06/09/2025
Il "paesaggio interiore" del terapeuta ha una funzione essenziale nelle psicoterapie e nei percorsi psicologici, è quel contesto entro cui la soggettività del paziente si staglia e può crescere. Il terapeuta, quindi, ha la responsabilità di ampliare il suo territorio, di complessificarlo, abbellirlo, differenziarlo, creare altipiani, boschi cupi, prati curati, villaggi, città, pianure sconfinate e ariose. Più il paesaggio interiore del terapeuta sarà ricco, più il paziente potrà fare esperienze diverse, esplorative e riparative. Perché per riparare ci si deve sentire al sicuro e non per tutti sentirsi al sicuro significa la stessa cosa: c'è chi si sente al sicuro nella natura, chi in un contesto urbano, chi in uno spazio aperto e libero, chi in una piccola casa accogliente e calda e dentro di te, terapeuta, ci deve essere ognuna di queste possibilità, ognuno di questi punti di partenza, o comunque il più possibile, altrimenti il paziente potrebbe sentirsi inqueto, confuso, stretto, non collaborativo.
Come si arricchisce un paesaggio interiore? Con l'osservazione, l'ascolto, la lettura, i viaggi, il dialogo con gli altri, la condivisione, le risate, l'esplorazione del mondo e dei tanti modi di vivere la vita che s'incontrano in giro, con i chilometri percorsi, con le parole dette, lette e ascoltate, con la conoscenza minuziosa del lessico, perché sfaccettature diverse di un concetto lo specificano diversamente, con il cinema, la filosofia, l'arte e la cultura in generale, incontrando culture diverse, con i ruoli che si abitano e ci mettono alla prova: essere figli, compagni, genitori, amici, colleghi, essere parte di società e gruppi, con i fallimenti da cui ti sei rialzato, con gli errori fatti, con i dolori affrontati, con le gioie vissute e i traguardi raggiunti, stando lontani dai dogmi, dai pregiudizi inconsapevoli, dai populismi spaventati, dagli evitamenti eccessivi e paralizzanti, dai silenzi, ma solo se diventano vuoti, e imparando anche a stare nel buio, nella nebbia, nell'incertezza, nell'assenza momentanea di punti di riferimento, perché senza il coraggio di esplorare oltre il proprio angolo sicuro e conosciuto non si può neppure crescere e creare quello spazio di conoscenza di sé necessario al paziente.
Si può avere paura insieme al paziente? Si può essere incerti accanto a lui o lei in una sorta di vertigine? Certo che si può, la paura non è mai un ostacolo di per sé, casomai un punto di partenza, ma più quel paesaggio interiore contiene possibilità, più quella vertigine si trasformerà in cambiamento e se quell'ansia sarà accompagnata dalla fiducia del terapeuta, il paziente si sentirà al sicuro e curioso. Inoltre se il paesaggio interiore del terapeuta è ricco significa che la fiducia, la curiosità, la meraviglia e il coraggio quel terapeuta ce li ha già avuti per se stesso, avventurandosi in tutti quei luoghi e quindi potrà essere una compagnia affidabile e preparata per affiancare le persone nella propria esplorazione.
Fate caso ai paesaggi in cui vi immergete!
Dott.ssa Monia Giannecchini