
24/09/2025
C’erano le piante. C’era un gatto.
E poi c’era un umano, armato di quella tipica convinzione testarda e illusa di aver finalmente trovato la soluzione definitiva.
Dopo settimane passate a raccogliere terra da ogni angolo della casa, recuperare foglie strappate con la precisione di un chirurgo e rialzare vasi come dopo un terremoto, l’umano alzò le mani. “Adesso basta.”
Con la pazienza di chi ne ha viste troppe e la determinazione di un veterano di guerra botanica, prese forbici, rete metallica e tutta la dignità rimasta. E costruì.
Una trincea. Una gabbia protettiva. Un bastione impenetrabile attorno alla sua pianta preferita.
"Vediamo se ci entri ancora, piccolo sabotatore in pelliccia", borbottò, soddisfatto come un architetto greco davanti al Partenone.
Il mattino dopo.
Silenzio sospetto in salotto.
Poi, lo sguardo si posa lì. La pianta… intatta.
Ma al centro della gabbia, con l’aria di chi ha appena conquistato l’Everest, c’era lui.
Il gatto.
Sdraiato con eleganza regale, zampe raccolte, muso leggermente inclinato. Uno sguardo fiero, trionfante. Come se quel recinto fosse sempre stato il suo trono.
“Grazie per il castello, umano. Hai superato te stesso.”
Morale?
Puoi proteggere le piante. Puoi alzare barriere, muraglie, interi bastioni medievali. Ma mai e dico mai sottovalutare la volontà di un gatto. Perché dove c’è un divieto… lui vede una sfida. E dove tu vedi una pianta… lui vede casa.
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