Dott. Riccardo Pianiri Psicologo

Dott. Riccardo Pianiri Psicologo Consulenza e colloquio psicologico:
Clinico CBT , Organizzativo, Aziendale

A volte saliamo su ascensori invisibili.Non quelli dei palazzi, ma quelli della vita: carriera, relazioni, immagine, suc...
08/11/2025

A volte saliamo su ascensori invisibili.
Non quelli dei palazzi, ma quelli della vita: carriera, relazioni, immagine, successo personale.
Ogni piano promette qualcosa: più riconoscimento, più sicurezza, più controllo.
E mentre le porte si chiudono, mettiamo gli occhiali da sole.

Non sempre per vanità.
A volte per difesa.
Per non far vedere la fatica, la vulnerabilità, la paura di non essere abbastanza.

Gli occhiali sono una metafora potente: ci permettono di filtrare la luce, di scegliere quanto far vedere e quanto tenere per noi.
E nella società in cui viviamo — dove l’esposizione è continua, dove si confonde autenticità con visibilità — a volte è sano avere un filtro.
Non c’è nulla di sbagliato nel proteggersi.
Il punto è ricordare se siamo noi a usare gli occhiali o se sono loro a usare noi.

Perché se diventano un modo per nascondersi, invece che per scegliere quando mostrarsi, smettono di proteggerci e cominciano a isolarci.

Ognuno di noi ha bisogno, ogni tanto, di togliere gli occhiali e guardarsi negli occhi — senza riflessi, senza filtri.
Guardare la stanchezza, la paura, ma anche la forza che resta sotto la superficie.

Pensaci: un ascensore sale solo se accetti di chiuderti dentro per qualche istante.
Così è la crescita psicologica: un movimento verticale che richiede un momento di sospensione, di introspezione, di onestà con se stessi.

🔹 Esercizio di consapevolezza:
Domani, mentre ti guardi allo specchio o ti prepari per uscire, fermati un attimo prima di indossare gli “occhiali” — reali o simbolici.
Chiediti:

> “Oggi li metto per scelta o per paura?”

Se è per scelta, goditi la protezione consapevole.
Se è per paura, prova a fare un passo fuori dal riflesso e guarda cosa succede.

Non si tratta di mostrarsi sempre, ma di imparare quando e perché farlo.
È lì che comincia la vera libertà interiore.

Quando il cambiamento non “si sente”Capita spesso in terapia di incontrare persone che fanno tutto “bene”.Rispettano gli...
08/11/2025

Quando il cambiamento non “si sente”

Capita spesso in terapia di incontrare persone che fanno tutto “bene”.
Rispettano gli homework, mettono in pratica le strategie, gestiscono i pensieri automatici e vedono miglioramenti concreti nella loro vita: relazioni più stabili, meno ansia, più equilibrio nelle giornate.
Eppure, quando chiedi “Come si sente?”, rispondono:

“Non lo so dottore … vedo che le cose sono cambiate, stanno cambiando però non sento benessere. Non mi sento felice.”

È un passaggio più comune di quanto si pensi.
Il cervello non cambia ritmo emotivo con la stessa velocità con cui cambia comportamento.
La parte razionale può comprendere e agire in modo nuovo, ma quella emotiva — legata a memorie, abitudini, schemi di risposta — impiega più tempo ad adattarsi.

In neuropsicologia si parla di disallineamento tra cognizione e affettività:
la mente “sa” di stare meglio, ma il corpo e le emozioni non lo “sentono” ancora.
È come se il sistema limbico restasse in attesa di capire se il nuovo equilibrio è davvero sicuro.

In questi momenti è importante non forzare la "felicità".
La felicità non si impone: si sedimenta.
Serve tempo perché il sistema nervoso si abitui a una vita senza costante allerta, senza rimuginio o paura.
Il benessere, in fondo, non è un’esplosione di gioia: è la capacità di sentirsi al sicuro dentro di sé.

Se ti riconosci in questo, prova a osservare la tua crescita senza chiederti “Perché non sono felice?”, ma piuttosto:
👉 “Quanto è diverso oggi il modo in cui rispondo alle difficoltà?”
👉 “Quanto è più stabile la mia calma, anche nei momenti incerti?”

Il cambiamento psicologico non è solo fare cose diverse.
È diventare una persona che non ha più bisogno di stare in lotta con se stessa.
E a volte, il vero benessere inizia proprio quando smetti di cercarlo a tutti i costi.
E la felicità siamo sicuri sia proprio lì , dalla parte in cui la stiamo cercando ?..... Ma di questo parleremo un' altra volta ..

Sport e benessere mentale: una questione di cervello, non solo di muscoliMolti pensano che fare sport serva solo a migli...
06/11/2025

Sport e benessere mentale: una questione di cervello, non solo di muscoli

Molti pensano che fare sport serva solo a migliorare l’aspetto fisico o a mantenersi in salute. Ma dal punto di vista neuropsicologico, l’attività fisica è una delle più potenti forme di cura per la mente. Ogni volta che ci muoviamo, il cervello rilascia un complesso mix di sostanze chimiche che regolano il nostro equilibrio emotivo e cognitivo: endorfine, serotonina, dopamina e BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor). Le endorfine riducono la percezione del dolore e aumentano il senso di benessere, la serotonina stabilizza l’umore, la dopamina favorisce la motivazione e la sensazione di gratificazione, mentre il BDNF agisce come un vero fertilizzante neuronale, stimolando la crescita e la plasticità delle cellule cerebrali.

In altre parole, l’attività fisica modifica la nostra neurochimica, migliorando la capacità di gestire lo stress e potenziando le funzioni cognitive. Studi neuroscientifici hanno dimostrato che allenarsi con regolarità riduce i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress cronico, e potenzia l’attività dei lobi prefrontali, la parte del cervello che regola l’autocontrollo, la motivazione e la pianificazione. Questo spiega perché chi pratica attività fisica tende ad affrontare le difficoltà con maggiore lucidità e resilienza.

Le linee guida internazionali raccomandano il movimento costante non solo per la salute fisica, ma anche come trattamento complementare per disturbi d’ansia, depressione, disturbi dell’umore, ADHD, insonnia e burnout. Il corpo si muove, ma è la mente a beneficiarne di più.

Eppure, la scusa più diffusa rimane sempre la stessa: “non ho tempo”. Ma spesso non è il tempo che manca, è la priorità. Se comprendessimo davvero che l’attività fisica è una forma di igiene mentale, troveremmo quei venti minuti che oggi sembrano impossibili da ritagliare.

Esercizio pratico: domani non prometterti un’ora di palestra. Inizia con dieci minuti di camminata veloce o di corpo libero. Fallo non per dimagrire, ma per prenderti cura della tua mente. Poi fermati un attimo e chiediti: come mi sento ora? Scoprirai che il benessere mentale inizia dal movimento.

Il coraggio non è l’assenza di paura. È scegliere di agire, anche quando la paura è lì, davanti a te.Molti pensano che e...
05/11/2025

Il coraggio non è l’assenza di paura. È scegliere di agire, anche quando la paura è lì, davanti a te.

Molti pensano che essere coraggiosi significhi non avere paura.
Ma il vero coraggio nasce proprio nel momento in cui la paura esiste — e tu decidi comunque di fare un passo avanti.

Nonostante la voce nella testa che ti dice “non ce la farai”.
Nonostante il cuore che batte troppo forte.
Nonostante il dubbio, il rischio, l’incertezza.

Il coraggio è alzarsi quando sarebbe più facile restare giù.
È dire “sì” a te stesso, anche quando tutto intorno sembra dire “no”.
È affrontare ciò che temi, perché sai che dall’altra parte c’è una versione di te che non hai ancora incontrato.

E non serve essere eroi.
Serve solo non scappare.
Restare. Sentire. Agire.

Perché la paura è inevitabile.
Ma è la scelta di non farti fermare da essa che costruisce la tua forza.

💭 Oggi, chiediti: cosa faresti se non avessi paura?
Ora fallo… anche con la paura.

La maschera della forzaA volte la maschera non serve per fingere.Serve per sopravvivere.Serve per andare avanti anche qu...
05/11/2025

La maschera della forza

A volte la maschera non serve per fingere.
Serve per sopravvivere.
Serve per andare avanti anche quando dentro qualcosa si è spezzato.
Ci abituiamo a sorridere quando vorremmo gridare, a dire “va tutto bene” quando in realtà non riusciamo più a respirare.
Diventiamo esperti nel mostrare forza, anche quando dentro c’è solo stanchezza.

Viviamo in un mondo che premia chi tiene tutto sotto controllo, chi non crolla mai, chi sa “gestire” ogni cosa.
Ci insegnano che mostrarsi vulnerabili è un errore, che le emozioni vanno contenute, che chi è forte non si ferma.
Così costruiamo maschere perfette: sorrisi sicuri, parole misurate, ruoli impeccabili.
E più quella maschera regge, più dentro ci sentiamo soli.

La verità è che non si può essere forti sempre.
Non si può essere sorridenti ogni giorno, né presenti in ogni momento.
C’è un prezzo da pagare nel fingere che la fatica non ci tocchi: si chiama disconnessione.
Dagli altri, ma soprattutto da se stessi.

Togliere la maschera non significa mostrarsi deboli, ma tornare umani.
Significa riconoscere che anche la forza ha bisogno di pause, che anche il coraggio a volte si nasconde nel chiedere aiuto.
Non c’è niente di più vero del lasciare che gli altri vedano la nostra fragilità, perché è lì che nasce la possibilità di essere compresi, accolti, visti davvero.

Forse la libertà non è essere sempre forti, ma potersi permettere di non esserlo.
E scoprire che dietro quella maschera non c’è una versione meno degna di noi, ma quella più autentica.

“La maschera serve a nascondere le ferite, ma sono proprio le ferite a renderci reali.”

Il peso del confrontoNon c’è niente che logori più del confronto costante con gli altri.Succede in silenzio, ogni giorno...
04/11/2025

Il peso del confronto

Non c’è niente che logori più del confronto costante con gli altri.
Succede in silenzio, ogni giorno: guardiamo ciò che fanno, come appaiono, cosa ottengono. E quasi senza accorgercene, iniziamo a misurare la nostra vita attraverso la loro.
Il risultato è una sensazione sottile ma persistente di inadeguatezza, come se fossimo sempre un passo indietro rispetto a un traguardo che non abbiamo scelto noi.

Viviamo immersi in un tempo che espone tutto: sorrisi, risultati, corpi, relazioni.
Ma quello che non si vede sono le paure, la fatica, le notti insonni, i momenti di incertezza che ogni persona attraversa.
Il confronto ci fa credere che la felicità sia una gara da vincere, ma in realtà è un percorso da abitare.

Ogni volta che ci misuriamo con qualcun altro, perdiamo un frammento di noi.
Perché nessuno conosce davvero la nostra storia, i nostri sforzi, il contesto da cui partiamo.
Eppure ci giudichiamo con la stessa durezza con cui guardiamo un’istantanea perfetta, dimenticando che quella foto non racconta l’intero film.

La verità è che non esiste un ritmo universale.
C’è chi arriva presto e chi ha bisogno di più tempo.
C’è chi sale, chi cade, chi riparte da zero.
Il valore non sta nel punto in cui sei rispetto agli altri, ma nella direzione in cui stai andando.

Quando smetti di confrontarti, smetti di correre per competere e inizi a camminare per crescere.
E in quel momento il paragone si trasforma in presenza, la pressione si trasforma in respiro, l’ansia di dimostrare diventa voglia di capire.

Non sei in ritardo.
Stai solo percorrendo una strada diversa, fatta di tempi, desideri e scelte che appartengono solo a te.
E non serve arrivare dove sono gli altri.
Serve arrivare dove vuoi essere tu.

“Il successo non è essere migliori di qualcun altro,
ma essere migliori di come eri ieri.”
— Wayne Dyer

La stanchezza da performanceViviamo immersi in una società che ci insegna a correre, a produrre, a essere sempre “qualcu...
03/11/2025

La stanchezza da performance

Viviamo immersi in una società che ci insegna a correre, a produrre, a essere sempre “qualcuno”.
Non basta più essere presenti: dobbiamo performare.
Essere felici, motivati, in forma, efficienti, disponibili. Ogni giorno.
E quando non riusciamo a tenere il ritmo, arriva il senso di colpa: “non faccio abbastanza”, “non valgo abbastanza”, “non sono come dovrei essere”.

Ma quella stanchezza che senti non è debolezza, né mancanza di disciplina.
È un segnale. È il corpo e la mente che ti stanno dicendo che stai chiedendo troppo, da troppo tempo.
È la conseguenza di un modello di vita che confonde il valore personale con la produttività, l’essere con il fare, la serenità con la prestazione.

Non sei sbagliato se ti senti stanco.
Non sei meno valido se non riesci a stare dietro a tutto.
Non serve spingere di più, serve fermarsi e ascoltarsi.
Serve ricordare che la vita non è una corsa a tappe, ma un percorso che include pause, incertezze, momenti vuoti e cambi di direzione.
È proprio in quei momenti che la mente e il corpo cercano di ristabilire equilibrio.

Forse la vera forza oggi non è quella di accelerare, ma quella di rallentare.
Di concedersi il diritto di non essere al massimo, di non rispondere subito, di non dover sempre dimostrare qualcosa.
La forza autentica nasce dalla consapevolezza dei propri limiti, non dalla negazione.

Ci hanno insegnato a misurare il nostro valore attraverso ciò che otteniamo, ma la verità è che il valore non si misura: si riconosce, si coltiva, si abita.
A volte, l’atto più coraggioso non è fare di più, ma scegliere di fermarsi.

Non sempre serve spingere. A volte serve solo respirare e ricordarsi che non devi essere perfetto per avere valore.
Devi solo essere te stesso, nel modo più autentico che riesci, oggi.

“Non serve sentirti pronto, serve iniziare.”Aspettare di sentirsi pronti è spesso la forma più elegante di rinuncia.Ci c...
31/10/2025

“Non serve sentirti pronto, serve iniziare.”

Aspettare di sentirsi pronti è spesso la forma più elegante di rinuncia.
Ci convinciamo che arriverà il momento “giusto”, quello in cui saremo sicuri, sereni, motivati. Ma quel momento non arriva mai.
Perché la prontezza non precede l’azione: è l’azione a creare la prontezza.

Molte persone rimangono ferme perché credono che per muoversi serva chiarezza.
In realtà, la chiarezza nasce dopo il movimento, non prima.
Un passo — anche incerto — produce informazioni, esperienza, direzione.
Il non agire invece alimenta dubbio e sfiducia.
E più aspetti, più diventa facile credere di “non essere ancora pronto”.

Il cambiamento reale è spesso scomodo, imperfetto, contraddittorio.
Non si presenta mai come un momento di grazia, ma come un piccolo rischio che accetti di correre nonostante la paura.
Quella paura è il segnale che stai uscendo dalla zona in cui il tuo cervello si sente protetto, non che stai sbagliando strada.

Oggi non chiederti se ti senti pronto.
Chiediti piuttosto: “Cosa posso fare, qui e ora, anche solo di un centimetro, nella direzione che desidero?”
Fallo anche se ti sembra poco, anche se tremi.
Perché è da quel primo passo che inizia ogni trasformazione autentica.

> “Fai il primo passo nella fede. Non devi vedere tutta la scala, solo il primo gradino.”
— Martin Luther King Jr.

Il valore dell’errore in un mondo che pretende la perfezioneViviamo in una società che ci insegna a nascondere l’errore ...
29/10/2025

Il valore dell’errore in un mondo che pretende la perfezione

Viviamo in una società che ci insegna a nascondere l’errore come fosse una colpa.
Siamo cresciuti con l’idea che “sbagliare” significhi fallire, perdere valore, deludere le aspettative.
Così finiamo per avere più paura di sbagliare che desiderio di provare.

Ogni giorno sentiamo il peso invisibile del confronto: sui social, nei rapporti, nel lavoro.
Tutto sembra una vetrina di risultati, di decisioni impeccabili, di scelte “giuste”.
Ma dietro questa illusione di controllo si nasconde un effetto collaterale silenzioso: l’immobilità.
Non agiamo più per crescere, ma per non deludere.

L’errore, invece, è il luogo dove impariamo chi siamo davvero.
È la frattura che mostra la verità del nostro percorso, il punto in cui la vita smette di essere teoria e diventa esperienza.
Senza errore non esiste consapevolezza, solo adattamento.
Senza inciampare, non sviluppiamo mai il coraggio di rialzarci.

Non dobbiamo aspirare a essere perfetti: dobbiamo imparare ad essere autentici.
E l’autenticità nasce solo dove smettiamo di giudicarci per ciò che non è andato come previsto.

Forse la scelta giusta non è quella che ci garantisce un risultato, ma quella che ci permette di restare fedeli a noi stessi, anche quando tremiamo.

Come scriveva Carl Gustav Jung:
“Chi evita l’errore, evita la vita stessa.”

“Non è ansia. È ipercontrollo travestito da sicurezza.”Molte persone credono di essere ansiose, ma in realtà vivono in u...
29/10/2025

“Non è ansia. È ipercontrollo travestito da sicurezza.”

Molte persone credono di essere ansiose, ma in realtà vivono in uno stato costante di ipercontrollo.
Pianificano ogni dettaglio, anticipano ogni possibile errore, cercano di prevedere tutto — non per perfezionismo, ma per paura.
Il controllo eccessivo è una forma di autoprotezione emotiva: serve a evitare il rischio di sentirsi vulnerabili.
Solo che, paradossalmente, più controlli, più perdi il senso di controllo.

Nella terapia cognitivo-comportamentale e nella ACT lavoriamo spesso su questo meccanismo: la mente scambia la prevedibilità per sicurezza. Ma la vita non funziona così. La sicurezza non nasce dal controllo delle circostanze, bensì dalla fiducia nella propria capacità di gestirle.

Rinunciare al controllo totale non significa “lasciar andare tutto”, ma accettare che non puoi prevedere ogni esito.
Ogni volta che accetti un margine di incertezza, espandi la tua libertà psicologica.
Ogni volta che rinunci a capire tutto subito, lasci spazio alla realtà di sorprenderti.

👉 Esercizio breve:
Quando senti il bisogno di controllare qualcosa (una risposta, un piano, un risultato), fermati e chiediti:

> “Sto cercando sicurezza o sto cercando garanzie?”
La sicurezza è interna. Le garanzie non esistono.

Come disse Carl Rogers:

> “La curiosa contraddizione è che, quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare.”

Accettare di non controllare tutto non è debolezza: è la forma più matura di fiducia in sé.

La mente stanca non ha bisogno di forza. Ha bisogno di senso.Molte persone arrivano in terapia dicendo: “Non ce la facci...
28/10/2025

La mente stanca non ha bisogno di forza. Ha bisogno di senso.

Molte persone arrivano in terapia dicendo: “Non ce la faccio più, devo solo trovare la forza.”
Ma la forza senza direzione si esaurisce presto. È come continuare a remare in un mare confuso: consumi energia, ma resti fermo.
Non è la mancanza di forza che ci blocca. È la perdita di significato.

Le ricerche di Viktor Frankl e della psicologia esistenziale hanno dimostrato che ciò che tiene in vita una persona non è la felicità, ma il perché dietro al dolore. Quando la fatica trova un senso, diventa sopportabile.
Anche in CBT e ACT questo è un principio cardine: la motivazione profonda non nasce dal piacere, ma dai valori.
I valori sono direzioni, non mete. Non si raggiungono, si incarnano. Ogni scelta quotidiana è una micro-azione verso di essi.

Ecco una riflessione pratica:

1. Pensa a qualcosa che oggi ti pesa.

2. Chiediti: “Perché continuo a farlo? Quale parte di me sto onorando?”

3. Se la risposta è nessuna, forse non serve più. Se invece tocchi un valore (cura, libertà, lealtà, crescita), allora stai faticando nel posto giusto.

C’è una differenza profonda tra il vivere spinti e il vivere orientati. Il primo consuma, il secondo trasforma.
A volte non serve essere più forti: serve solo ricordare perché vale la pena resistere.

Come scrisse Nietzsche:

> “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come.”

La forza che cerchi non è nei muscoli mentali, ma nella direzione che scegli di dare alla tua fatica.

Quando dire “Non lo so” diventa un passo avantiQuante volte ti sei bloccato perché pensavi che dire “non lo so” fosse un...
27/10/2025

Quando dire “Non lo so” diventa un passo avanti

Quante volte ti sei bloccato perché pensavi che dire “non lo so” fosse un segno di debolezza, incertezza o indecisione? In realtà, nella pratica clinica con gli approcci della Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), della Acceptance and Commitment Therapy (ACT) e della Schema Therapy, scoprire di non avere tutte le risposte è spesso un segnale di consapevolezza e apertura.

La ricerca sul concetto di Intolleranza dell’Incertezza (IU) mostra che la difficoltà ad accettare ciò che non si può prevedere rappresenta un fattore di vulnerabilità comune a molti disturbi psicologici: ansia, ruminazione, indecisione cronica. Vivere costantemente nel bisogno di controllo crea un’illusione di sicurezza che in realtà ci imprigiona. Imparare a tollerare il dubbio, invece, allena il cervello a restare flessibile e ad adattarsi al cambiamento.

Accettare il “non lo so” non significa arrendersi o rinunciare, ma riconoscere che la chiarezza nasce dal movimento, non dalla certezza. Quando smetti di pretendere una risposta immediata, inizi davvero ad ascoltare te stesso.

Ecco tre passi pratici per oggi:

1. Individua un ambito della tua vita in cui senti di non avere il controllo.

2. Chiediti: “E se questo non lo so fosse la mia occasione per scoprire qualcosa di nuovo su di me?”.

3. Fai un piccolo gesto concreto che ti metta in contatto con l’incertezza: lascia aperta una decisione, prova un’esperienza senza sapere come andrà, sospendi il giudizio per un giorno.

È in quella sospensione che nasce la libertà.
Come scrisse Rainer Maria Rilke:

> “Abbi pazienza con tutto ciò che rimane irrisolto nel tuo cuore e cerca di amare le domande stesse. Forse un giorno, senza accorgertene, vivrai dentro la risposta.”

Il vero coraggio non è sapere tutto, ma restare presenti nel non sapere.
È lì che comincia ogni cambiamento autentico.

Indirizzo

Via Cherubini 20
Florence
50100

Orario di apertura

Lunedì 14:00 - 20:00
Venerdì 14:00 - 20:00

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