Antonino Giaramita

Antonino Giaramita Curiosità, buon umore, spigolature storiche, notizie e… punti di vista. (D.Lgs. n. 46 del 1997 art.21).

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Porti per nazione
20/02/2025

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A volte la civiltà è un peso… a volte.
19/02/2025

A volte la civiltà è un peso… a volte.

Una Soluzione di Compromesso per l’Ucraina: Due Stati, Un Nome!La guerra in Ucraina ha ormai superato i due anni di conf...
19/02/2025

Una Soluzione di Compromesso per l’Ucraina: Due Stati, Un Nome!

La guerra in Ucraina ha ormai superato i due anni di conflitto, con una situazione sul campo che appare sempre più complessa e con poche prospettive di una risoluzione definitiva a breve termine. Da una parte, l’Ucraina rivendica il pieno controllo dei suoi territori come erano prima dell’invasione russa del 2022; dall’altra, la Russia ha ormai consolidato la sua presenza in alcune regioni orientali e nella Crimea, annesse de facto. La possibilità di un accordo sembra lontana, soprattutto considerando le posizioni radicalizzate delle due parti. Tuttavia, una soluzione di compromesso potrebbe offrire una via d’uscita: la creazione di due Stati distinti, entrambi con il nome “Ucraina”, sul modello della Germania divisa nel dopoguerra o della Corea contemporanea.

Il Modello: Due Ucraine, Come Due Germanie.

L’idea sarebbe quella di mantenere i confini dell’Ucraina anteguerra in un senso ideale, evitando una cessione formale e definitiva di territori, ma allo stesso tempo riconoscere la realtà sul campo con la formazione di due entità statali separate:

1. Ucraina:
comprenderebbe i territori sotto il controllo del governo di Kiev, con la capitale storica Kiev e l’orientamento politico ed economico filo-occidentale.

2. Ucraina Est:
comprenderebbe le regioni oggi occupate dalla Russia, inclusa la Crimea, con una nuova capitale situata nella città più grande di quest’area o urbanizzando quale capitale una cittadina posta in una posizione centrale equidistante tra il nord e il sud del territorio occupato. Questa nuova entità ucraina ad est sarebbe allineata ed in orbita russa.

Il modello non è nuovo nella storia.

La Germania, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si divise in Repubblica Federale di Germania (Germania Ovest) e Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est). La Corea, dal 1953, è divisa in due Stati separati, Corea del Nord e Corea del Sud. Entrambi i casi hanno dimostrato che, pur con tensioni e periodi di conflitto, una coesistenza è possibile, mantenendo aperta nel tempo la possibilità di una riunificazione futura.

I Vantaggi della Soluzione:

Questa proposta potrebbe rappresentare una soluzione accettabile per entrambe le parti, pur senza soddisfare pienamente nessuna di esse, il che spesso è il segno di un compromesso efficace:

• Per l’Ucraina di Kiev:
mantiene la sovranità su gran parte del suo territorio e preserva il suo orientamento filo-occidentale senza dover continuare una guerra lunga e devastante.

• Per la Russia:
ottiene il controllo di un’Ucraina orientale formalmente separata ma nella sua orbita, garantendo i propri interessi strategici nella regione senza una completa annessione.

• Per la comunità internazionale:
la soluzione permette di fermare il conflitto, ridurre il rischio di escalation e mantenere la possibilità di un futuro riavvicinamento tra le due Ucraine, senza infrangere drasticamente il principio dell’integrità territoriale.

• Per i cittadini locali:
chi si sente più vicino all’Occidente resterebbe nell’Ucraina Ovest, chi si sente più legato alla Russia vivrebbe nell’Ucraina Est, evitando tensioni continue all’interno di un unico Stato diviso.

Le Sfide di un Accordo del Genere:

Ovviamente, questa soluzione non sarebbe priva di ostacoli:

• L’accettazione da parte dell’Ucraina:
Kiev potrebbe ritenere questa soluzione una sconfitta, anche se permetterebbe di salvare il resto del Paese senza ulteriori devastazioni.

• Il riconoscimento internazionale:
molti Paesi occidentali potrebbero opporsi a questa divisione per principio, temendo di legittimare l’occupazione russa.

• Le minoranze nelle due Ucraine:
la convivenza di minoranze russofone nell’Ovest e di ucrainofoni nell’Est potrebbe generare nuove tensioni, richiedendo accordi per la tutela dei diritti linguistici e culturali senza obbligatoriamente arrivare ad un esodo come quello subìto dagli italiani di Istria e Dalmazia.

Dividere l’Ucraina in due Stati con lo stesso nome potrebbe rappresentare una soluzione pragmatica che mantiene aperta la possibilità di una futura riunificazione, come accaduto per la Germania.

La storia ha dimostrato che le divisioni territoriali non sono necessariamente eterne e che la diplomazia può sempre riaprire le porte al dialogo in un futuro con nuovi protagonisti politici.

Se il costo della guerra dovesse diventare insostenibile per entrambe le parti, tenuto conto anche dello sterminio delle nuove generazioni ucraine e quindi dell’impossibilità di trovare nuovi soldati, questa potrebbe essere una saggia strada percorribile per riportare stabilità nella regione.

STATO ETICO E STATO LIBERALELo Stato Liberale si fonda sulla protezione dei diritti inalienabili degli individui – come ...
16/02/2025

STATO ETICO E STATO LIBERALE

Lo Stato Liberale si fonda sulla protezione dei diritti inalienabili degli individui – come la vita, la libertà e la proprietà – e sulla supremazia del diritto. In questo modello, lo Stato ha il compito di garantire che ogni cittadino sia libero di autodeterminarsi, senza imporre regole morali. Per evitare abusi, il potere viene diviso tra istituzioni (legislativo, esecutivo e giudiziario) e ogni intervento si limita a tutelare i diritti personali, lasciando all’individuo la responsabilità di educarsi e scegliere.

Al contrario, lo Stato Etico intende essere l’arbitro assoluto del bene e del male, definendo e imponendo un modello morale unico per la collettività. In questo sistema, lo Stato concentra in sé ogni aspetto della vita dei cittadini, agendo come fonte esclusiva dell’etica e del bene comune. Tale modello, ispirato alle teorie di Hobbes e Hegel, implica che gli individui debbano rinunciare a parte della loro libertà per ottenere protezione e ordine, diventando, in sostanza, sudditi di un’autorità centralizzata e indivisibile.

In breve, mentre lo Stato Liberale mira a tutelare la libertà e l’autonomia individuale attraverso il rispetto dei diritti e la separazione dei poteri, lo Stato Etico cerca di imporre una visione morale totale che subordina l’individuo a un ideale di bene comune, limitando la libertà personale.

ESEMPI DI STATI ETICI.

Dal punto di vista teorico, possiamo definire come “stati etici” quei regimi che impongono una visione univoca di bene e male, subordinando la libertà individuale a un ideale collettivo stabilito dallo Stato stesso. In questo senso:

• Il regime socialista nazionale tedesco degli anni ‘30 imponeva una rigida ideologia morale, centralizzando il potere e definendo in maniera totalizzante ciò che era considerato eticamente accettabile o meno.

• Le dittature comuniste, pur basandosi, solo in linea teorica purtroppo, su principi di uguaglianza, centralizzavano il potere imponendo un’ideologia unica, limitando quindi la libertà individuale in nome del bene collettivo che però era nelle mani degli oligarchi, di fatto una sorta di gestione feudale della cosa pubblica.

• Le repubbliche e monarchie islamiche fondano le proprie regole sulla legge religiosa, assumendo il ruolo di arbitri assoluti della moralità dei cittadini e imponendo un modello etico e fortemente patriarcale che trascende quindi la semplice tutela dei diritti individuali e quindi con l’obbligo dell’etica di Stato in modo molto simile, nella gestione pratica, a quella delle dittature comuniste.

Quindi, in termini generali ma sicuramente azzeccati, questi regimi presentano moltissimi tratti caratteristici degli “stati etici” perché, anziché limitarsi a garantire la libertà individuale come in uno Stato liberale, pretendono di essere il riferimento esclusivo per la definizione del bene comune con modelli di governo quindi illiberali e anti libertari.

IL RITORNO DELL’AMORE: Psiche ed ErosL’originale dell’opera esposta nell’antica città di Ostia a Roma è conservato nel M...
16/02/2025

IL RITORNO DELL’AMORE:
Psiche ed Eros

L’originale dell’opera esposta nell’antica città di Ostia a Roma è conservato nel Museo Ostiense.

Nella mitologia greca, la storia di Psiche ed Eros è una potente allegoria dell’amore che supera le avversità.

Psiche, il cui nome in greco significa “anima”, rappresenta il viaggio interiore dell’essere umano verso la conoscenza di sé e la realizzazione spirituale.

La sua unione con Eros, dio dell’amore, simboleggia la fusione tra desiderio e anima, tra passione e trascendenza.

Dal punto di vista psicoanalitico, il mito di Psiche può essere letto come un percorso di individuazione: le prove che affronta simboleggiano il processo di maturazione e trasformazione interiore.

Il distacco da Eros rappresenta la fase di crisi e perdita, necessaria per la crescita psicologica.

Solo attraverso il superamento delle sfide imposte da Afrodite, Psiche può conquistare la piena consapevolezza di sé e dell’amore autentico.

Questa narrazione riflette il potere trasformativo dell’amore, l’importanza della bellezza interiore e la tensione tra umano e divino.

È un racconto di speranza, in cui l’anima, pur attraversando oscurità e difficoltà, può raggiungere la luce e la salvezza definitiva.

Il lieto fine tra Psiche ed Eros non è solo il coronamento di una storia d’amore, ma la realizzazione di un destino superiore: l’unione tra l’anima umana e il divino, simbolo dell’eterna ricerca dell’uomo per l’illuminazione e la completezza.

2025/02/14
14/02/2025

2025/02/14

L'interesse strategico e commerciale e la mediazione politica della Turchia volti alla realizzazione del Middle Corridor.

Perché i cognomi italiani sono così numerosi?I cognomi italiani sono estremamente vari e diffusi per una serie di fattor...
14/02/2025

Perché i cognomi italiani sono così numerosi?

I cognomi italiani sono estremamente vari e diffusi per una serie di fattori storici, linguistici e culturali che hanno influenzato la loro formazione nel corso dei secoli.

Si stima che esistano tra 350.000 e 400.000 cognomi diversi in Italia.

Ecco le principali ragioni di questa ricchezza onomastica:

1. Origine tardiva dei cognomi

In molte regioni italiane, i cognomi si sono stabilizzati relativamente tardi rispetto ad altri paesi europei. Sebbene alcuni fossero già in uso nel Medioevo, divennero ereditari e obbligatori solo con i decreti napoleonici (inizio XIX secolo). Prima di allora, i cognomi erano spesso mutevoli e potevano variare da una generazione all’altra.

2. Frammentazione politica e dialettale

Fino all’Unità d’Italia (1861), la pen*sola era suddivisa in numerosi stati, ducati e repubbliche, ognuno con le proprie lingue, dialetti e tradizioni onomastiche. Questo ha portato a una grande varietà di cognomi: ad esempio, un nome che in Toscana assumeva una certa forma poteva essere trascritto in modo diverso in Lombardia o in Sicilia.

3. Diversità delle radici onomastiche

I cognomi italiani hanno origini diverse:
• Patronimici: derivati dal nome del padre (es. Di Giovanni, Leonardi).
• Toponimici: legati a un luogo di origine o residenza (es. Fiorentino, Romano).
• Soprannomi: basati su caratteristiche fisiche o comportamentali (es. Basso, Russo per indicare una persona bassa o con capelli rossi).
• Professioni: derivati dal mestiere degli antenati (es. Ferrari, Sartori).

4. Adattamenti fonetici e variazioni locali

I cognomi hanno spesso subito modifiche fonetiche a seconda della regione e della lingua locale. Ad esempio, Esposito (tipico di Napoli) deriva dal latino expositus, riferito a bambini abbandonati, mentre lo stesso concetto potrebbe aver dato origine a cognomi diversi in altre regioni.

5. Influenze straniere

L’Italia è stata un crocevia di popoli e culture, tra cui Normanni, Longobardi, Spagnoli e Francesi, che hanno introdotto nuovi cognomi o modificato quelli esistenti. Ad esempio, cognomi come D’Angelo possono avere origini normanne.

6. Germanizzazione e slavizzazione forzata dei cognomi italiani

Nel XIX secolo, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe promosse una politica di germanizzazione e slavizzazione dei cognomi italiani in Alto Adige, ma soprattutto in Istria e Dalmazia. Questo processo avvenne persino nei registri parrocchiali, trasformando forzatamente molti cognomi italiani per allinearli alle lingue e culture locali sotto il dominio asburgico. Gli austriaci avevano timore che le guerre risorgimentali della pen*sola italiana arrivassero (come sono poi arrivate) in Trentino, Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia, per questo scelsero di slavizzare i cognomi italiani perché, gli slavi, ritenuti più fedeli e con gli occhi più a est che non a Roma.

7. Tentativi di ripristino e la loro cancellazione dopo la Seconda guerra mondiale

Durante il periodo in cui il governo italiano amministrò l’intera Venezia Giulia e Zara, fu emanata una legge che semplificava la restituzione alla forma italiana dei cognomi slavizzati nel XIX secolo fino alla Prima guerra mondiale. Tuttavia, la sconfitta dell’Italia nella Seconda guerra mondiale rese vano questo atto di giustizia, poiché con la perdita dell’Istria e della Dalmazia, molti italiani furono costretti all’esodo, e la loro identità onomastica venne nuovamente cancellata o alterata nei territori passati sotto amministrazione jugoslava. I cognomi con finale ich, ad esempio ma non solo, indicano al 99% proprio quell’origine italiana istro dalmata.

8. Registrazione multipla nei documenti ufficiali

Nei registri parrocchiali e civili, il cognome di una persona poteva essere scritto in modi differenti a seconda del sacerdote o dell’ufficiale che lo registrava, contribuendo così alla proliferazione di varianti dello stesso nome.

Grazie a questa combinazione di fattori storici e linguistici, l’Italia possiede oggi un patrimonio onomastico senza pari, con migliaia di cognomi diversi, spesso unici a livello locale e fortemente legati alle vicende politiche e culturali del passato.

Siamo in guerra, per chi non lo avesse ancora capito, perché immerso nella propria comfort zone o anestetizzato da narra...
14/02/2025

Siamo in guerra, per chi non lo avesse ancora capito, perché immerso nella propria comfort zone o anestetizzato da narrazioni rassicuranti. Ma la guerra non è solo quella combattuta con fucili e divise: è strategia, psicologia, cultura, economia. Da Sun Tzu a Clausewitz, da Machiavelli a Luttwak fino a Vannacci, il conflitto è stato studiato, analizzato e dissezionato in ogni sua forma, mostrando come esso venga condotto ben oltre il campo di battaglia.

Ignazio Buttitta, pur non essendo un teorico militare, ha colto una verità più profonda: un popolo non si sconfigge solo con le armi, ma colpendolo nell’anima. Toglietegli la lingua, le tradizioni, i ricordi comuni, la bandiera, e lo avrete reso inerme, privo di forza reattiva, incapace di riconoscersi e di difendersi.

Dal punto di vista politico, questa è la guerra dell’omologazione forzata, della dissoluzione identitaria, della manipolazione culturale che spezza il legame tra passato e futuro, tra individui e comunità. In chiave psicoanalitica di popolo, è la rimozione collettiva della propria storia, l’induzione di un senso di colpa paralizzante, la perdita del Sé culturale che lascia spazio a un vuoto pronto a essere riempito da nuove narrazioni imposte dall’esterno.

Chi non vede questa guerra è già prigioniero. Chi la nega ne è complice. Chi la combatte, invece, custodisce la memoria e la trasmette, perché un popolo senza memoria è un popolo senza futuro.

È chiaro il concetto?

📸 in foto una “raffigurazione d’Italia” a Reggio Calabria. 🇮🇹

11/02/2025

“…ecco Mogadiscio ridente e civile, candida nell’anima e nelle case, e dove, come una benedizione ed una speranza, il verde dei giardini smentisce l’aridità delle dune”. Augusta Perricone Vio…

PILLOLE DI STORIA DEL ‘900La strage di Porzûs: un massacro politico nella Resistenza italianaLa strage di Porzûs (Udine)...
10/02/2025

PILLOLE DI STORIA DEL ‘900
La strage di Porzûs: un massacro politico nella Resistenza italiana

La strage di Porzûs (Udine) avvenne il 7 febbraio 1945 nelle montagne del Friuli-Venezia Giulia e rappresenta uno degli episodi più drammatici e controversi della Resistenza italiana.

Questo massacro non fu un atto di guerra contro le truppe tedesche o contro i collaborazionisti della Repubblica Sociale Italiana, ma una violenta resa dei conti interna tra diverse fazioni partigiane, con precise motivazioni politiche.

Il contesto storico

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza italiana era divisa in più fazioni, non solo per l’obiettivo comune di combattere l’occupazione tedesca e difendere il territorio nazionale, ma anche per profonde differenze ideologiche.

• I partigiani non comunisti, tra cui democristiani, socialisti, liberali e repubblicani, erano organizzati in formazioni come la Brigata Osoppo, con un forte orientamento patriottico e antitotalitario. Essi combattevano non solo contro i tedeschi e i collaborazionisti, ma anche contro le pretese jugoslave sulla Venezia Giulia e il Friuli, difendendo l’integrità territoriale italiana.

• I partigiani comunisti, invece, erano inquadrati nelle Brigate Garibaldi, direttamente controllate dal Partito Comunista Italiano, allora guidato da Palmiro Togliatti, il quale, essendo cittadino sovietico e non italiano, operava sotto la supervisione di Mosca e con l’obiettivo di favorire l’espansione comunista nell’area.
Questo si tradusse in una politica che, nella Venezia Giulia, puntava a facilitare l’occupazione jugoslava della regione, anche a scapito dell’Italia.
Mentre molti partigiani italiani combattevano per la libertà e la democrazia, inclusi alcuni reparti di camicie nere in Valle d’Aosta che si opposero all’invasione francese, i partigiani comunisti rossi inizialmente non lottavano per la democrazia, ma per sostituire il regime fascista con una dittatura comunista. Solo verso la fine della guerra, per ragioni strategiche, si riciclarono come “combattenti per la libertà”.

La strage di Porzûs

Nel febbraio 1945, le tensioni tra le due fazioni della Resistenza culminarono in un massacro.

La Brigata Osoppo, accusata dai comunisti di non seguire le direttive di Mosca e di contrastare le pretese territoriali jugoslave, era vista come un ostacolo al progetto politico dei partigiani comunisti.

Il 7 febbraio 1945, un gruppo di circa 40 partigiani della Brigata Osoppo fu attaccato da un’unità delle Brigate Garibaldi, composta da partigiani comunisti.

Gli Osovani furono catturati, separati dai loro compagni e fucilati senza processo.

Il massacro costò la vita a 17 partigiani, tra cui giovani combattenti che avevano partecipato alla lotta contro i tedeschi.

Tra le vittime vi erano figure di spicco della Resistenza, come il comandante Francesco De Gregori (zio del cantautore omonimo) e il partigiano Gastone Valente, mentre tra i responsabili del massacro si distinsero figure come Mario Toffanin (“Giacca”), che, dopo la guerra, trovò rifugio in Jugoslavia e fu protetto dal regime comunista di Tito.

Motivazioni politiche dietro il massacro

La strage di Porzûs non fu un episodio isolato, ma parte di una strategia più ampia attuata dai partigiani comunisti italiani sotto la guida di Togliatti, il quale, in quanto cittadino sovietico, eseguiva le direttive di Mosca per favorire l’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia comunista a sfavore della sua ex Patria Italia.

I partigiani della Brigata Osoppo, ostili a questa prospettiva, furono eliminati in quanto rappresentavano un ostacolo al disegno espansionista jugoslavo.

L’obiettivo non era la lotta contro i tedeschi, ma la soppressione dei partigiani italiani non comunisti, così da facilitare il controllo comunista dell’area dopo la fine del conflitto.

Memoria e conseguenze

Per anni, la strage di Porzûs fu minimizzata o ignorata dalla storiografia ufficiale, in quanto sollevava il tema scomodo delle divisioni interne alla Resistenza e del doppio gioco di alcune formazioni partigiane.

Solo a partire dagli anni ’70 l’episodio iniziò a ricevere attenzione, mentre dagli anni ’90 si tentò di analizzarlo in modo più obiettivo, riconoscendo il ruolo della violenza fratricida all’interno della lotta partigiana.

Oggi la strage di Porzûs è ricordata come uno degli eventi più tragici della Resistenza italiana, simbolo di come le ambizioni politiche e ideologiche abbiano compromesso l’unità della lotta contro l’occupazione, sacrificando uomini che combattevano per la libertà e la difesa della sovranità nazionale.

Bibliografia:
• Foibe, Gianni Oliva, 2024
• Sangue sulla Resistenza. Storia dell’eccidio di Porzûs, Tommaso Piffer, 2025
• L’eccidio di Porzûs. Le testimonianze dei partigiani azionisti al processo di Lucca, Gianni Cisotto, 2023

Indirizzo

Genova

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