02/09/2025
L'EPlDEMlA SILENZIOSA
Quando ancora lavoravo nel mondo delle farmacie e mi capitava di entrare nei reparti vendita, vedevo spesso la stessa scena, persone anziane che uscivano con vere e proprie buste piene di farmaci. Non un blister, non due… intere scatole, accumulate una sull’altra come se fossero pacchi regalo. E dentro di me mi chiedevo sempre la stessa cosa, quanti di quei farmaci sono davvero indispensabili? E quanti, invece, diventeranno nuovi problemi, con effetti collaterali spesso peggiori della malattia per cui erano stati prescritti?
Era una domanda che mi rimaneva dentro, che mi faceva capire quanto la “cura” a volte rischi di trasformarsi in un boomerang.
Viviamo in un’Italia che invecchia. Le statistiche ci dicono che siamo tra i paesi più longevi del mondo… ma a quale prezzo? Sempre più spesso la vecchiaia non è accompagnata da libertà, lucidità e vitalità, ma da un sacchetto di pillole sul comodino.
Ogni mattina, milioni di italiani iniziano la giornata con un bicchiere d’acqua e un pugno di compresse. Non è un’immagine simbolica... è la realtà.
Ora vi raccotno la storia di una donna qualunque. Immagina Maria, 78 anni, ex insegnante in pensione. Ama cucinare, occuparsi dei nipoti, guardare la TV la sera. Negli anni, come tanti, ha iniziato con un farmaco per la pressione. Poi il colesterolo. Poi il diabete. Aggiungiamoci il gastroprotettore, un ansiolitico leggero per dormire meglio, e così via. Un farmaco tira l’altro, fino ad arrivare a dieci o quindici pillole al giorno.
Risultato? Maria non è più la stessa. Fa fatica a concentrarsi, dimentica le cose, si sente stanca, a volte barcolla. I figli pensano che stia “invecchiando”. Ma spesso non è così... è ipermedicata.
E questo, purtroppo, succede a migliaia di persone nelle nostre famiglie.
Il termine tecnico è polifarmacia, ovvero... l’uso contemporaneo di molti farmaci, spesso senza un reale coordinamento tra i diversi medici che li prescrivono.
Secondo i dati dell’AlFA (Agenzia Italiana del Farmaco), quasi un anziano su due in Italia assume cinque o più farmaci al giorno.
E non parliamo solo di persone con gravi patologie: spesso sono “pillole preventive” che finiscono per moltiplicarsi, creando più problemi di quanti ne risolvano.
Il problema non è tanto il singolo farmaco, ma la somma, ogni molecola chimica ha effetti collaterali, e quando se ne combinano tante, il corpo diventa un laboratorio chimico sotto stress continuo.
Gli effetti li conosciamo bene:
- Perdita di memoria e confusione mentale (spesso scambiata per AIzheimer o demenza);
- Cadute e fratture, perché il sistema nervoso è rallentato;
- Stanchezza cronica, debolezza, apatia;
- Danni a fegato e reni, che devono smaltire continuamente sostanze tossiche;
- Ricoveri ospedalieri per reazioni avverse ai farmaci.
Sai qual è la cosa sconvolgente? Le reazioni avverse ai farmaci sono una delle prime cause di ricovero in Italia tra gli over 65. Eppure, raramente si mette in discussione la quantità di medicine prescritte.
“È l’età che avanza”… oppure no?
Troppo spesso si dà per scontato che smemoratezza, lentezza, debolezza siano semplicemente segni dell’età. Ma non sempre è così. Quante volte vediamo un nonno o una nonna che, dopo aver sospeso o ridotto alcuni farmaci, torna improvvisamente più lucido, energico, vitale?
Non è magia. È che il corpo, liberato da un carico tossico eccessivo, ricomincia a funzionare meglio.
Perché succede?
Le cause sono tante, e tutte legate al nostro sistema sanitario e culturale:
1. Specialisti che non comunicano. Ogni medico prescrive qualcosa per il suo ambito, senza considerare il quadro generale. Ognuno guarda la sua specializzazione. Per questo, le specializzazioni sono il fallimento della medicina. Perché non guardano più l'insieme del corpo ma lo hanno suddiviso in comparti separati, scollegati da tutto il resto.
2. Mancanza di revisione. Una volta iniziata una terapia, raramente viene rivalutata. Si aggiunge, si aggiunge, ma quasi mai si toglie. Un ematologo di Pisa mi disse: "Si aggiunge si aggiunge e strato dopo strato ci cresce la muffa". Grande medico.
3. Cultura della pillola. In Italia c’è ancora l’idea che “se non prendo niente, non sto curando la mia salute”. Si preferisce la pasticca piuttosto che cambiare stile di vita. È più facile addormentare il sintomo che andare alla radice. Ma questo porta a spengersi lentamente.
4. Pressioni commerciali. Non possiamo far finta che le aziende farmaceutiche non abbiano interesse a mantenere un mercato di pazienti cronici. Secondo voi, l'obiettivo è curare o cronicizzare?
Bada bene, non è un attacco ai farmaci. Non sto dicendo che i farmaci siano sempre il male. Hanno salvato e salvano milioni di vite. Un antibiotico dato al momento giusto può evitare una setticemia. Un antipertensivo può prevenire un ictus. Il punto è che, da strumento prezioso, i farmaci stanno diventando abuso sistematico. E il prezzo lo paghiamo in salute, qualità di vita e spese sanitarie crescenti.
I farmaci sono strumenti preziosi, ma se usati senza discernimento rischiano di contraddire il principio base della medicina: "Primum non nocere". Non dovrebbero mai diventare essi stessi una causa di malattia.
Come se ne esce? Il primo passo è la consapevolezza. Dobbiamo smettere di considerare “normale” l’idea che una persona anziana prenda dieci farmaci al giorno. Non è normale, è un segnale di allarme.
Il secondo passo è la revisione periodica delle terapie. In molti paesi europei esistono programmi di “deprescrizione”: medici che valutano attentamente se ogni singolo farmaco è ancora necessario, o se si può ridurre o sostituire con alternative più sicure.
E poi c’è il terzo passo, lo stile di vita. Perché tanti farmaci servono solo a compensare errori quotidiani:
- Una dieta povera di nutrienti e ricca di zuccheri e alimenti industriali;
- Sedentarietà che peggiora circolazione, metabolismo, ossa e muscoli;
- Stress cronico che aumenta pressione, glicemia e infiammazione;
- Mancanza di sonno e di esposizione alla luce naturale.
Ogni volta che scegliamo un cibo sano, che facciamo una passeggiata, che riduciamo lo stress con tecniche di respirazione o meditazione, stiamo costruendo la vera prevenzione.
Forse questa è la parte più dura da accettare, nessuno si prenderà cura di noi meglio di noi stessi. Il sistema sanitario è orientato alla gestione del sintomo, non alla ricerca della causa. E quando la causa è il nostro stile di vita, la pillola non sarà mai la soluzione.
Non dobbiamo diventare “anti-farmaco” a priori, ma dobbiamo imparare a fare domande, a non accettare passivamente ogni prescrizione.
Chiedere sempre:
- Questo farmaco è davvero indispensabile?
- Ci sono alternative naturali o cambiamenti nello stile di vita che possono aiutare?
- Posso ridurre gradualmente le dosi?
- Quali sono le interazioni con gli altri farmaci che già prendo?
Il mio obiettivo è cambiare paradigma sulla "cultura" del farmaco. Il vero cambiamento nasce quando smettiamo di pensare che la salute sia solo “assenza di malattia” e iniziamo a vederla come equilibrio dinamico. Il corpo non ha bisogno di dieci farmaci per funzionare: ha bisogno di nutrimento, movimento, sonno, relazioni sane, aria pulita.
E quando diamo queste basi, spesso le “pillole” diventano superflue. Non dall’oggi al domani, certo, ma con un percorso graduale e consapevole.
L’epidemia silenziosa dell’ipermedicazione non fa rumore, non finisce nei telegiornali, ma tocca da vicino le nostre famiglie. Dietro ogni blister colorato c’è un corpo che fatica, un fegato che lavora troppo, una mente che si annebbia.
Forse è il momento di fermarci e chiederci, stiamo davvero curando, o stiamo solo spegnendo sintomi mentre creiamo nuovi problemi?
La risposta non sta nel rifiutare i farmaci in blocco, ma nel recuperarne l’uso intelligente, meno, meglio, quando servono davvero. E nel ricordare che la vera medicina, quella che non ha effetti collaterali, resta sempre la stessa... alimentazione consapevole, movimento, respiro, connessione con la natura e con le persone che amiamo.
XO - Patrizia Coffaro