14/10/2024
“È naturale per una madre considerare il proprio figlio appena nato come un prolungamento narcisistico di se stessa e avere con lui un rapporto fusionale. Questo le permette di interpretare a suo modo gli stati di disperata impotenza del figlio e, quindi, di decidere su ciò che il piccolo sente o di cui ha bisogno. Allo stesso modo le madri tentano intuitivamente di proteggere i loro piccoli dall'impatto di fattori ambientali troppo dolorosi. Ma vi sono madri che continuano, per ragioni inconsce, a vivere i loro figli, anche molto al di là dell'infanzia, come una parte di se stesse. Quando c'è poco "spazio" psichico potenziale tra madre e figlio (come può accadere quando la madre sente il bisogno angoscioso di controllare i pensieri, le emozioni e le fantasie della sua creatura), il figlio, cui viene a mancare questo spazio vitale per tutta l'infanzia, può avere qualche difficoltà a organizzare la propria realtà psichica, a proteggersi dalle situazioni che lo minacciano, a trovare conforto nei momenti di dolore psichico, insomma a compiere per conto proprio le funzioni materne e protettive.
Questi cedimenti nella comunicazione tra figlio e madre si manifestano spesso nei primi mesi di vita. Il lattante esprime i conflitti psichici invariabilmente su un registro psicosomatico, i cui segni più precoci sono dati dall'alterazione di una delle funzioni fisiologiche fondamentali, la respiraùzione, la digestione, l'evacuazione e il sonno”.
Joyce McDougall (1989), Teatri del corpo. Un approccio psicoanalitico ai disturbi psicosomatici, Raffaello Cortina Editore, 1990, pag. 85