva – ovature, girini e forme giovanili – messa gravemente a rischio ovunque dalle attività umane, diverse specie in pericolo e altre che se esistono ancora è un miracolo. A tutto ciò si aggiunge il grande numero di altri vertebrati (rettili, uccelli, mammiferi) che basano la loro stessa esistenza su quella di corsi d’acqua ancora al limite della decenza. Per non menzionare gli invertebrati, un numero sconfinato di specie che stanno andando incontro a estinzioni locali un po’ dappertutto, con menzione speciale al gambero e al granchio di acqua dolce (rispettivamente Austropotamobius pallipes e Potamon fluviatile).
Il tutto senza contare il substrato continuamente rivoltato e rimescolato dalle mandrie di turisti buttati a camminare negli alvei dei torrenti, con conseguente eutrofizzazione e acque rese torbide da fango e limo sollevati continuamente dai fondali.
Ma di tutto questo, cosa frega ai turisti? Ormai il territorio deve essere sfruttato fino all’ultimo millimetro quadrato, e orde barbariche di bipedi devono riversarsi ovunque calpestando, rovinando, baccanando, distruggendo. Tutto in nome dei dio denaro, del divertimento, dei selfie “avventurosi”. Lo spazio vitale di moltissime specie, gran parte delle quali sconosciute alla massa – ma a chi vuoi che importi di rane, pesci e gamberi? -, vivono in spazi incontaminati sempre più ristretti. Fanno sempre più fatica. Sono sempre più rari. Eppure, queste attività vengono sovente svolte anche in parchi e aree protette. Troppo facile prendersela col turista medio ignorante, paragonabile a una scimmietta vogliosa di fare casino e fotografie e lanciata in ogni dove a far danni. Me la prendo con chi dovrebbe vegliare su un dato territorio e preoccuparsi di amministrarlo con cura/tutelarlo e finisce per permettere e autorizzare questi scempi.
A tutti dunque dico: informatevi e cercate di capire quanto un’attività – sebbene venga pubblicizzata come rispettosa di ambiente e natura – possa essere più o meno impattante. Mi sembra chiaro che la direzione intrapresa sia quella sbagliata, il tutto fa parte sempre del solito discorso dell’uomo che si crede padrone e dunque in diritto di fare e disfare ciò che vuole su ogni angolo di pianeta.
Il mantra continua a essere “se porta soldi, lo facciamo. Del resto, ce ne freghiamo”.
No, non è così che deve andare.