04/10/2025
● Una ragazza, a Rimini.
Vive a Rimini, beata lei. Ha vent’anni, il ragazzo, la scuola. E due genitori che le dicono: «La nonna sta male. Andiamo in Bangladesh a trovarla?».
Ma è un tranello.
Arrivati a Dacca, la recludono nell’abitazione di famiglia, le sequestrano il telefono e la carta di credito, le mettono il velo e in cinque giorni la costringono a sposarsi con il figlio di un amico del padre.
La prima notte di nozze lei lo rifiuta e allora il marito, d’accordo con i genitori, le somministra psicofarmaci per piegarne la volontà. I consigli dell’amorevole babbo sono di legarla alla spalliera e di spezzarle le ossa, se solo si azzarda a scappare. Per sicurezza mettono un lucchetto alla porta della sua camera da letto.
Ma stavolta è lei a usare l’astuzia: finge di rassegnarsi al matrimonio e convince la madre a riportarla a Rimini per un po’: «Lì mi sento a casa, sarà più facile rimanere incinta».
Intanto, di nascosto, prende la pillola e chiama un’amica in Italia. Quando sbarca all’aeroporto, ad attenderla ci sono due carabinieri che la portano in un luogo sicuro, mentre i genitori finiscono ai domiciliari, da dove la madre le lancia maledizioni su Whatsapp.
Noi invece benediciamo questa italiana di seconda generazione che in Romagna ha conosciuto il sapore della libertà e non se l’è più tolto di dosso.
L’integrazione è complicata, ma storie come questa ci ricordano che può fare miracoli. Per esempio, salvare la vita a una giovane donna, strappandola a un destino da schiava.
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Massimo Gramellini
Corriere della Sera
3 ott 2025