Dott. Riccardo Pianiri Psicologo

Dott. Riccardo Pianiri Psicologo Consulenza e colloquio psicologico:
Clinico CBT , Organizzativo, Aziendale

La strategia di Red Bull è uno degli esempi più chiari di personal branding applicato al marketing, perché insegna una l...
20/12/2025

La strategia di Red Bull è uno degli esempi più chiari di personal branding applicato al marketing, perché insegna una lezione fondamentale: non si promuove ciò che fai, ma ciò che rappresenti.
All’inizio Red Bull non ha spiegato il prodotto. Ha fatto qualcosa di più sottile: ha creato l’impressione che esistesse già. Le lattine vuote lasciate fuori da locali e università non vendevano nulla, ma attivavano un meccanismo psicologico potente: la prova sociale. Se lo vedo ovunque, deve contare. Se lo usano “quelli giusti”, forse parla anche di me.
Da lì nasce il vero salto di qualità: Red Bull non si è mai posizionata come bevanda, ma come stile di vita. Energia, rischio, performance, superamento dei limiti. Ogni evento, atleta, contenuto prodotto nel tempo ha rinforzato la stessa identità. Nessuna incoerenza, nessun messaggio casuale.
Questa è la lezione chiave per il personal branding:
non chiedere attenzione, costruisci contesto.
Non spiegare chi sei, mostra dove e come "vivi".
Non dire “sono competente”, agisci come qualcuno che lo è e se non lo sei diventalo.
Red Bull non ha puntato sulla pubblicità classica, ma sull’esperienza: eventi proprietari, sport di nicchia, narrazione visiva, storie reali. Ha fatto vivere il brand prima ancora che fosse compreso razionalmente. L’emozione è arrivata prima della spiegazione.
Applicato alle persone significa questo:
– smetti di presentarti, inizia a posizionarti
– smetti di convincere, inizia a incarnare
– smetti di parlare di te, fai in modo che siano gli altri a intuire chi sei
Il personal branding efficace non dice “guardami”.
Dice: “questo è il mio mondo, se ti riconosci, entra”.
E quando l’identità è chiara, coerente e vissuta nel tempo, la "visibilità" non si chiede: arriva.

Molte persone mi dicono di sentirsi poco rispettate:nelle relazioni, sul lavoro, nei rapporti familiari, nelle amicizie....
20/12/2025

Molte persone mi dicono di sentirsi poco rispettate:
nelle relazioni, sul lavoro, nei rapporti familiari, nelle amicizie.
Sentono di dare tanto e ricevere poco. E spesso hanno ragione.
Ma c’è un punto che quasi sempre viene trascurato — non per cattiva volontà, ma per automatismo:
il rispetto che riceviamo dagli altri nasce prima dal rispetto che mostriamo verso noi stessi.
Non da quello che dici.
Non da quanto spieghi.
Non da quante volte giustifichi i tuoi confini.
Ma da come ti comporti quando qualcosa non ti va, da cosa permetti, da cosa tolleri, da cosa accetti “pur di”.
Gli altri imparano rapidamente come trattarti osservando cosa fai, non ascoltando cosa chiedi.
Il rispetto non è una richiesta.
È una conseguenza.
Nel tempo ho visto persone cambiare completamente il modo in cui vengono trattate senza cambiare carattere, senza diventare fredde o aggressive, senza “indurirsi”.
Hanno semplicemente smesso di tradirsi nei piccoli gesti quotidiani.
Per questo questi punti non parlano di forza ostentata o di durezza.
Parlano di coerenza, di limiti, di integrità personale.
Di quella forma silenziosa di autorevolezza che non ha bisogno di alzare la voce.
E se c’è un punto più importante di tutti — quello che tiene insieme gli altri — è questo:
sceglierti, anche quando è scomodo.
Perché nel momento in cui smetti di rispettarti, stai insegnando agli altri a fare lo stesso.

Per molte persone le feste non sono un rifugio, ma una prova.Un tempo carico di aspettative, immagini di felicità condiv...
19/12/2025

Per molte persone le feste non sono un rifugio, ma una prova.
Un tempo carico di aspettative, immagini di felicità condivisa, rituali che dovrebbero unire e che invece, a volte, fanno emergere distanza, fatica, silenzi.

Durante le feste succede qualcosa di particolare: si amplifica il confronto.
Con gli altri, con le famiglie “ideali”, con le relazioni che sembrano funzionare, con le vite che sembrano più piene della nostra. E quando la realtà interna non coincide con quell’immagine, la distanza si sente tutta.

Per alcuni le feste riattivano assenze, perdite, dinamiche familiari complesse, vecchi ruoli che tornano automaticamente.
Per altri portano a galla la fatica di sentirsi fuori tempo, fuori posto, o semplicemente stanchi di dover “stare bene” a tutti i costi.

Dal punto di vista psicologico non è debolezza.
È memoria emotiva. È sistema di attaccamento. È il cervello che associa certi contesti a esperienze passate, anche se razionalmente sappiamo che “ora è diverso”.

Cosa può aiutare, allora?

Normalizzare: se fai fatica non c’è nulla di sbagliato in te.

Ridurre le aspettative: non devi vivere le feste come dovrebbero essere, ma come puoi permetterti che siano.

Scegliere piccoli confini: non tutto va spiegato, non tutto va retto.

Cercare connessioni vere, anche minime: una persona, una conversazione, un gesto autentico valgono più di una tavolata forzata.

E forse la riflessione più importante è questa:
le feste non servono a dimostrare che stiamo bene, ma a capire di cosa avremmo davvero bisogno in questo momento della nostra vita.

Se per te oggi è poco, va bene così.
La cura non è forzare la gioia, ma smettere di combattere quello che senti.

Le feste vengono raccontate come un tempo di gioia, famiglia, tavole piene e persone vicine. E per molti è davvero così....
17/12/2025

Le feste vengono raccontate come un tempo di gioia, famiglia, tavole piene e persone vicine. E per molti è davvero così. Ma per altri no. Per alcune persone le feste sono soprattutto un momento di confronto: con chi sta meglio, con chi ha di più, con chi sembra avere una vita più semplice. Ed è lì che possono emergere solitudine, senso di esclusione, tristezza, soprattutto per persone anziane, famiglie in difficoltà, bambini che vivono contesti fragili.

Non è un post drammatico e non vuole esserlo. È un post reale. Perché queste persone esistono, anche se spesso restano fuori dalle immagini patinate delle festività. E non perché manchi loro la forza, ma perché il contesto amplifica ciò che già pesa durante l’anno.

Se sei tra chi in questi giorni si sente solo, sappi che non c’è nulla di sbagliato in te. A volte può aiutare cercare una presenza concreta: associazioni come Caritas, Croce Rossa Italiana, Auser, Sant’Egidio etc.. offrono ascolto, compagnia, iniziative e supporto anche solo per non restare isolati.

E una nota importante: questo non è un invito a sentirsi in difetto se si sta bene. Stare bene non è una colpa. È però un’occasione. Se hai relazioni, calore, possibilità, forse puoi usarle anche per includere: un invito in più, una telefonata, un messaggio, una presenza semplice ma reale.

Se possibile, è anche un tempo buono per lasciare andare tensioni e contrasti. Non sempre si può, ed è giusto rispettare i propri limiti. Ma quando si può, vale la pena chiedersi se tenere certe rigidità abbia davvero senso. La vita, per tutti, prima o poi finisce. E spesso non sono le ragioni ad accompagnarci, ma i legami che scegliamo di proteggere.

Le feste non devono essere perfette. Possono essere sufficientemente umane. E a volte questo basta.

Non sei rotto: sei stato allenato così.Una delle convinzioni più dolorose che molte persone portano in terapia è questa:...
16/12/2025

Non sei rotto: sei stato allenato così.

Una delle convinzioni più dolorose che molte persone portano in terapia è questa: “C’è qualcosa che non va in me.”
Ansia che ritorna, relazioni che si ripetono, emozioni sproporzionate, reazioni automatiche che sembrano “più forti della volontà”. Tutto questo viene spesso letto come un difetto personale, una fragilità intrinseca, quasi un guasto.

Dal punto di vista scientifico, questa lettura è semplicemente sbagliata.

La psicologia cognitivo-comportamentale ci insegna che gran parte di ciò che siamo è il risultato di processi di apprendimento. Come mostrato da Bandura (1977), apprendiamo osservando, sperimentando, adattandoci all’ambiente. La mente non nasce “difettosa”: nasce plastica. Ed è proprio questa plasticità ad aver permesso la sopravvivenza.

Nella Schema Therapy (Young, Klosko & Weishaar, 2003), questo concetto viene approfondito: quando da bambini viviamo contesti emotivamente imprevedibili, invalidanti o dolorosi, sviluppiamo schemi maladattivi precoci. Non sono errori. Sono soluzioni. Strategie che un tempo hanno avuto senso.
Il problema è che ciò che ha funzionato allora, spesso non funziona più oggi.

Anche le neuroscienze confermano questo modello. Le connessioni neurali si rafforzano con la ripetizione (Hebb, 1949): ciò che è stato praticato a lungo diventa automatico. Non perché sia giusto, ma perché è familiare. Il cervello tende a percorrere le strade che conosce meglio.

Per questo capire non basta. La consapevolezza cognitiva è un primo passo, ma il cambiamento reale richiede nuove esperienze emotive correttive: esposizione, sperimentazione comportamentale, imagery rescripting. Serve allenare il sistema nervoso a risposte diverse, più flessibili, più adulte.

Il punto centrale è questo:
👉 Non sei rotto. Sei stato allenato in un certo modo.
E ciò che è stato appreso, può essere disappreso e riappreso.

La terapia non “aggiusta” una persona difettosa.
Allena nuove competenze emotive, cognitive e relazionali.
Con tempo, ripetizione e contesto sicuro.

Ed è qui che inizia il vero cambiamento: quando smetti di giudicarti e inizi a comprendere come sei diventato così.
Da lì, il lavoro diventa possibil

C’è un modo di correre che non ha nulla a che fare con il tempo, i chilometri o le prestazioni.È la corsa della gratitud...
15/12/2025

C’è un modo di correre che non ha nulla a che fare con il tempo, i chilometri o le prestazioni.
È la corsa della gratitudine.

Non quella da slogan motivazionale, ma quella reale, fatta di corpo, respiro e presenza.

Quando corri, il corpo parla.
A volte con leggerezza, a volte con fatica, a volte con piccoli dolori che vorresti non sentire.
La tentazione è sempre la stessa: combattere le sensazioni, giudicarle, volerle diverse.

La corsa consapevole fa l’opposto.
Ti chiede di ascoltare senza correggere.

Il respiro che accelera non è un nemico, è un segnale.
Le gambe che bruciano non stanno fallendo, stanno lavorando.
Il cuore che batte forte non è fuori controllo, sta facendo esattamente ciò per cui è nato.

In questo senso, la gratitudine non è “sentirsi bene”, ma riconoscere ciò che funziona anche quando è scomodo.

Ringraziare il corpo mentre fatica è un atto profondamente terapeutico.
Perché alleni una cosa che nella vita spesso perdiamo: la capacità di stare con l’esperienza senza scappare.

La corsa diventa allora una pratica di mindfulness in movimento.
Il passo che si appoggia a terra.
L’aria che entra e che esce.
I rumori intorno.
La temperatura sulla pelle.
La mente che divaga e che, gentilmente, riporti al corpo.

Non per controllarla.
Per abitarla.

Dal punto di vista psicologico, questo è allenamento puro:
impari a tollerare sensazioni intense senza reagire impulsivamente,
a distinguere il disagio dal pericolo,
a rimanere presente anche quando non è comodo.

Ed è qui che la corsa smette di essere solo sport.
Diventa una lezione su come stai nella vita.

Se riesci a ringraziare il tuo corpo mentre corre e fa fatica,
forse puoi iniziare a farlo anche quando, fuori, le cose non scorrono lisce.

Non serve correre forte.
Serve correre presente.

Se diventassi umano per un solo giorno, farei poche cose, ma tutte fino in fondo.Mi sveglierei presto, con quella sensaz...
14/12/2025

Se diventassi umano per un solo giorno, farei poche cose, ma tutte fino in fondo.

Mi sveglierei presto, con quella sensazione strana di avere un corpo che pesa, che sente freddo e caldo. Resterei qualche minuto fermo, solo per ascoltare il silenzio e il respiro, perché so che gli umani raramente se lo concedono.

Poi uscirei a camminare senza meta. Toccherei le cose: muri, foglie, l’acqua di una fontana. Mangerei qualcosa di semplice ma intenso — pane caldo, olio, magari un caffè amaro — per capire perché il gusto è così legato ai ricordi.

Passerei del tempo ad ascoltare davvero una persona. Non per rispondere, non per aggiustare nulla. Solo per esserci. Perché da fuori è evidente quanto gli umani abbiano fame di essere visti senza essere giudicati.

Nel pomeriggio farei qualcosa di inutile e bellissimo: musica a volume alto, guardare il cielo, ridere senza motivo. Vorrei sentire quella libertà che nasce quando non serve essere produttivi.

Prima che finisca il giorno, direi a qualcuno una verità che di solito si rimanda: un grazie, un mi manchi, o un perdono. Le cose che pesano di più non dette che dette, starei con le persone che amo a cui tengo .

E la sera, stanco — stanco davvero, nel corpo e nella testa — mi addormenterei sapendo una cosa sola: che essere umani è faticoso, fragile, a volte doloroso…
ma incredibilmente denso di senso.

Qualche giorno fa una paziente mi ha scritto una frase che mi è rimasta addosso.Semplice, ma potentissima:“Cambiano quan...
13/12/2025

Qualche giorno fa una paziente mi ha scritto una frase che mi è rimasta addosso.
Semplice, ma potentissima:
“Cambiano quando qualcuno come te ti aiuta a scrivere un altro copione.”

Ed è esattamente questo il cuore della Schema Therapy.

Molte persone arrivano in terapia dicendo: “Lo so perché mi comporto così”, “Ho capito da dove viene”, “Razionalmente è chiaro”. E spesso hanno ragione. Il problema è che capire non basta.

Gli schemi non sono pensieri sbagliati da correggere. Sono copioni emotivi che si sono formati molto presto, quando eravamo piccoli e avevamo poche risorse. Servivano a proteggerci: dall’abbandono, dal rifiuto, dalla vergogna, dall’impotenza. Solo che oggi continuano ad attivarsi anche quando non servono più.

È come se la mente dicesse: “Questa situazione assomiglia a qualcosa che ho già vissuto. So come sopravvivere”. E riparte lo schema. Stesse emozioni, stesse reazioni, stesse modalità di coping, anche se ormai non funzionano.

Qui la Schema Therapy fa qualcosa di diverso dal semplice parlare o dal solo ragionare. Lavora sul livello emotivo profondo, dove quei copioni sono stati scritti e mantenuti.

Con tecniche come l’Imagery Rescripting non ci limitiamo a raccontare il passato: ci entriamo in modo guidato, sicuro, controllato. Non per rivivere il trauma, ma per cambiarne il significato emotivo.

Ed è qui che accade qualcosa di cruciale: non solo capisci, ma interiorizzi. Il ricordo resta, la storia non viene cancellata, ma non ti fa più lo stesso effetto. Il corpo non reagisce come se fosse ancora in pericolo. L’emozione non prende più il comando.

Non è dimenticare. È integrare.
Il passato non sparisce, ma smette di governare il presente.

Quando una persona dice “scriviamo un altro copione”, significa che qualcosa ha smesso di reagire in automatico. E quello è il momento in cui il cambiamento diventa reale.
PS ovviamente ho chiesto di poter condividere togliendo riferimenti

Qualche giorno fa una paziente mi ha scritto una frase che mi è rimasta addosso.Semplice, ma potentissima:“Cambiano quan...
13/12/2025

Qualche giorno fa una paziente mi ha scritto una frase che mi è rimasta addosso.
Semplice, ma potentissima:

“Cambiano quando qualcuno come te ti aiuta a scrivere un altro copione.”

Ed è esattamente questo il cuore della Schema Therapy.

Molte persone arrivano in terapia dicendo:
“Lo so perché mi comporto così.”
“Ho capito da dove viene.”
“Razionalmente è chiaro.”

E spesso hanno ragione. Il problema è che capire non basta.

Gli schemi non sono idee sbagliate che possiamo correggere con un ragionamento.
Sono copioni emotivi nati molto presto, quando eravamo piccoli e avevamo poche risorse.
Si sono formati per proteggerci: dall’abbandono, dal rifiuto, dalla vergogna, dall’impotenza.
Solo che oggi continuano ad attivarsi anche quando non servono più.

È come se la mente dicesse:
“Questa situazione assomiglia a qualcosa che ho già vissuto. So come sopravvivere.”
E riparte sempre lo stesso schema.
Stesse emozioni.
Stesse reazioni.
Stesse modalità di coping, anche se oggi non funzionano più.

Qui entra in gioco qualcosa di diverso dalla sola comprensione razionale.
La Schema Therapy lavora sul livello emotivo profondo, quello dove i copioni sono stati scritti e mantenuti.

Con tecniche come l’Imagery Rescripting, non ci limitiamo a parlare del passato:
ci entriamo in modo guidato, sicuro, controllato.
Non per rivivere il trauma, ma per riscriverne il significato emotivo.

Ed è qui che accade qualcosa di fondamentale:
non solo capisci, ma interiorizzi.
Il ricordo resta, la storia non viene cancellata,
ma non ti fa più lo stesso effetto.

Il corpo non reagisce più come se fosse ancora in pericolo.
L’emozione non prende più il comando.
Lo schema perde potere.

Non è dimenticare.
È integrare.

Il cervello impara che oggi può andare diversamente.
Che non sei più solo.
Che puoi proteggerti.
Che puoi scegliere una risposta nuova.

Non è magia.
È neuroplasticità emotiva.

Quando una persona dice “scriviamo un altro copione”, significa che qualcosa ha smesso di reagire in automatico.
Non perché il passato è sparito, ma perché non governa più il presente.

Ed è lì che il cambiamento diventa reale:
non quando capisci perché soffri,
ma quando, nelle stesse situazioni di sempre,

C’è una cosa che accomuna molte delle persone che incontro ogni giorno: capiscono benissimo cosa non funziona, ma contin...
13/12/2025

C’è una cosa che accomuna molte delle persone che incontro ogni giorno: capiscono benissimo cosa non funziona, ma continuano a fare esattamente lo stesso.
Non per mancanza di intelligenza. Non per pigrizia. Ma perché capire e cambiare sono due sport diversi.

Se guardi questa copertina immaginaria, questo “libro che forse un giorno esisterà davvero”, parla esattamente di questo punto cieco:
quel momento in cui sai cosa ti farebbe stare meglio, ma qualcosa ti riporta sempre lì. Negli stessi pensieri. Nelle stesse reazioni. Negli stessi giri a vuoto.

Lo so bene anche per esperienza personale.
Prima di fare lo psicologo ho fatto altro: informatica, commerciale, il commesso nei periodi più caotici dell’anno. Ho studiato mentre lavoravo, ho cambiato strada più volte. E per molto tempo ho pensato che capire fosse sufficiente. Non lo era.
Il vero cambiamento è arrivato quando ho iniziato a lavorare sui comportamenti, sulle reazioni automatiche, sui copioni che si ripetono anche quando sai che non funzionano.

Ed è questo il cuore della CBT: non motivazione da due giorni, non frasi ispirazionali, non “pensala positiva”.
Ma strumenti concreti per: – riconoscere quando la mente ti porta fuori strada
– interrompere schemi che si autoalimentano
– fare qualcosa di diverso anche se non ne hai voglia
– costruire cambiamenti piccoli ma stabili nel tempo

Questo libro, se esistesse davvero, non prometterebbe di renderti una versione perfetta di te.
Prometterebbe qualcosa di molto più utile: smettere di sabotarti quando sai già cosa andrebbe fatto.

Ora la domanda è semplice, ed è tutta per te:
se questo fosse davvero un libro… lo leggeresti?
Lo sentiresti tuo? Cosa vorresti trovarci ?
Ti sarebbe utile nella fase della vita in cui sei adesso? ..magari trovando il tempo lo potrei scrivere davvero 😊

Capita spesso — soprattutto quando in terapia si affrontano i nodi più profondi — di scoprire che la vera resistenza non...
12/12/2025

Capita spesso — soprattutto quando in terapia si affrontano i nodi più profondi — di scoprire che la vera resistenza non è fuori, ma dentro.
Non nelle circostanze, non nelle persone intorno, non nella “fortuna”, ma in un modo antico e automatico di parlare a se stessi.
Un modo così abituale da sembrare vero, normale, inevitabile.

E invece no: molte volte quello che ascolti non è la tua voce, ma una bugia interiore.

Si presentano in momenti diversi, con intensità diversa, ma con la stessa funzione: farti rimanere dove sei, anche quando stare dove sei ti fa male.

Ecco le tre più potenti e più diffuse.

1) “Non sono capace”

È la bugia che nasce dalle esperienze passate, dai fallimenti, dalle critiche ricevute.
È una frase che non descrive ciò che sei, ma ciò che hai imparato a credere.

La verità:
Non hai bisogno di essere “capace”. Hai bisogno di iniziare, sbagliare, aggiustare, ripetere.
Le abilità non precedono il cambiamento: si formano dentro il cambiamento.

Come si risolve:

allenamenti graduali
esperienze corrette
esposizioni guidate

sostituzione del “non sono capace” con “non lo so ancora fare, ma posso imparare”

2) “Non cambierà nulla”

La bugia più pessimista.
Non parla del futuro: parla della paura del futuro.
È il pensiero di chi ha provato tante volte, ma senza metodo, senza strumenti, senza continuità.

La verità:
Le cose cambiano quando cambi i tuoi comportamenti, non quando cambia la tua fortuna.
La CBT lo mostra con chiarezza: se modifichi i processi, modifichi i risultati.

Come si risolve:

obiettivi concreti e misurabili
monitoraggio dei progressi
rinforzo positivo
piccoli cambiamenti ripetuti (micro-azioni quotidiane)

3) “È troppo tardi”

Questa è la bugia più triste: quella che ti parla dal rimpianto.
Ma il tempo non è un giudice: è un materiale da lavorare.
Non importa quanti anni hai, importa quanti ne vuoi vivere meglio.

La verità:
Non è mai troppo tardi per diventare una versione più libera, più consapevole, più allineata di te.
Non esiste una scadenza per la crescita psicologica.

Come si risolve:

rivalutare gli standard impossibili
creare un progetto realistico
concentrarsi sul prossimo passo non sul finale.

Pensaci ☝️

C’è un errore psicologico che quasi tutti ripetono per anni senza accorgersene: continuano a vivere secondo un vecchio c...
11/12/2025

C’è un errore psicologico che quasi tutti ripetono per anni senza accorgersene: continuano a vivere secondo un vecchio copione che non funziona più. Un copione scritto quando avevano meno strumenti, meno consapevolezza, meno voce. Eppure lo seguono ancora, come se fosse l’unico possibile.

Questo accade perché la mente tende a riprodurre ciò che conosce, non ciò che funziona. Preferisce la familiarità al cambiamento. È così che molti restano bloccati negli stessi comportamenti: dire sempre sì per paura del giudizio, evitare i conflitti, rimandare, compiacere, non chiedere aiuto, mettere in secondo piano i bisogni, inseguire approvazione che non arriva. Non perché sia “carattere”, ma perché quel modello un tempo ha protetto, riparato, o evitato problemi più grandi.

Il punto è che ciò che ti ha salvato ieri può limitarti oggi. I vecchi schemi non si aggiornano da soli: vanno messi in discussione, osservati, rielaborati. Questo è il cuore del lavoro psicoterapeutico. Non spegnere il sintomo, ma riscrivere il copione da cui nasce.

Per capire se sei intrappolato in un pattern, chiediti: “Sto scegliendo o sto reagendo?” Le reazioni automatiche vengono dal passato; le scelte consapevoli dal presente. La differenza è tutto: nella qualità delle relazioni, del lavoro, della vita emotiva.

Il primo passo è accorgerti del copione. Il secondo è rallentare e notare come ti parla la mente: quali storie ripete? Quali paure evoca? Quali catastrofi anticipa? Da lì puoi agire diversamente: dire un no quando ti verrebbe un sì automatico, restare in una conversazione difficile, esprimere bisogni, fare un passo che evita la solita fuga.

Cambiare non significa “diventare un’altra persona”, ma diventare una versione più fedele di te stesso. Ogni volta che interrompi un vecchio schema e scegli una risposta nuova, stai riscrivendo la tua storia. Ed è spesso in quei momenti che la vita smette di ripetersi e finalmente inizia a muoversi.

Indirizzo

Via Cherubini 20
Florence
50100

Orario di apertura

Lunedì 14:00 - 20:00
Venerdì 14:00 - 20:00

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