30/10/2025
La difficoltà di comprendere la dipendenza affettiva
L’impressione di chi ascolta
Quando parli con una persona che soffre di dipendenza affettiva, hai l’impressione che accada qualcosa di particolare.
Magari la vedi soffrire e le fai una domanda, oppure è lei stessa che, avendo un disagio, si confida con te. Ma alla fine della serata avrai l’impressione di aver avuto a che fare con una persona che non ascolta, che non si fa aiutare, che alza un muro. E soprattutto avrai la sensazione di non aver capito esattamente qual è il problema relazionale, che cosa la fa soffrire. Come se il punto fosse continuamente sfuggito.
L’impressione della persona in dipendenza
Dal suo punto di vista, invece, accade l’opposto. Se si è sentita ascoltata, la persona con dipendenza affettiva avrà la sensazione che nessuno la capisca.
Dentro di sé ha una percezione molto chiara di quale sia il problema, sa esattamente qual è, ma non è in grado di esternarlo e non se ne rende pienamente conto. I meccanismi che creano quella percezione – piuttosto bizzarra – nella persona che l’ascolta, lei li mette in atto anche con se stessa, senza accorgersene. Non è la prima vittima.
Quando emergono i meccanismi
Nelle sedute di psicoterapia questi meccanismi si notano subito, e il clinico se ne accorge. La domanda stessa, e il modo in cui viene posta, attivano infatti una concatenazione di difese che portano la persona a dare proprio l’impressione che tu percepisci.
Il gioco delle domande
All’inizio, ponendo delle domande, può sembrare che qualcosa emerga. A tratti, infatti, il problema vero e proprio affiora, la persona si sente capita, accolta, e questo apre la possibilità di approfondire.
Ma quando tocchi elementi legati al partner, o che fanno pensare alla possibilità che la relazione non possa funzionare, scatta un “alert” automatico.
La paura della perdita
Questi aspetti, che appartengono al problema ma che implicano anche l’idea della fine della relazione, attivano emozioni intollerabili: timore, vuoto, perdita.
La persona reagisce con tre meccanismi difensivi molto specifici:
• Giustificazione
• Normalizzazione
• Spostamento della colpa su di sé
La giustificazione
La persona comincia a dire:
• “In fondo fa un grande sforzo, e io lo apprezzo.”
• “Era stressato, aveva tanti problemi.”
• “Ci sono molte ragioni che spiegano il suo atteggiamento.”
Così giustifica il partner e, allo stesso tempo, sposta su di sé la responsabilità: “forse sono io che ho sbagliato, che non ho capito”.
La normalizzazione
Un altro meccanismo è il dire:
• “A chi non succede?”
• “Non è normale sacrificarsi per il proprio partner?”
• “Le coppie funzionano così, del resto è sempre stato così tra noi.”
In questo modo il problema, inizialmente messo in evidenza come qualcosa di serio su cui lavorare, viene ridimensionato. Viene “riscritto”, reso meno grave, come se non fosse più realmente un problema.
Lo spostamento di attenzione
Infine, emerge una tendenza automatica: comprendere il partner. La persona si concentra sul perché lui/lei si sia comportato in quel modo, entrando nei dettagli di episodi singoli.
Così, dal parlare del proprio disagio, si finisce a discutere del vissuto del partner, perdendo di vista il tema centrale.
La sensazione finale
Il risultato è che, quando tornerai a casa, ti sentirai spiazzato. Avrai l’impressione di non aver parlato di nulla di concreto.
Potresti intuire che il tuo amico o la tua amica hanno un problema serio, ma sentirai anche rabbia: come se avessi dovuto convincerli della loro stessa sofferenza, come se ti avessero preso in giro.
In realtà, non si tratta di menzogna. Quello che hai incontrato è l’intero sistema di meccanismi di difesa che si è messo in moto.