09/10/2020
CON UN TABLET IN MANO, UN PREADOLESCENTE APPRENDE MEGLIO? RIFLESSIONE SU UNA LETTERA ALLA SCUOLA CHE HA FATTO MOLTO DISCUTERE
Se metti un bambino di due anni che va sul triciclo a bordo della biciclettina di uno di cinque, scopri che non è in grado di muoversi. Se a cinque anni, lo metti sulla mountain bike del fratello maggiore, ti accorgi che non sa farne uso. A 12 anni però puoi mettere un preadolescente sul motorino di un adolescente. E’ in grado di usarlo e di andarci in giro per la città E in effetti per molti preadolescenti questa è una trasgressione molto attraente. Esattamente come a 15 anni, un adolescente ha tutte le caratteristiche fisiche per guidare l’automobile dei suoi genitori. Ma la legge gli chiede di attendere i 18 anni e di farlo solo dopo aver superato un esame che ne certifica l’abilità.
Il rapporto tra i nostri figli e i mezzi di trasporto che possono gestire in autonomia non è semplicemente definito dalla disponibilità di tali mezzi nel loro ambiente di vita, né dal fatto che essi siano in grado di salirci sopra e di condurli. E’ regolata anche dalla legge che stabilisce l’età minima per autorizzarne l’uso, basandosi sul concetto di maturità cognitiva e capacità di gestire le competenze complesse che vengono richieste per mettere in gioco le abilità necessarie in modo che non ci siano problemi per sé e per gli altri.
In questi giorni, dopo aver pubblicato una lettera che invita presidi, docenti e genitori a riflettere sull’accelerazione che stiamo imponendo ai più piccoli mettendogli in mano strumenti tecnologici per fini nobili (le attività scolastiche) cosa che poi per moltissimi si traduce nell’usare gli stessi strumenti per altri fini (videogaming, frequenza di social inadeguati all’età, navigazioni protratte, esplorazione di siti per adulti e quant’altro), la critica più frequente che ho ricevuto è la mia incapacità di comprendere che il mondo “va avanti”, che queste tecnologie “fanno parte ormai della nostra vita” e che basta attivare la responsabilità educativa degli adulti, perché se i minori usano male le tecnologie la ragione dipende dall’incapacità dei genitori di mettere giuste regole e definirne i limiti di utilizzo, attraverso App dedicate e contratti educativi costruiti per definire con un figlio “patti chiari”, che come dice il detto popolare rappresentano la premessa per “un’amicizia lunga”. In alcuni commenti alla lettera che io e mia moglie Barbara abbiamo scritto ho perfino l’intuizione che qualcuno pensi alla nostra famiglia come un luogo simil-bucolico, dove si vive tech-free in un mondo che non esiste. In realtà nella nostra casa ci sono, oltre che due genitori e 4 figli, anche 4 computer sempre connessi, 5 smartphone, un tablet. Ogni giorno lavoriamo durissimo per ribadirne regole di utilizzo, zone della vita (come i pasti e la camera da letto) che devono rimanere senza le tecnologie e cerchiamo di monitorare l’utilizzo delle tecnologie nelle attività di studio dei due figli minori. E’ chiaro perciò che durante il lockdown ognuno aveva il proprio strumento di connessione per usufruire in modo pieno e completo della didattica a distanza. Terminato l’anno scolastico abbiamo notato però che l’abitudine dei due figli minori a stare connessi per altri fini si era enormemente “amplificata”. Questo nonostante regole, App e patti molto chiari tra di noi. Ci sembrava di toccare con mano che qualsiasi cosa fai con lo schermo (anche la più nobile) ti abitua – una volta che quello schermo ce l’hai in mano – a desiderare di “starci dentro” sempre più spesso e per tantissime altre attività del tuo quotidiano. Questa è certamente un’osservazione che molti genitori di bambini piccolissimi possono rilevare con i loro figli: a volte per tranquillizzarli o per farli mangiare o per risolvere un momento di rabbia gli si propone un’ attività mediata dallo schermo. Giorno dopo giorno, per molti, questa abitudine diventa non più un rimedio situazionale, ma un’abitudine sempre più difficile da gestire. E l’uso pervasivo degli schermi in età evolutiva è oggi un serio problema che ha ricadute sullo sviluppo fisico, emotivo e relazionale così come rilevato da tutte le associazioni scientifiche pediatriche a livello internazionale.
Il tema qui sembra essere l’incapacità del cervello in età evolutiva a sviluppare competenze autoregolative di fronte all’immensa offerta ludica e di intrattenimento che gli schermi propongono nelle vite dei nostri figli. Noi possiamo dare loro uno schermo in mano per scopi didattici. E questa è una cosa meravigliosa. Nel frattempo, quello schermo sembra “slatentizzare” in loro la ricerca di altre esperienze che non si autolimitano e che non vengono selezionate in base al principio della fase-specificità. Va del resto detto che il mondo del web che ogni giorno tiene incollati agli schermi per ore i minori di tutto il mondo non è certo costruito in funzione delle loro esigenze educative. I nostri figli, lì dentro, vengono monitorati in ogni loro click e studiati per poter diventare oggetto di strategie di marketing strategico che nel web ha ormai messo le sue radici più profonde. E in questo, il docufilm “The social dilemma” racconta una verità innegabile: nell’online “noi siamo il prodotto” e non siamo certo considerati come soggetti che devono essere formati ed educati da enti ed agenzie che hanno a cuore il nostro sviluppo umano e la nostra crescita personale. Premesso tutto ciò, penso sia giusto riflettere sul fatto che parlare di tecnologie ad uso personale sotto i 14 anni sia come immaginare che un minore può gestire in totale autonomia una moto o un autoveicolo. E’ vero esistono automobiline e motorette con motori disponibili anche ai bambini: ma la loro velocità e possibilità di utilizzo è così limitata che al massimo la usano per muoversi in cortile. Non ho mai visto un bambino con la sua automobilina circolare su un’autostrada. Quando invece auspichiamo l’uso di tecnologie personali per minori sotto i 14 anni noi diamo loro uno strumento potentissimo, che non ha dentro di sé limiti di potenza e soprattutto li buttiamo in autostrade affollatissime dove tutti si muovono a velocità sostenute. Ora, è chiaro che un buon docente può fare ottime lezioni usando la LIM in classe: e questo è auspicabile. E’ chiaro che se non si può andare a scuola, fare Didattica a Distanza attraverso strumenti elettronici è fondamentale, anzi obbligatorio. Ma a me non è chiaro perché, al di fuori di queste situazioni, si chieda ad un minore di comprare uno strumento elettronico, riempiendolo di App per limitarne qualsiasi uso improprio, così da poter svolgere attività didattiche che si è in grado di svolgere secondo altre modalità che non sono “vintage” o “antiche” bensì sono “fase-specifiche” ovvero permettono di reclutare le reti neuronali più adatte a sostenere l’apprendimento in quella specifica fase dello sviluppo. Abbiamo tutti l’evidenza di quanti preadolescenti con in mano uno strumento pieno di App che ne monitorano l’utilizzo riescano giornalmente a navigare su siti per adulti, inviare messaggi bullisti, giocare in modo sregolato ai loro videogames. Abbiamo anche visto come inventare videogiochi virtuosi come la Playstation We, che permettono al giocatore di fare attività fisica mentre videogioca, non abbiano portato a modificare le abitudini di videogioco dei minori. Da noi terapeuti dell’età evolutiva non è arrivato neanche un genitore preoccupato per gli scarsi risultati scolastici del proprio figlio giocatore di JustDance, mentre è sempre più frequente constatare che in molte famiglie FortNite e BrawlStars hanno innescato comportamenti di dipendenza e sviluppo di attitudini oppositive-aggressive che, nonostante regole e monitoraggi, risultano di difficile gestione da parte del mondo adulto. Il che significa che c’è qualcosa nel mondo online che interferisce in modo potente con il funzionamento mentale dei minori. Che ne impedisce lo sviluppo di competenze autoregolative, empatiche, di tolleranza alla frustrazione, di rinuncia alla gratificazione immediata. Si tratta di competenze fondamentali, fase specifiche e che devono essere apprese in età evolutiva attraverso attività che non possono essere mediate da uno schermo.
Detto questo, oggi ordineremo un tablet per le attività scolastiche della nostra figlia minore, lo doteremo di tutte le App che riterremo utili, glielo daremo in mano esclusivamente per svolgere compiti e funzioni correlati alle materie in cui si rivelerà inevitabile farglielo tenere in mano. Non consideriamo questo una sconfitta. Ma un’operazione di adeguamento alle richieste che la scuola ci ha fatto e con cui, da sempre, siamo alleati. Avremo molto lavoro da fare per tenere sotto controllo la sua vita online e per farle capire che potrà usare quello strumento solo per fini scolastici. Dovremo tutti i giorni fare discussioni e gestire conflitti per toglierglielo dalle mani, per impedirle di scaricare le sue App e di farne i “suoi usi” che lei affermerà essere usi generazionali, fatti da tutte le sue amiche. Ci sentiremo dire che siamo i peggiori genitori del mondo, che sarebbe stato meglio nascere, vivere e crescere nelle famiglie delle sue amiche, dove invece Tik Tok non solo è all’ordine del giorno, ma è così normale usarlo che giri il tuo video e in tempo reale lo condividi con il resto del mondo. Faremo tutto questo e speriamo di riuscirci. Ma la domanda rimane: è davvero necessario tutto questo? E’ davvero sostenere la crescita? E’ davvero permettere ai nostri figli di ottenere il meglio dal loro percorso educativo? Ora tocca a voi proseguire la discussione.
E se potete, ampliatela con tutti i genitori della vostra scuola. Dare voce a quello che pensiamo e crediamo importante per la crescita dei nostri figli potrebbe provocare un “family dilemma” e generare nuove consapevolezze, fino ad oggi mai affermate ad alta voce nel dibattito pubblico.