18/11/2025
Oggi desidero raccontarvi una storia.
Un’insegnante accompagna la sua classe quinta al tanto atteso progetto continuità, un momento che dovrebbe rappresentare un ponte simbolico tra il “prima” e il “dopo”, tra ciò che i bambini sono e ciò che diventeranno.
I bambini arrivano carichi di aspettative, emozionati, curiosi di scoprire il nuovo ambiente che presto li accoglierà. Ma appena varcano la soglia, si accorgono che qualcosa non va: nessuno li sta aspettando.
È una giornata particolare, ci dicono. Mancano alcuni docenti, le attività previste non sono state organizzate, nessuno sembra davvero consapevole dell’importanza di quell’incontro. I bambini rimangono lì, spaesati, mentre dovrebbero vivere un’esperienza significativa, capace di rassicurarli e guidarli verso un passaggio evolutivo delicato.
Invece sperimentano la delusione, l’imbarazzo, il sentirsi fuori posto.
E poi c’è l’ambiente. Un ambiente che parla da sé: ragazzi lasciati a loro stessi, comportamenti fuori controllo, docenti visibilmente stanchi, poco accoglienti. Non c’è calore, non c’è cura, non c’è intenzionalità educativa.
È questo il primo assaggio della scuola che li attende?
Come psicologa e insegnante non posso fare a meno di riflettere su ciò che questa scena rappresenta: quando la scuola dimentica la sua funzione relazionale, perde la sua anima.
La continuità non è un atto formale, ma un gesto di accompagnamento; è un “ti porto con me” che sostiene il bambino mentre affronta l’ignoto.
L’accoglienza non è un dettaglio, ma un bisogno primario.
La cura non è un optional, ma il terreno su cui cresce la fiducia.
E allora mi domando: che cosa imparano i bambini quando entrano in un luogo che non ha preparato spazio per loro? Che messaggio trasmettiamo quando chi dovrebbe essere guida non riesce più a esserlo?
Questa storia non vuole giudicare, ma far riflettere.
Perché la scuola, quella vera, quella che forma e trasforma, non è fatta solo di programmi e verifiche. È fatta di mani tese, di sguardi che rassicurano, di adulti presenti e consapevoli.
E se anche solo per un giorno questo viene a mancare, dovremmo fermarci e chiederci non “di chi è la colpa”, ma che cosa possiamo fare, insieme, per restituire alla scuola la sua dignità e il suo senso profondo.
Perché ogni bambino merita di essere accolto.
Ogni passaggio merita delicatezza.
Ogni scuola merita di essere un luogo che custodisce, che cresce, che accompagna.