09/11/2025
“E se fosse solo un battito?”
Era una mattina come tante. Matteo, 32 anni, si stava sistemando il colletto della camicia davanti allo specchio, pronto per un’altra giornata d’ufficio. La moka sbuffava in cucina, la radio parlava da sola in sottofondo. Tutto normale. Fino a quando non arrivò quel BATTITO.
Uno, due, tre colpi al petto. Forti. Irregolari. Come se il cuore avesse deciso di correre da solo. In un attimo, sudore freddo, un senso di vertigine, gambe molli.
— “Sto morendo.”
Si accasciò sul pavimento. Le mani tremavano, il respiro corto.
Chiamò il 118. In ospedale, monitor, flebo, domande. Dopo ore, arrivò un medico con lo sguardo tranquillo.
— “Signor Matteo, tutti gli esami sono nella norma. È stato un attacco di panico.”
— “Un attacco di cosa? No, guardi, si sbaglia. Io non sono stressato. Sto bene, ho solo avuto… un calo di pressione, forse.”
Il medico sorrise appena.
— “Può sembrare così. Ma il corpo parla, anche quando noi non lo ascoltiamo.”
Nei giorni successivi, Matteo cambiò. Smise di guidare. Evitava la metro. Ogni volta che usciva, aveva paura di crollare in mezzo alla gente. Anche a casa, il cuore sembrava sempre pronto a tradirlo.
Fu Sara, sua sorella, a prenderlo di petto. Una sera gli si presentò a casa con un volantino.
— “Ti ho iscritto a un ciclo di incontri. Supporto psicologico e mindfulness. Inizia sabato. Ci vai.”
— “Sara, non sono il tipo da queste cose. E poi, sono solo un po’ stanco.”
Lei lo fissò negli occhi.
— “Non stai bene, Matteo. E se non vuoi farlo per te, fallo almeno per chi ti vuole bene.”
Il sabato seguente, Matteo si presentò controvoglia. La stanza era luminosa, accogliente. Un piccolo gruppo, seduto su cuscini colorati. Nessun lettino da psicanalisi, nessuna diagnosi urlata.
La dott.ssa Manetti, psicologa, parlava con dolcezza ma fermezza.
Accanto a lei c’era Livia, l’istruttrice di mindfulness. Aveva una voce che sembrava respirare insieme a chi la ascoltava.
— “La mente crea immagini. Ma il corpo racconta la verità. Vogliamo imparare ad ascoltarla.” disse Livia, mentre guardava Matteo.
— “Io... non so nemmeno da dove cominciare.” rispose lui, incrociando le braccia.
— “Allora cominciamo da un respiro.”
Le settimane passarono. Ogni incontro era una sfida. A volte Matteo si alzava per andarsene, altre volte restava in silenzio. Ma ogni tanto, quando chiudeva gli occhi durante le pratiche guidate, sentiva un piccolo spazio aprirsi. Un battito calmo, uno solo.
Un giorno, dopo una meditazione sul respiro, Livia lo avvicinò:
— “Sai, Matteo, molti pensano che la mindfulness serva a cancellare la paura. Ma la verità è che serve a smettere di scappare.”
Lui abbassò lo sguardo:
— “È difficile restare quando tutto dentro urla di fuggire.”
— “Lo so.” rispose lei. “Ma tu ci sei ancora, nonostante tutto. Questo è già il primo passo.”
Una sera, mentre tornava a casa, il cuore di Matteo ricominciò a ba***re forte. Ma questa volta non scappò.
Si fermò, appoggiò la mano sul petto, e ricordò le parole di Livia.
Chiuse gli occhi.
Inspira: “Sono al sicuro, adesso.”
Espira: “Posso restare con me stesso.”
Non morì. Non svenne.
Respirò. E pianse.
Conclusione:
Il panico non scompare con la forza. Si scioglie nella presenza.
Oggi Matteo non ha più paura dei battiti. Ha imparato ad ascoltarli.
Perché a volte, un solo battito può raccontarti di cosa hai davvero bisogno: di tornare a te.
Spunti di riflessione:
- Di cosa ho più paura quando sto male?
- Cosa accadrebbe se provassi a restare, invece di fuggire?
- Quale messaggio sta cercando di darmi il mio corpo?
PRATICA SUGGERITA :
Ogni volta che senti arrivare un attacco di panico, fermati.
Appoggia una mano sul petto.
Respira.
Ripeti dentro di te:
“Questo momento passerà. E io posso attraversarlo.”
Fiorella Parretta