Dr. Paolo Molino Psicoterapeuta

Dr. Paolo Molino Psicoterapeuta Sono Paolo Molino, psicologo e psicoterapeuta, Lavoro a Firenze. Questa è la mia pagina professionale

Questo sono io. L’anno e il 2016. All epoca correvo da solo , non facevo parte  di nessuna associazione podistica. Quest...
11/10/2023

Questo sono io. L’anno e il 2016.

All epoca correvo da solo , non facevo parte di nessuna associazione podistica. Questa è la mia prima mezza maratona. Avevo da non molto finito una dieta severa che mi ha regalato la prima colica renale.

Faccio questo post perché non scrivo da molto tempo e perché forse mi preme dire questo: lo sport è importante, lo sport è terapeutico, lo sport rende le persone migliori.

Attraverso lo sport scarichiamo cose negative e ne carichiamo di positive (endorfina).

Mi sono sempre reputato pigro, e grasso. In realtà mi rendo conto che ho molta forza di volontà e costanza.

Dopo un momento in cui ogni sport che facevo mi è caduto in disgrazia, ho ripreso dopo un paio d’anni e ora corro e nuoto e sento veramente la differenza che fa nella mia qualità di vita .

Vorrei che tutti facessero sport, lo consiglio ai miei pazienti.
E’ un granello nell ingranaggio lavora, consuma, muori. Un granello importante che può inceppare il meccanismo nel quale ci troviamo.

Tralascio qui le riflessioni sul corpo, che ci sono eccome, non voglio aggiungere altro al mio consiglio vibrante, prendetevi cura del vostro tempo, fate un qualsiasi sport!

CHIAVI E SERRATUREE’ molto che non scrivo, mi domando spesso se sia interessante quello che mi viene in mente. Bisognere...
05/04/2023

CHIAVI E SERRATURE

E’ molto che non scrivo, mi domando spesso se sia interessante quello che mi viene in mente. Bisognerebbe che definissi interessante, ma lascio da parte i miei pensieri e procedo.

Negli ultimi tre anni ho avuto l’onore di lavorare con M.

M. è un uomo di 50 anni, straniero, che viene da me in terapia con una crisi esistenziale non ancora aperta, ma agli inizi.
Piano piano costruiamo il nostro rapporto e l’alleanza terapeutica, che si evolve e utilizza strumenti non convenzionali: la musica.
M. compone e fa parte di un gruppo musicale, ma, ai miei occhi, la vera anima è lui, che scrive e compone le canzoni. Come mai sta sullo sfondo?
La terapia si dipana mentre M. cerca la sua strada, e la sua comodità.
Devo dire che come processo per me è stato lento, ma inesorabile. M. mi ha veramente aiutato a apprezzare la lentezza.
Nelle sedute, che sono un fiorire di nuovi brani che partono da cose che vediamo insieme e poi prendono vita (sono onoratissimo e orgoglioso) ci siamo resi conto che la terapia è la ricerca della serratura delle persone.

Le persone sono come le chiavi ed il processo riguarda il trovare la o le serrature giuste per quella chiave lì. Guardandole senza attenzione tutte le chiavi sono simili, ma solo una apre la specifica serratura.

Scrivendo canzoni “insieme“ siamo riusciti ad accedere al nucleo più profondo di M. e andare verso la sua interezza. Quello che il nel tempo M. ha lasciato per fare spazio alla musica è stato il compiacere gli altri e l’essere sempre compliante, per poter abbracciare se stesso.

L’ha potuto fare guardando le proprie specifiche incisioni come chiave unica e particolare e realizzando che non ha bisogno delle chiavi di nessun altro: non solo, ma anche scegliendo di smettere di cercare di aprire serrature che non corrispondevano a se stesso e realizzando che certe serrature non si sarebbero aperte ( Coazione a ripetere)

Dove si apre la porta? Si apre sulla strada di quello specifico individuo che non ha che vedere con brutto/bello o giusto/sbagliato ma solo con quella persona.
Aprire la porta vuol dire darsi la possibilità di percorrere una strada diversa da quella percorsa sino a quel momento.
Mi viene in mente che anche in Matrix, il film, un personaggio importante era proprio il maestro di chiavi, che consente a Neo di accedere alla Sorgente.
Mi piace pensare che tutti noi siamo alla ricerca della nostra Sorgente, e che noi terapeuti possiamo essere i mastri di chiavi, e facilitare e accompagnare nella ricerca.

Il punto è che nella terapia il terapeuta deve adattarsi a chi ha davanti, non vuol dire essere falso, vuol dire cercare il modo migliore, più efficace, per aiutare quella persona a perseguire i suoi obiettivi. E ogni individuo ha i suoi. Per questo le tecniche da sole non bastano, ma devono essere condite con l’umanità e la compassione. Con M. è stata la musica, con altri può essere parlare la lingua d’origine (per esempio con un immigrata di seconda generazione in USA, la cui prima lingua era spagnolo, parlando spagnolo emergevano aspetti che non erano emersi in inglese, sopratutto emotivi). Questo vuol dire essere e fare il mastro di chiavi.

Vuol dire anche offrire un esempio, un opzione diversa al paziente. Permettergli di sperimentare nella stanza (sicura) della terapia delle possibilità che nel mondo reale non può permettersi.

Imparare a essere se stessi con qualunque mezzo

24/05/2022
IL VASO DI PANDORAPoco tempo fa la mia compagna mi ha raccontato di avere conosciuto il mito del vaso di pandora. Io lo ...
09/01/2022

IL VASO DI PANDORA

Poco tempo fa la mia compagna mi ha raccontato di avere conosciuto il mito del vaso di pandora. Io lo conoscevo, ma non ricordavo così nettamente che nel vaso, oltre ai mali del mondo, ci fosse, sul fondo, la speranza.

Perchè la speranza sta sul fondo del vaso e viene rilasciata da pandora solo dopo averla prima (inavvertitamente) rinchiusa?
Forse perchè è la speranza che ci lega a dei nostri comportamenti disfunzionali. Per esempio una parte "piccola" di me, una parte bambina, può continuare a bussare ad una porta che non si aprirà mai, perché spera che si apra. Queste parti sono le parti cosiddette dissociate, o bambini interiori. hanno diritto di esistere e non vanno assolutamente censurati. Ci vuole anche la nostra parte adulta che integri quelle parti bambine ed i loro desideri.

Mi spiego meglio: in psicologia esiste un costrutto che si chiama "coazione a ripetere". Sta a significare che quelli sono comportamenti che ripetiamo quasi senza rendercene conto. Mediamente, nella mia esperienza, sono proprio questi comportamenti che portano le persone nella stanza della terapia. "come mai mi capita sempre che..." , " perché trovo sempre partner cosi?..." .

La terapia può essere il luogo, relazionale sopratutto, dove il paziente può imparare una risposta diversa, e smettere di fare quella domanda, o bussare a quella porta. Come dicevo in un altro post, il terapeuta (deve) fornire un esempio relazionale diverso. Il/la terapeuta dà una risposta diversa che permette a quelle parti "bloccate" di sbloccarsi ed andare verso l'adulto, spero di spiegarmi.

In questo senso mi spiego che la speranza nel mito stia in fondo al vaso, e tardi ad uscire.
Allo stesso tempo di sperare ne abbiamo bisogno, altrimenti diventa difficile far scorrere la vita, se non spero che finisca di piovere («Non può piovere per tutta la vita», Aureliano Secondo in Gabriel García Márquez).
Dico sempre ai pazienti che è inutile resistere al dolore, al dispiacere, o a qualunque emozione, censurandolo. Perls, il fondatore della gestalt, diceva: "non spingere il fiume, scorre da solo". Per me vuol dire appunto non resistere ed andare col flusso, quel flusso che mi rende consapevole (speranzoso) che dopo la pioggia tornerà il sole, in un continuo alternarsi che non possiamo controllare .
Mettiamo sempre molta energia nel cercare di controllare quello che ci accade e come ci sentiamo. E' sprecata.

La morale è che come al solito non c'è una sola verità univoca, o un solo significato. E siamo solo equilibristi.

CALAMARI SOLIho appena finito di guardare la serie Netflix "squid game". Una mia paziente mi aveva proposto di scrivere ...
18/10/2021

CALAMARI SOLI

ho appena finito di guardare la serie Netflix "squid game". Una mia paziente mi aveva proposto di scrivere qualcosa sulla solitudine.

Beh trovo che questa serie parli della solitudine e del mondo che spesso ci teniamo dentro.
Siamo tutti un pò brutti e un pò belli come i protagonisti della serie; un pò meschini, avidi, altruisti, bambini, sporchi, giocosi.

Al di là delle considerazioni che stanno scorrendo a fiumi su ogni media, incluse quelle deprecabili, ci tengo a dirlo, che vorrebbero la serie come mezzo educativo per bambini e adolescenti, quello che ha colpito me è proprio la solitudine angosciata degli esseri umani protagonisti.

Nelle scelte siamo soli, possiamo essere circondati di supporto, ma siamo soli. Ci autodeterminiamo e, come ha detto qualcuno prima di me, siamo artefici del nostro destino.

Questa è una grande libertà, e una grande responsabilità.

Il peso di questa solitudine è il peso della scelta, faccio/dico qualcosa, è possibile che dispiaccia a qualcuno, forse che quel qualcuno non mi voglia più bene. Ed è questa la solitudine di chi sceglie per sè.
Mi viene in mente la solitudine delle minoranze, delle persone stigmatizzate (LGBTQ+, per esempio), la solitudine di chi combatte contro "il sistema" qualunque cosa voglia dire.

Alla fine possiamo solo accettare questa solitudine come un fatto della vita, e decidere cosa farci, come viverla al meglio.
Riempiamo i vuoti affannosamente perchè ci confrontano con noi stessi, con la nostra individualità. Intratteniamo i bambini perchè siano sempre "appagati". Cerchiamo di offrire "risultati" sempre soddisfacenti, o all'altezza, per non ascoltare l'altro.

Forse possiamo lasciar entrare l'angoscia che comporta senza farci cose sopra, per anestetizzarla.

POSSESSO “Io sono io. Tu sei tu.Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.Tu non sei al mondo per soddisfar...
01/10/2021

POSSESSO

“Io sono io. Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sarà bellissimo;
altrimenti, così va la vita”

Preghiera della Gestalt, Fritz Perls

in linea col post della scorsa settimana, vorrei ampliare un tema che ho solo toccato. L’angoscia della differenziazione.

La differenziazione è un tema caldissimo, un emergenza oramai, visto che è legata a doppio filo al femminicidio.

La differenziazione ci angoscia. Cioè ci getta in una paura profonda.
Cosa è la differenziazione? L’altro che fa l’altro, e io che faccio io. Il coltivare le proprie passioni, hobbies, amicizie, sport, a prescindere da quello che fa l’altro significativo. Essere in coppia spesso significa abnegarsi, annichilire la propria individualità, per non dispiacere, con l’illusione di non far allontanare l’altro.

Va da sé che diventa un reciproco soffocamento, dove il rumore di sottofondo della relazione sarà il risentimento, che può sfociare in atti di rabbia (agita o meno, questo è da vedere).

Mi sento di dire che uno dei fattori del femminicidio, quando non il principale, sia proprio questo: il controllare la propria angoscia controllando l’altro. Il controllo si esprime attraverso il possesso e il far diventare l’altro un oggetto. Solo che nessuno lo è, non la compagna, non i figli.

La logica del possesso porta anche ad una pedagogia distorta, dove tu devi fare nel modo che dico io perché sei mio. Il bambino/a non esiste, è solo un estensione di me genitore.
Non solo ma genera anche il fenomeno della rabbia: se tu sei mio (se io non mi differenzio da te) , come ti permetti di? (fare questo, non fare l’altro, farmi vergognare, ecc). Da qui vengono gli scapaccioni nei genitori, le aggressioni verbali e fisiche tra adulti.

Credo che sia un tema importante questo dell’angoscia, perché ne discendono conseguenze gravissime, sino all’omicidio. Ciascuno di noi ha il dovere di domandarsi “come mi sento?”. La mia angoscia non è responsabilità dell’altro, ma mia. Mia è la responsabilità di nutrirmi e incontrare l’altro, o gli altri, in modo libero, autentico, legato al mio e all’altrui volere.

L’altro non è responsabile della mia rabbia verso i miei genitori che magari mi hanno abbandonato (metaforicamente oppure fisicamente). Se sono in coppia con qualcuno per scaricargli addosso la mia angoscia e la mia rabbia, che relazione è?

IDENTITA' E FUSIONE"Quando finisce un amore, non soffriamo tanto del congedo dell'altro, quanto del fatto che, congedand...
22/09/2021

IDENTITA' E FUSIONE

"Quando finisce un amore, non soffriamo tanto del congedo dell'altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l'altro ci comunica che non siamo un granché. In gioco non è tanto la relazione, quanto la nostra identità; l'amore è uno stato ove per il tempo in cui siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma la riceviamo dal riconoscimento dell'altro; e quando l'altro se ne va, restiamo senza identità. Ma è nostra la colpa di esserci disimpegnati da noi stessi, di aver fatto dipendere la nostra identità dall'amore dell'altro.E allora, dopo il congedo, il lavoro non è di cercare di recuperare la relazione dell'altro, ma di recuperare quel noi stessi che avevamo affidato all'altro, al suo amore, al suo apprezzamento. "
Umberto Galimberti

Queste parole di Galimberti sono fondamentali perchè ci aiutano a capire come la relazione con l'altro abbia (anche) a che vedere con la propria identità.

Si mette sull'altro e sulla relazione un carico molto pesante, ed anche un potere enorme (motivo per cui spesso rimaniamo in relazioni insoddisfacenti quando non abusanti). Questo è soffocante.

La nostra responsabilità è nutrirci come individui, fare le cose che ci fanno stare bene, e dopo incontrare l'altro. Sfidando un pò il mito comune per cui dobbiamo fonderci e fare tutto insieme e "se non sta con me sempre vuol dire che non mi ama".

Bisogna renderci conto che siamo tutti e tutte esposti a questo falso mito per il quale "bisogna fare le cose insieme". Le differenze ci angosciano perchè attribuiamo un significato di "non noi", ma non è vero.

E' nelle differenze che possiamo autenticamente incontrarci, e, magari, amarci.

DEL MIO MEGLIO (quello che posso)Come sempre devo ringraziare i miei pazienti per gli spunti di riflessione. Questa volt...
26/05/2021

DEL MIO MEGLIO (quello che posso)

Come sempre devo ringraziare i miei pazienti per gli spunti di riflessione.
Questa volta in particolare una , C. , che mi ha dato materiale per un bel po'. Ne scrivo perché credo sia utile a me, a lei, e a chi legge.
Una convinzione granitica che ho sviluppato negli anni di lavoro come terapeuta, e come genitore, è che possiamo solo fare del nostro meglio.

La dicitura che merita attenzione è proprio quella di “mio meglio”. Sembra un escamotage per fare quello che mi pare in nome del mio meglio, una sorta di lasciapassare.

Non avevo mai pensato che potesse essere letta così ed è tremendamente vero.
Il mio percorso per arrivare al “mio meglio” è stato il suicidio narcisistico e l’umiltà. Mi sono iscritto a psicologia a 23 anni pensando di poter salvare il mondo (e me stesso attraverso di esso). La realtà mi ha sbattuto in faccia che non è cosi, ma ci ho messo molto a capirlo.
La consapevolezza che l’Altro fa l’Altro è arrivata quando ho iniziato a lavorare come terapeuta.
Non do consigli in terapia, ho un opinione, che non è importante perché quello che conta nelle sedute è quello che pensa e sente il paziente, e molto dello sforzo terapeutico va nello spingerlo/a ad imparare ad ascoltarsi ed allenarlo/a a farlo nel miglior modo possibile, per poi lasciargli/le prendere il volo.
Per i genitori a mio avviso funziona nello stesso modo. Possiamo solo seminare meglio che possiamo sperando che il risultato sia quello che vogliamo.

Il suicidio narcisistico consiste nel fatto di uscire dalla convinzione di avere la verità in tasca e di sapere che cosa sia bene per il paziente, o per chiunque altro. Non è facile perché siamo sempre molto convinti, spesso in buona fede, di sapere cosa e come va fatto. Uscire da questo atteggiamento significa aprirsi alle possibilità, alle differenze, con autenticità. Lo si può fare solo sospendendo il giudizio, tutt’altro che facile.
L’umiltà è necessaria per ottenere quanto sopra, se io non mi metto in una posizione di sguardo, mente, e cuore aperto, non sarà mai possibile sospendere il giudizio con autenticità e quindi accogliere veramente l’Altro.

Ma torniamo a C.
O meglio torniamo a me, e all’insostenibile pesantezza della responsabilità di terapeuta (e di genitore). Quando sono nello studio ho un ruolo che si definisce para-genitoriale, ovvero come se fossi un genitore (oltre ad altre cose) . Questo da un autorevolezza, ovvero un potere, importante. Frasi, sguardi, battute, movimenti, arrivano al paziente in modo molto intenso, il che vuol dire che il terapeuta deve essere molto presente a sé stesso e usare questo potere con grande cautela e consapevolezza. Il rischio di fare danni è molto alto.

Ricordo qui che il processo terapeutico sano vuole che il paziente faccia il proprio processo personale, solo momentaneamente passi attraverso una “dipendenza” dal terapeuta, che deve essere solo una base sicura da cui spiccare il volo.

La conclusione a cui sono arrivato in questi anni di lavoro è che l’unico modo per sopravvivere alle sedute e alle vite che mi attraversano, è fare del mio meglio. Sapere sempre che posso fare solo quello che posso come persona, umana e limitata. Il 50% è mio, il 50%, dell’Altro.

Facendo delle riflessioni con C. sulla genitorialità, mi è venuto del tutto spontaneo rassicurarla dicendole che lei fa del suo meglio, proprio come me, e che quello è il massimo che può fare in un dato momento (qui e ora).

Dopo qualche minuto di riflessione silenziosa, C. mi chiede: ma allora anche mia mamma ha fatto del suo meglio?
Si tratta di una mamma abusante e che ha permesso che il marito abusasse della figlia.

La mia risposta è inevitabilmente si, anche se in questa occasione ho molta difficoltà a sostenere la rabbia di C. che giustamente si domanda come sia possibile.

La risposta che mi viene in mente è che associamo il concetto di “mio meglio” con “bene”. Non è così. Fare del mio meglio non vuol dire che sia bene o abbastanza, sicuramente nel caso di un genitore abusante non è assolutamente abbastanza. Fare del suo meglio vuol dire fare quello che può, per circostanze, cultura, educazione, situazione socio economica, ecc.
Fare del proprio meglio vuol dire cercare di dare il massimo, questo per avere una prospettiva su sé stessi compassionevole, perché solo da li può nascere il cambiamento autentico, non dalla rabbia e dal giudizio.
Rispetto all’abusante, il pensare che ha comunque fatto del suo meglio, per quanto non abbastanza (anzi), può aiutare me a superare la rabbia che in realtà mi lega precisamente nella dinamica traumatica e mi tiene bloccato/a in trauma time.

Non amo il concetto di perdono, quindi non si pensi che il guardare al mondo con quest’ottica del “meglio”, debba portare al perdono. Dove punta è al lasciar andare per poter emancipare me stesso/a e non bloccarmi nella rabbia. Bert Hellinger dice che “l’odio lega più dell’amore”, ed è vero.
Possiamo scegliere se rimanere li, nella rabbia e nell’odio, oppure affrontare, con dolore, paura, e le altre emozioni presenti, quel trauma, per prendere a bordo quella parte di noi che è sopravvissuta.

[edit] grazie a tutti i commenti mi sono reso conto che “quello che posso” é più adatto de “il mio meglio”. Non posso sostenere la tesi che un abusante faccia del suo meglio.
Nel concetto di quello che posso si può davvero includere tutto, anche il male.
Scelgo di lasciare larticolo per come è con questo arricchimento grazie alle persone che qui hanno dedicato del tempo e delle energie, grazie di cuore

La sintesi della mia scelta di servizio. Un grande grazie a chi l’ha reso possibile. Psicologi in Rete. Collégàti Toscan...
15/06/2020

La sintesi della mia scelta di servizio. Un grande grazie a chi l’ha reso possibile. Psicologi in Rete. Collégàti Toscana

Durante la fase 1 circa 400 colleghi hanno messo il loro tempo, la loro voce e il loro cuore a servizio della cittadinanza attraverso i progetti delle Linee ...

Domani alle ore 17 con Francesca Allegrucci per parlare di pet therapy! Con https://livewebinar.com/231-684-611/4745ed64...
19/05/2020

Domani alle ore 17 con Francesca Allegrucci per parlare di pet therapy! Con https://livewebinar.com/231-684-611/4745ed64133a8ad700d11e241b6f6b3d

Tra le cose decisamente belle di Home Sweet Home, in questo clima da “spazio transazionale”, c’é sicuramente la creatività e la generativitá.

Ecco che da un singolo Webinar, esce un’idea, ovvero quella di creare una serie di appuntamenti per parlare, dialogare, sui differenti modi di applicare la Gestalt.

Radio Gestalt è un ciclo di 5 incontri online a cadenza settimanale con l’obiettivo di diffondere i principi generali della gestalt e la loro applicazione.

Paolo Molino ed Emiliano Bernardi, psicoterapeuti, dialogheranno con vari ospiti che porteranno la loro esperienza in ambiti applicativi specifici, mostrando la versatilità dell’approccio.

Ecco il Calendario
1. 29 Aprile: Gestalt e Crisi
2. 6 Maggio: Gestalt e Grafologia
3. 13 Maggio: Gestalt e Poesia
4. 20 Maggio: Gestalt e Pet Terapy
5. 26 Maggio: Gestalt e Bioenergetica
Orario Inizio 17.00

Per iscriversi: https://bit.ly/3cQrbay

condivido totalmente. Nel nostro pensiero, nella nostra vita, ancora non si concepisce come parte integrante del benesse...
16/05/2020

condivido totalmente. Nel nostro pensiero, nella nostra vita, ancora non si concepisce come parte integrante del benessere, quello psicologico.
Il lockdown da questo punto di vista può veramente insegnarci qualcosa.

Siamo pronti ad accogliere la sfida?

Denunciamo l'assenza di psicologia nel Decreto Rilancio, ed esprimiamo per questo massima preoccupazione.

Non ci sarà ripresa senza un lavoro sulla salute psicologica di tutti i cittadini, famiglie, gruppi e organizzazioni.

Come psicologi ci batteremo perché l'intervento psicologico sia QUALIFICATO, ACCESSIBILE e RETRIBUITO.

Con piacere pubblico questo webinar fatto con l'amico e collega Emiliano Bernardi , grazie all'ospitalità squisita di Al...
21/04/2020

Con piacere pubblico questo webinar fatto con l'amico e collega Emiliano Bernardi , grazie all'ospitalità squisita di Alessandro Lombardo . A breve notizie su un piccolo progetto stuzzicante a tema gestalt, con ospiti speciali.

Principi generali della psicoterapia della Gestalt ad indirizzo Fenomenologico Esistenziale

INTERDIPENDENZAIn questi giorni di lockdown o quarantena le sedute con i pazienti e le chiacchiere con gli amici vertono...
20/04/2020

INTERDIPENDENZA

In questi giorni di lockdown o quarantena le sedute con i pazienti e le chiacchiere con gli amici vertono su argomenti simili, se non identici.

Uno è sicuramente l'accorgerci di quanto siamo interdipendenti, di quanto bisogno abbiamo gli uni degli altri, e non perchè siamo insufficienti a noi stessi, ma perchè siamo programmati biologicamente cosi.

Quanta energia e tempo investiamo nel contrastare questa spinta, nel sezionare i nostri rapporti con lo scopo di non essere pesanti/sfigati/lamentosi/"dipendenti"?
Nella mia esperienza moltissimo.
Questo obbligo a non interagire che dura ormai da (troppo) tempo ci sta facendo accorgere che abbiamo bisogno della fisicità, che anche al supermercato, al di la della diffidenza con mascherina, avremmo voglia di stringere un braccio, di guardare con tenerezza qualcuno che solitamente salutiamo e basta.

Nella nostra società viene data molta importanza all'emancipazione e all'indipendenza, femminile, dei figli, degli individui, e cosi via. Lo si fa però senza valorizzare il nostro bisogno di interdipendenza (che suona meglio di dipendenza e ci fa sentire meno malati).

Cosa vuol dire? che dobbiamo avere l'umiltà di avere bisogno di contatto. Che dobbiamo autorizzarci la voglia di toccare. Che abbiamo la responsabilità verso noi stessi/e di riuscire a tollerare l'ansia che forse l'altro non voglia in quel momento, e che ci possiamo accorgere che:

-non moriamo
-se non rendiamo visibile il nostro bisogno, difficilmente sarà soddisfatto

Negli anni '70 fu fatto un esperimento cruciale in psicologia da un certo Harlow. Mise dei macachi rhesus neonati vicino a due "mamme" finte, una aveva uno strato di panno (ma non il biberon), l'altra aveva il biberon (ma non il panno).
I macachi andavano verso la "mamma" con il panno, a testimoniare che il calore è un nutrimento importante quanto il cibo.

Voler tagliare dalle nostre famiglie perchè ci hanno ferito, o essere indipendenti da tutto e tutti perchè da solo/a ho l'illusione di controllare tutto, è un'illusione, che nega una parte importante di noi e ci fa del male.

Permettiamoci di non dover essere indipendenti a tutti i costi, ci perderemo il momento presente, chiamiamo gli amici e i parenti, piangiamo, amiamo.
E ricordiamocelo anche nella fase 2,3,4...

Sabato parleremo di Gestalt con Emiliano Bernardii nel salotto virtuale dell'amico e collega Alessandro Lombardo . doman...
07/04/2020

Sabato parleremo di Gestalt con Emiliano Bernardii nel salotto virtuale dell'amico e collega Alessandro Lombardo . domande e curiosità benvenute!

Con Paolo Molino e Emiliano Bernardi

IMPOTENZA (lettura 5 minuti)Questo periodo di reclusione forzata ci confronta con diversi tipi di impotenza. In primis, ...
05/04/2020

IMPOTENZA (lettura 5 minuti)

Questo periodo di reclusione forzata ci confronta con diversi tipi di impotenza. In primis, siamo privati della nostra libertà: di muoverci, vederci, socializzare. Siamo obbligati ad apparecchiarci la caverna al meglio delle nostre possibilità, altrimenti rischiamo di impazzire. E già è difficile così.

Un tipo di impotenza sulla quale riflettevo stamattina mentre pedalavo come un matto sui rulli (roba da ciclisti)è quella relazionale per cui, se l'altro significativo non sta bene, o ha a che vedere con me, o devo fare qualcosa per farlo/a stare bene, altrimenti sto male anche io.

E' un impotenza subdola strettamente connessa con l'onnipotenza. Nessuno di noi ha il potere/responsabilità di far stare l'altro in nessun modo, le sensazioni e le emozioni sono mie, non esiste che l'altro mi faccia stare in qualche modo.

In realtà questo ci viene dalla nostra storia di attaccamento, ovvero quel legame primario che si sviluppa all'inizio della vita.

HO LA RESPONSABILITA' di far stare bene l'altro, altrimenti sono inadeguato e di conseguenza non amabile.

Noi maschi (ma è una cosa ben diffusa anche nel femminile) diciamo "dimmi quale è il problema così posso trovare la soluzione".
Senza il problema ci sentiamo persi, perchè non vogliamo prendere in considerazione la possibilità di essere accanto all'altro, senza fare nulla. Nel fare includo anche il parlare, che è un azione.

E invece ciascuno di noi ha bisogno di fare i propri processi, nel senso che quello che questo momento sta evidenziando, sono delle emozioni altalenanti intense e "veloci". Un pò come se il cuore battesse più forte non solo sotto sforzo, ma costantemente.

Quale può essere l'apprendimento?

* Allenarci a stare con gli umori e le emozioni dell'altro senza per forza prenderci la briga di "aggiustarle" o direzionarle altrove.
*Accorgerci che effetto fa a noi. Quando l'altro sta male, o è arrabbiato per gli afafri suoi, io dove vado, cosa sento?
Non è l'altro che mi fa stare in un qualche modo, ma sono io che sento tristezza per esempio quando l'altro è triste.

Cosa mi racconta di me questa tristezza (o qualuqnue cosa senta)? A questo punto ci possiamo (forse) incontrare, ognuno con la propria emozione. Senza addossare all'altro nessuna responsabilità, o prendercene noi una che non è nostra.

Spero che sia chiaro quello che scrivo, se non lo fosse, chi legge, per favore, domandi. Buoni giorni

interessante. Prendetevi un minuto per leggere e fare delle considerazioni personali in questo momento difficile.L'impor...
30/03/2020

interessante. Prendetevi un minuto per leggere e fare delle considerazioni personali in questo momento difficile.
L'importante è non colpevolizzarsi se passiamo da una zona all'altra.
La caratteristica di questi giorni è l'altalena emotiva, è fondamentale autorizzarsela.

Aspettative-speranze-desideri. Quanti litigi o delusioni ci accadono nella vita di tutti i giorni? Spesso il problema è ...
25/03/2020

Aspettative-speranze-desideri.
Quanti litigi o delusioni ci accadono nella vita di tutti i giorni?

Spesso il problema è che indirizziamo le nostre richieste di attenzione e amore a una porta che e chiusa, e probabilmente lo è sempre stato.
In questo giocano un ruolo fondamentale i tipi di attaccamento che abbiamo sviluppato nell'infanzia.
Possiamo imparare da adulti a scegliere a chi e cosa chiedere.

# aspettative

Questo video è una diretta di ieri destinata a colleghi. Visto il linguaggio semplice e l'accoglienza positiva, ho pensa...
21/03/2020

Questo video è una diretta di ieri destinata a colleghi. Visto il linguaggio semplice e l'accoglienza positiva, ho pensato di condividerlo per aiutare a gestire le emozioni in questo momento difficile.

Si tratta di una parte di una diretta destinata a colleghi. Vista l'accoglienza positiva, ho pensato di condividerlo con tutti. Webinar destinato a colleghi ...

15/03/2020

Sarà attivo da lunedì 16 marzo, dalle ore 9 alle ore 19!

☎️ +39 331 6826935

In questo momento di difficoltà, ho scelto di proseguire il lavoro in modalità skype per consentire a tutti di continuar...
15/03/2020

In questo momento di difficoltà, ho scelto di proseguire il lavoro in modalità skype per consentire a tutti di continuare il proprio percorso a distanza e limitare così gli spostamenti.
Rimango a disposizione di tutti i miei pazienti e per tutti quelli che avessero bisogno di un sostegno.

Questi i miei riferimenti:

☎️ 3311064726
📧 paolomolino@gmail.com
💻 contatto skype : paolomolino

Un abbraccio virtuale a tutti 🙋‍♂️

Per fare chiarezza.
10/03/2020

Per fare chiarezza.

05/03/2020
LA GABBIA È DAVVERO CHIUSA?a volte siamo così abituati che le cose vadano in un certo modo da non accorgerci nemmeno qua...
16/02/2020

LA GABBIA È DAVVERO CHIUSA?

a volte siamo così abituati che le cose vadano in un certo modo da non accorgerci nemmeno quando vanno differentemente.

Un po' come quegli animali che, abituati a stare in cattività, non si rendono conto che la cavezza non è legata al palo.

Riprendiamoci la capacità ed il potere di scegliere.
A volte è sufficiente anche solo aprire gli occhi, e tutto è già lì, sotto al nostro naso!

Ringrazio  Lumini per aver scritto questo sul gioco:"Il gioco non ammette di essere raccontato, ma pretende di essere vi...
04/12/2019

Ringrazio Lumini per aver scritto questo sul gioco:

"Il gioco non ammette di essere raccontato, ma pretende di essere vissuto. Può essere trasmesso solo tramite l’esperienza. Il gioco non ha bisogno di retorica, né di polemica, né di apologetica, né di eleganti difese condotte sul filo della puntigliosa dialettica: ...ha bisogno di testimonianza."

La psicoterapia è esattamente così. La mia carriera parte esattamente dal gioco e la terapia non ha bisogno di spiegazioni, accade.

La si testimonia, la si vive.

Normalità. Associo a fine agosto il ritorno alla normalità. Finiscono le lunghissime vacanze scolastiche. Torniamo alle ...
29/08/2019

Normalità.
Associo a fine agosto il ritorno alla normalità. Finiscono le lunghissime vacanze scolastiche. Torniamo alle nostre vite normali, lavoro, attività varie, sport.
Usiamo la parola normalità solitamente con un senso dispregiativo, o quasi.

Uno dei compiti della psicoterapia è normalizzare. Per esempio normalizzare certe emozioni. La rabbia è normale in certe situazioni. La tristezza, la gioia, anche.
La differenza è dove scelgo di mettere il riferimento.

La scelta è completamente personale ed è sacrosanto che sia così.
La mia tristezza o qualunque altra emozione, si riferisce a me e nessun altro. E nessuno ha il diritto di dirmi cosa e come devo sentire.

Buon rientro.

alcune riflessioni sulla ricerca del non dispiacere e sulla fuga dalle emozioni negative . https://www.paolomolino.com/e...
29/07/2019

alcune riflessioni sulla ricerca del non dispiacere e sulla fuga dalle emozioni negative .

https://www.paolomolino.com/edonismo/

Il piacere è stato considerato da sempre il fine ultimo dell’esistenza umana, o uno dei fini ultimi. Negli anni questo concetto si è evoluto (forse). Si è passati dagli anni ‘80, quando si doveva “bere la vita”, ai giorni nostri, quando l’obiettivo non è più provare piacere ma non pro...

Quanto sentiamo parlare della comfort zone?Tantissimo, anche al bar, bevendo un caffè, si può trovare chi ci consiglia d...
26/06/2019

Quanto sentiamo parlare della comfort zone?

Tantissimo, anche al bar, bevendo un caffè, si può trovare chi ci consiglia di uscire dalla nostra comfort zone.

E non è facile. Ed è indispensabile. Un dilemma.
E' indispensabile perchè per crescere, per espanderci, per sbocciare e fiorire nella vita, lo dobbiamo fare.

E' difficile perchè si tratta di attraversare lo Stige (il fiume prima dell'inferno) di ciascuno di noi: quello della paura.

Oltretutto, come se non bastasse, non è una cosa che si fa una volta e poi si può respirare perchè si è oramai passato. Bisogna farlo tante e tante volte nella nostra vita.

Chi me lo fa fare? Nessuno. E' una nostra scelta personale, solitamente una buona benzina è la scomodità: quello che era confortevole una volta, anche solo ieri, oggi non lo è più.

Ascoltiamoci sempre, cosa mi piace, cosa no. Anche quando la paura urla.

Indirizzo

Via Guelfa 1
Florence
50129

Orario di apertura

Lunedì 08:30 - 19:00
Martedì 08:30 - 19:00
Mercoledì 08:30 - 19:00
Giovedì 08:30 - 19:00
Venerdì 08:30 - 19:00

Telefono

+393311064726

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